Sono le 18,30 del 27 maggio 1945, domenica. Il sole sta ormai calando dietro i monti verso il mare, mentre una processione religiosa si snoda per le vie di Fagnano Castello. Anche il Vice Brigadiere Pietro Iaria segue la processione, in servizio di ordine pubblico, ascoltando le lunghe litanie dei fedeli, sbadigliando di tanto in tanto. Ed è proprio mentre sta sbadigliando che il suo stordimento viene bruscamente interrotto da tre colpi di pistola esplosi in rapida successione, poi le urla della gente che scappa terrorizzata.
Iaria ha capito che le detonazioni provenivano dalla parte di via Cesare Battisti ed è lì che si dirige di corsa. Attirato da urla e voci concitate entra nella via e si trova davanti a due scene completamente opposte tra di loro: verso di lui alcune persone corrono trasportando su di una sedia un uomo, evidentemente ferito; più indietro un gruppo di persone trattiene e strattona un uomo, urlando di volerlo linciare, tanto raccapriccio ha suscitato il suo atto criminoso.
– È grave? Chi è? – chiede Iaria, fermandosi solo un attimo, agli uomini che trasportano il ferito.
– È Francesco Parise, ha tre pallottole in corpo… lo stiamo portando a casa sua…
Poi Iaria corre verso il gruppo di scalmanati con la pistola in pugno, pronto a sparare in aria per calmare gli animi e urla:
– In nome della legge, fermi tutti o sparo!
La piccola folla ondeggia, qualcuno, urlando che l’uomo ha sparato i tre colpi contro Parise, vorrebbe dare comunque seguito al proposito di linciarlo, ma poi tutti si calmano e lasciano passare il Vice Brigadiere, che prende in consegna l’uomo malconcio, il pericolosissimo Vito Villano, quindi ordina a chi l’abbia presa di consegnargli l’arma e, avutala, si dirige verso la caserma tenendo sotto tiro Villano, seguito dalla folla che urla e inveisce.
Rinchiuso Villano in camera di sicurezza, Iaria si precipita a casa del ferito per, se possibile, interrogarlo. E Parise, seppure a stento perché è in grave pericolo di vita, prima di essere trasportato all’ospedale di Cosenza riesce a raccontare come si sono svolti i fatti:
– Ritornavo dal lavoro e transitavo per via Cesare Battisti, quando fui invitato da mio cognato Raffaele Salerno a bere un bicchiere di vino nella bettola di Fiore Gordano. Bevuto il vino sono uscito dalla bettola per rincasare e appena fuori ho notato la presenza di Villano, seduto su una sedia all’angolo del fabbricato della bettola. Appena mi ha visto si è alzato di botto ed estratta di tasca la pistola me ne ha esploso un colpo e mi ha ferito. Caduto a terra l’ho implorato di non uccidermi perché nulla gli avevo fatto, ma lui, sordo alla mia implorazione, mi ha esploso contro altri due colpi…
Poi viene caricato su di una vettura e portato in ospedale. Iaria torna in caserma e interroga Villano per sentire la sua versione:
– Avevo vecchi rancori con Parise perché costui, nel 1944, in occasione di un litigio mi buttò a terra e calpestato. Ieri ha minacciato di bastonarmi. Oggi, davanti la bettola di Gordano, mi sono imbattuto in Parise il quale mi aveva prima pedinato fin lì mentre io andavo cercando Annibale Terranova per restituirgli, come gli ho restituito, lire duemila. Parise mi ha apostrofato con la parola “cornuto” e si è lanciato contro di me e mi ha schiaffeggiato. Allora gli ho sparato… non ricordo altro perché ero ubriaco…
Strano che ricordi solo una parte dell’accaduto e poi gli si sia annebbiata la mente a causa del vino bevuto. Ma ha davvero bevuto? Secondo tutti i testimoni ascoltati, no. Solo l’oste Gordano aggiunge un particolare:
– Villano diventava maggiormente pericoloso quando si ubriacava… – ma nemmeno lui dice se il pomeriggio del 27 maggio fosse ubriaco.
Non lo dice nemmeno Parise al Giudice Istruttore, quando viene nuovamente ascoltato nell’ospedale il giorno dopo il suo ferimento, ma fa cenno di ciò al Maresciallo Pasquale Angrisani il 30 maggio, al quale aggiunge:
– Villano, prima di spararmi, mi ha investito con le parole “cosa fai qui? la sentinella?”…
L’imminente pericolo di vita viene escluso dopo una decina di giorni dal ferimento, cioè dopo la guarigione di due delle tre lesioni, quella all’ipocondrio destro e quella al terzo superiore della coscia destra. Resta la terza, quella causata dal proiettile penetrato nella coscia sinistra, che ha causato la frattura del femore e per guarire ci vorranno altri quattro mesi.
Vito Villano viene rinviato a giudizio con l’accusa di tentato omicidio e ad occuparsi del caso sarà la Corte d’Assise di Cosenza nell’udienza del 14 giugno 1946 ed è qui che se ne sentono di tutti i colori.
Cominciamo dalla nuova versione data da Francesco Parise:
– Apostrofai Vito Villano con la parola “cornuto” perché aveva fatto credere a mia moglie che l’avrei abbandonata per andarmene con un’altra donna. Nego che tra me e Villano ci fossero precedenti rancori.
Come? Ha confermato ciò che aveva detto Villano durante il suo primo interrogatorio! Possibile? Possibile perché due testimoni lo confermano.
Ma la Corte smonta subito questa versione perché è stata informata che Parise si è prestato a riconoscere di avere apostrofato il Villano con la parola “cornuto” perché prima del giudizio è stato interamente risarcito del danno dalla moglie di Villano e quindi, come i due testimoni compiacenti, ha tentato di agevolare l’imputato, che a sua volta continua a mentire, anche nel dibattimento, asserendo di avere esploso due e non tre colpi di pistola e adesso nega di essere stato schiaffeggiato da Parise, sapendo che nessun testimone ha deposto questa circostanza. Dunque, dovendosi escludere che Parise abbia provocato Villano; dovendosi ritenere che è mera invenzione che Villano abbia detto per scherzo alla moglie di Parise che questi l’avrebbe abbandonata e se ne sarebbe andato con un’altra donna e che per questo Parise lo avrebbe apostrofato con la parola “cornuto”, circostanza riferita solo al dibattimento e dopo essere stato risarcito del danno con lire ventimila, Villano sparò contro Parise a causa dell’odio profondo che covava da tempo contro di lui.
Poi, citando quanto Parise dichiarò al Maresciallo Angrisani, Villano, prima di spararmi, mi ha investito con le parole “cosa fai qui? la sentinella?”, la Corte conferma che queste parole sono la conferma che Villano esplose i tre colpi di pistola in dipendenza del rancore profondo che covava fin dal 1944, ritenendo Parise causa del suo arresto per oltraggio al Sindaco di Fagnano Castello, per il quale delitto aveva riportato condanna.
Detto ciò, la Corte ritiene il sentimento di vendetta causale adeguata al crimine, il quale ha cagionato a Parise pericolo di vita e lesione guarita in giorni centoventisette. Ma la difesa capisce che le cose si mettono male e cerca di mitigare la responsabilità di Villano mettendo avanti che il fatto si deve alla circostanza che egli appartiene a partito diverso da quello di Parise. Invece, osserva la Corte, la verità è che Villano è elemento pericolosissimo per la società, come ha verbalizzato il Vice Brigadiere Iaria e come, del resto, risulta indubbiamente dal suo certificato penale e dalla cartella biografica. Un brutto colpo per la difesa che, per di più, è anche costretta ad ammettere che Villano non appartiene ad alcun partito, come egli stesso ha più volte dichiarato in pubblico. Poi, il fatto che il certificato penale di Parise sia immacolato e che tutti lo descrivano come incapace di far del male a chicchessia porta la difesa di Villano a chiedere di escludere la volontà omicida.
La Corte non è di questo avviso e osserva: considerando la breve distanza che separava Parise dall’imputato quando questi sparò contro di lui; la reiterazione dei colpi nonostante Parise gli avesse rivolto l’implorazione di non sparare più; le parti vitali prese di mira; l’arma adoperata, pistola automatica militare Beretta; la causale adeguata al crimine, non si può dubitare, nemmeno per un solo istante, che Villano ebbe volontà e coscienza di esplodere i tre colpi di pistola al fine diretto ed esclusivo di uccidere Parise, che fece bersaglio di essi con precisione.
Non resta che l’ultima carta: la richiesta di concessione delle attenuanti generiche. La Corte risponde: non è il caso di concedere le circostanze attenuanti generiche, data la personalità di Villano (egli è elemento pericolosissimo per la società), tenuto presente che nessun turbamento dell’animo ebbe sul momento del fatto e che, insomma, per concedere dette attenuanti, non si può fare a meno di tenere presente tutto quanto detto finora sulla gravità del reato, sulla causale, sulla personalità del reo.
Ma la Corte non può non riconoscere che Villano ha, per sua volontà e mediante sua moglie come rappresentante di lui, interamente riparato al danno pagando a Parise lire ventimila, circostanza confermata dalla quietanza debitamente firmata in data 29 maggio 1946 e confermata dallo stesso Parise nel corso del dibattimento.
Non resta che determinare la pena da irrogare: anni 13 di reclusione, più mesi 5 di arresti per i reati connessi alla detenzione e porto abusivo di arma, oltre alle spese e alle pene accessorie.
La Suprema Corte di Cassazione, il 12 dicembre 1947, rigetta il ricorso di Vito Villano.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.