LA CUPIDIGIA DEL DENARO

Nel 1937 la sessantanovenne Maria Fortunata Michelizzi, tramite il suo avvocato Aristide Bava, vende una casa sita in Genova incassando la somma di lire diciassettemila, che conserva nel cassetto del canterano posizionato nella camera da letto della sua casa a Siderno, dove vive con la nipote diciannovenne Teresina Michelizzi. A quest’ultima, desiderosa di venire in possesso del denaro per farsene una dote e per potere, così, passare presto a matrimonio, però viene in mente di rubare i soldi alla zia, ovviamente servendosi di un estraneo perché non solo sarebbe stata subito sospettata, ma anche perché non saprebbe dove nascondere la somma. Pensa che ti ripensa, l’occasione giusta le si presenta nel mese di gennaio del 1938, quando va a far visita a sua madre, che vive a Sant’Ilario dello Ionio, distante pochi chilometri da Siderno. Quando va a salutare sua zia Caterina Chianese, incontra nella casa il ventiseienne contadino Nicola Fazzari e, narrando ai presenti la vita che conduce a Siderno dalla zia, quasi con indifferenza parla della somma incassata per la vendita, rivolta al giovane dice:

– Zia Maria le venticinquemila lire della vendita le tiene in casa e potremmo rubargliele facilmente, se mi aiuti…

– E certo! Ti raccomando di non scordarti di tua sorella Antonietta nella divisione! – interviene la zia Caterina, ritenendo quelle parole uno scherzo, sembrandole impossibile che la nipote possa essere capace di commettere un furto.

– No che non me la scordo! Diecimila a me, diecimila a mia sorella ed il resto se lo tiene Nicola!

Nicola invece non ride, sta già pensando che con quelle cinquemila lire risolverebbe molti problemi e potrebbe anche curarsi e guarire dalla pleurite che minaccia di degenerare in tubercolosi e dice:

– Certo che ti aiuto!

La cosa sembra finire lì, ma quando i due giovani lasciano la casa di Caterina Chianese, si appartano e organizzano la rapina:

– La cosa è facilissima: tu vieni a casa di notte, io lascio la porta socchiusa e mentre zia Maria dorme, prendi la chiave del cassetto, ti impossessi del denaro e te ne vai. Dopo un po’ io mi metto ad urlare fingendo di essermi svegliata mentre il ladro stava scappando. Poi ci vediamo a Sant’Ilario e dividiamo.

– E se si sveglia mentre ci sono io dentro?

Le butto addosso un guanciale o una coperta per impedirle di riconoscerti.

– Va bene, quando lo facciamo il colpo?

– Allora… io torno a Siderno il venti, che è giovedì… facciamo domenica ventitré.

Poi gli spiega come trovare la casa e gli dice di trovarsi lì verso le dieci e mezza di sera.

Nicola Fazzari si incammina da Sant’Ilario nel pomeriggio di domenica e arrivato a Siderno prende conoscenza dei luoghi seguendo le istruzioni avute ed attende l’inoltrarsi della notte evitando, per quanto possibile, di far notare la sua presenza. Verso le 22,30, quando Maria Fortunata Michelizzi è già andata a letto, si introduce nella casa, la cui porta è stata lasciata socchiusa da Teresina, ed entra nella seconda stanza, illuminata fiocamente da una lampada ad olio, ove dorme la vecchia. Anche Teresina è coricata nella stessa stanza e quando vede Nicola gli fa cenno di avvicinarsi, ma in questo stesso momento la zia, che prima le volgeva le spalle, forse perché ha sentito qualche rumore o forse per un attacco di asma cardiaco di cui soffre, si sveglia e si gira verso la nipote mettendosi a sedere sul letto, poi vede lo sconosciuto nella stanza e urla.

Nicola viene preso dal panico ed invece di scappare si lancia sulla donna, che tenta di reagire ma è sopraffatta dai pugni che le arrivano in faccia, cade dal letto mezza stordita e Nicola le si mette sopra, le afferra la gola con le mani e stringe con tutta la forza che ha, mentre la povera donna cerca disperatamente di liberarsi, ma è tutto inutile. Quando Maria Fortunata si affloscia come un pallone bucato, Nicola lascia la presa, si rimette in piedi e dice a Teresina:

– Dove sono i soldi?

– Nel cassetto del canterano… la chiave è nel suo comodino…

Sì, i soldi ci sono, sono in una busta verdognola, ma sono quindicimila lire: 14 biglietti da 1.000 e due da 500. Una bestemmia, poi mette la busta in tasca e scappa.

Teresina si mette seduta sul letto in posizione fetale abbracciandosi le ginocchia mentre guarda la zia morta e pensa alla parte di bottino che le toccherà, insufficiente per la sua dote. Così fa passare un’ora, poi si scompiglia i capelli esce di casa urlando e fa accorrere i vicini, che entrano in casa e trovano il cadavere della povera vecchia disteso a terra ai piedi del letto, coverto della sola camicia.

– Una disgrazia, Madonna mia! Si è alzata, ha girato gli occhi ed è caduta a terra morta! – urla Teresina, piangendo e strappandosi i capelli.

– Vado a chiamare i Carabinieri – dice un vicino di casa, avviandosi.

– Ma perché? Che c’entrano i Carabinieri? – Teresina cerca di dissuaderlo, ma l’uomo si allontana e poco dopo torna con il Maresciallo Belsito, comandante la caserma di Siderno.

Già dalla prima occhiata Belsito si accorge che non può trattarsi di una morte naturale, lo dicono le graffiature e lividure presenti sul cadavere.

– E queste come se le è fatte? – chiede a Teresina, che non sa cosa rispondere e viene portata in caserma per un interrogatorio più stringente. Dopo qualche ora racconta:

Verso le undici e mezza, mentre io e mia zia ci trovavamo a letto e discorrevamo, avvertii rumori nella stanza attigua e, credendo che vi fossero topi o galline, mi alzai e, allorché aprii la porta della stanza, udii mia zia gridare “Figlia mia, aiuto, aiuto!”. Temendo che si trattasse di un’aggressione aprii la porta, uscii sulla via e, recatami nella vicina casa di Giovan Battista Alvaro, invocai l’intervento di lui

No, non quadra, meglio farla dormire qualche altro giorno sul tavolaccio della camera di sicurezza e vedere se scenderà a più miti consigli. Intanto viene eseguita l’autopsia sul cadavere di Maria Fortunata ed i periti fugano ogni minimo dubbio, certificando che la morte avvenne per asfissia, inibizione da soffocamento e strozzamento, dovuti ad occlusione delle aperture aeree e delle vie aeree per mezzo delle mani, essendo state riscontrate molteplici escoriazioni ed ecchimosi nella regione del collo, nonché la rottura dell’osso ioide.

La sera del 26 gennaio il Maresciallo Belsito fa accomodare Teresina davanti a lui e dopo incalzanti domande qualcosa di nuovo esce dalla bocca della ragazza:

A commettere il delitto è stato Nicola Fazzari

– E come mai era a conoscenza della somma che aveva tua zia?

Costui, nei giorni precedenti aveva appreso da me che mia zia aveva incassato una rilevante somma di denaro e quella sera penetrò in casa mentre eravamo a letto e discorrevamo del più e del meno. Puntò contro di noi una rivoltella per costringerci al silenzio e quindi si lanciò contro mia zia, che intanto era scesa dal letto, ed in breve tempo la strangolò. Dopo di che io, minacciata da Fazzari, fui costretta ad indicargli dove si trovava il denaro e Fazzari se ne impadronì senza nemmeno contarlo, allontanandosi

– Come fece ad entrare? Avevate dimenticato la porta aperta o l’hai lasciata aperta tu? – insinua Belsito.

La porta era stata chiusa. Forse ha usato una chiave falsa o mediante sollevamento ed abbassamento del saliscendi

Avuto il nome dell’assassino, Belsito corre a Sant’Ilario e procede all’arresto di Nicola Fazzari, quindi i Carabinieri perquisiscono l’abitazione e, nascosta sotto un mattone del pavimento, rinvengono la busta verdognola con dentro 14 biglietti da 1.000, dei quali uno contrassegnato col motto “non ti rivedrò mai più”, e 1 da 500. Immediatamente interrogato, Nicola racconta:

Quindici giorni addietro Teresina Michelizzi, incontrata a Sant’Ilario in casa di sua zia Caterina Chianese, alla sua presenza mi disse che la zia Maria, avendo venduto in Genova una casa, aveva riscosso circa ventuno o ventiduemila lire e che perciò noi due avremmo potuto, insieme, fare un colpo. Io, accecato dal miraggio del denaro, accettai l’offerta ed entrambi stabilimmo che la sera di domenica 23 gennaio mi sarei recato a Siderno, ove avrei trovato aperta la porta di casa della zia ed insieme ci saremmo impossessati del denaro. Teresina fece ritorno a Siderno ed io, nel giorno prestabilito partii da Sant’Ilario armato di rivoltella e di coltello che, lungo il cammino, lasciai nella casa di Rosa Commisso perché temevo di essere arrestato se avessi incontrato la milizia. Giunsi dopo circa tre ore a Siderno. Sulla soglia della casa vidi Teresina la quale, con un cenno del capo, mi confermò che il furto doveva essere commesso in quella casa. La notte, verso le dieci e mezza, penetrai in quella abitazione, la cui porta era stata lasciata, all’uopo, aperta da Teresina; entrai nella seconda stanza e vidi che le due donne erano a letto, dopo di che Teresina si accorse della mia presenza e mi fece cenno di avvicinarmi, profittando della posizione della vecchia, che le volgeva le spalle. La zia, però, in un certo momento si voltò ed avendomi visto si alzò dal letto, onde io mi ritrassi nella prima stanza e proprio allora Teresina aggredì la zia e la gettò a terra. Alle grida di soccorso della vecchia, temendo di essere arrestato, tentai di allontanarmi, ma Teresina mi chiamò, dicendo “disgraziato! Te ne vai, ora non vieni ad aiutarmi?”. Tornai indietro e, vedendo Teresina impegnata in una colluttazione con la zia, mi lanciai contro la vecchia ed insieme la sopprimemmo mediante strangolamento. Teresina, infine, con le chiavi trovate nel comodino, aprì il tiretto del canterano, prese il denaro contenuto nella busta, quindicimila lire, e me lo consegnò, dopo di che tornai a casa e nascosi i biglietti di banca dove li avete trovati

– E le cinquecento lire che mancano?

– Le ho spese la mattina dopo per acquistare alimentari e medicine

Potrebbe essere andata così, ma il fatto che le mani da ricamatrice di Teresina non presentino graffi, al contrario di quelle robuste da contadino di Nicola, tutte graffiate, fanno pensare che sia stato materialmente solo lui ad uccidere.

Interrogata, Teresina respinge le accuse e conferma di aver chiuso la porta dall’interno prima di andare a letto e, chiestole il perché non avesse fatto il nome di Fazzari nel primo interrogatorio, dice:

Costui, con la rivoltella, mi ingiunse di tacere e di riferire che a commettere il delitto erano stati sconosciuti malfattori

La conferma, per gli inquirenti, che la porta di casa fu lasciata volontariamente aperta da Teresina, viene dalla perizia, che attesta: la porta si chiude dall’interno mediante una maniglia con serratura a scatto ed i battenti sono assicurati da due robusti saliscendi; l’apertura soprastante alla porta è munita di grata di ferro, ond’è evidente che, in mancanza di tracce di scasso sulla porta, l’ingresso si poteva verificare soltanto perché si omise di chiudere la porta dall’interno con la maniglia o con la serratura a scatto.

Ora gli inquirenti hanno un sospetto: la partecipazione al delitto di Caterina Chianese, tirata in ballo da Nicola Fazzari. La donna viene arrestata e si difende:

Sono innocente! Ammetto che Nicola Fazzari, mio vicino di casa, era presente quando Teresina mi diceva che la zia Maria Fortunata avrebbe potuto restituire le lire duemila a lei mutuate da sua madre, perché aveva incassato lire venticinquemila circa dalla vendita della sua casa di Genova. Fazzari allora esclamò “qualche volta vengo e ti rubo i denari!” ed io, in tono di scherzo, gli risposi che ciò avrebbe potuto fare, dividendo il compendio furtivo tra Teresina e la sorella Antonietta, trattenendo per sé qualche migliaio di lire. Vi giuro che lo dissi per scherzare, giacché non credevo che Fazzari fosse capace di compiere un così grave delitto e tanto meno che ne fosse capace Teresina la quale, tra l’altro, un giorno o l’altro sarebbe divenuta l’erede della zia!

– Davanti a voi Fazzari e Teresina hanno parlato di come organizzare la rapina?

Mai ho assistito a simili discorsi tra loro due, con i quali non mi sono più incontrata.

L’istruttoria può dirsi compiuta e tutti e tre gli imputati vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Locri per rispondere rispettivamente: Nicola Fazzari e Teresina Michelizzi di omicidio premeditato per eseguire il delitto di rapina, commettendo il fatto approfittando delle circostanze del tempo di notte ed abusando delle relazioni domestiche che intercorrevano tra la vittima e l’imputata Teresina Michelizzi; entrambi anche di rapina, aggravata delle circostanze del tempo di notte ed abusando delle relazioni domestiche che intercorrevano tra la vittima e l’imputata Teresina Michelizzi e dopo aver soppresso, al fine di commettere il delitto, Michelizzi Maria Fortunata, ponendola così in stato di non potere agire e commettendo la soppressione per assicurarsi il possesso della somma sottratta ed anche l’impunità; Caterina Chianese per avere determinato, rafforzandone il proposito criminoso, Nicola Fazzari e Teresina Michelizzi a commettere il delitto di rapina ai danni di Maria Fortunata Michelizzi e per complicità nell’omicidio in persona di Maria Fortunata Michelizzi.

Accuse terribili per Nicola e Teresina che, se pienamente provate, spianeranno la strada verso la pena di morte.

La causa si discute il 27 maggio 1939 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, accoglie la richiesta della difesa di sottoporre Nicola Fazzari a perizia psichiatrica in quanto, da come risulta dai certificati medici esibiti, si tratta di un soggetto di costituzione tubercolare ad andamento cronico, associata ad una disposizione psicastenica e fobico ossessiva. La perizia è affidata all’alienista professor Puca ed al dottor Barillaro e la causa viene rimandata a nuovo ruolo.

I periti consegnano il loro lavoro nel quale confermano la diagnosi con la quale è stata disposta la perizia e aggiungono che questa condizione organica, nel momento in cui Nicola Fazzari commetteva il delitto, ne scemava, senza abolirla, la capacità di intendere e di volere. Questo significa che, se il parere venisse accolto dalla Corte, per lui la pena di morte è scongiurata.

Il 13 aprile 1940 si riapre il dibattimento e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva che nessun dubbio è sorto sull’elemento materiale del delitto di omicidio, sia dagli interrogatori degli imputati e sia dai risultati della perizia necroscopica che ha accertato come la causa esclusiva della morte è stata l’occlusione delle aperture aeree e delle vie aeree per mezzo delle mani, atti di violenza che avevano determinato l’asfissia per soffocamento e strozzamento. Gli interrogatori e i confronti avvenuti fra gli imputati dimostrano la responsabilità di Nicola Fazzari e Teresina Michelizzi. Per la Corte la responsabilità materiale dell’omicidio è di Nicola Fazzari, avendo egli stesso confessato durante il periodo istruttorio (durante il dibattimento ha cambiato versione addossando ogni responsabilità su Teresina) di avere aggredito la vecchia, di averla tenuta ferma mentre Teresina l’avrebbe afferrata alla gola e di avere lasciato la vittima quando non dava più segni di vita. Ma dalla perizia eseguita sul cadavere della povera Maria Fortunata Michelizzi risulta che anche una sola persona aveva potuto commettere il delitto, senza che fosse necessario l’aiuto di un correo, onde è verosimile che tutte le lesioni sono state inferte dalle mani nerborute di Fazzari, sulle quali furono riscontrate graffiature ed abrasioni causate durante la colluttazione con la vittima, anziché dalle mani delicate della ricamatrice Teresina che, dati i vincoli di parentela, avrebbe avuto orrore di macchiarsi di un così grave delitto.

La difesa, temendo che la Corte possa non accettare il responso della perizia psichiatrica, si affretta a chiedere la concessione delle attenuanti generiche e quella di avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale in quanto la parte del bottino spettante a Fazzari doveva servire per le cure della tubercolosi. La Corte le rigetta entrambe, spiegando che nessuna attenuante può essere concessa perché sarebbe un assurdo logico, giuridico e morale se si affermasse che il fatto di chi strangola una vecchia per rubarle quindicimila lire possa essere considerato di minore gravità soltanto perché il colpevole, che ha dimostrato di essere un pericoloso delinquente, assume di aver avuto bisogno di denaro per curarsi da una malattia. Poi continua: il fatto che tutta la refurtiva fu trovata nascosta nell’abitazione di Fazzari è la prova della sua responsabilità e del fine da cui fu mosso, quindi deve affermarsi la sua responsabilità anche in ordine al reato di rapina aggravata.

Ahi! La vita di Nicola Fazzari, a questo punto, è davvero appesa ad un sottilissimo filo. La Corte accoglierà positivamente la perizia psichiatrica? In aula il silenzio è pesante quanto un macigno quando il Presidente affronta l’argomento: a favore di Fazzari deve ammettersi il vizio parziale di mente, di conseguenza la sua responsabilità deve considerarsi diminuita, mancando qualsiasi elemento contrastante con le conclusioni della perizia e non potendosi dubitare della esattezza scientifica delle medesime. La determinazione della pena da irrogare a Nicola Fazzari è semplice e la Corte osserva: per l’omicidio commesso dall’imputato è stabilita dalla legge la pena di morte, alla quale, però, per effetto del vizio parziale di mente va sostituita la reclusione, che si ravvisa giusto infliggere nella misura massima di anni 30. In ordine alla rapina aggravata si stima giusto applicare la reclusione per anni 8. La pena definitiva, però, non può sommarsi con quella inflitta per l’omicidio, essendo questa applicata nella misura massima consentita dalla legge. Quindi in tutto fanno anni 30 di reclusione, più le spese, i danni e le pene accessorie, nelle quali la Corte comprende l’internamento in una casa di ricovero e custodia al fine di curare la tubercolosi per un termine che stima giusto fissare in anni 10, prima che si inizi l’esecuzione della pena detentiva. Così in tutto fanno praticamente 40 anni.

Ora la Corte esamina la posizione di Teresina Michelizzi e osserva: in base alle risultanze processuali è certo che ella concepì il disegno di impossessarsi del denaro della zia e ne preparò il piano di esecuzione. Non è però provato che ella avesse anche concepito il disegno di uccidere la vecchia per riuscire nell’intento di impossessarsi del denaro, né ciò è risultato dalla chiamata di correo fatta da Fazzari, onde rimane pienamente ammissibile che il proposito di sopprimere la vittima fosse sorto nel Fazzari nel momento estremo, quando cioè, contrariamente alle previsioni, la vecchia si svegliò e gridò. È, infine, rimasto dubbio se Teresina avesse cooperato nello strangolamento della zia, giacché la chiamata di correo fatta da Fazzari non può essere attesa con sicura coscienza, interessato com’era ad aggravare la condizione di Teresina nella falsa opinione di attenuare la propria colpa. In conseguenza, non è certo che la giudicabile abbia voluto il reato più grave di omicidio, pur avendo concretato e facilitato la consumazione del reato di rapina, sicché ella è responsabile dell’evento più grave giacché la morte violenta della zia, sebbene da lei non voluta, è stata conseguenza della sua attività, inizialmente rivolta alla consumazione della rapina e per questo, in base alle norme vigenti, la sua responsabilità deve essere attenuata.

La pena equa da irrogare, per la Corte, è quella di anni 30 di reclusione per l’omicidio e di anni 13 per la rapina ma, come abbiamo già visto, il cumulo non si può fare e la pena resta fissata nel massimo consentito di anni 30, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.

Adesso tocca a Caterina Chianese e bastano solo poche parole: mentre avvenne il vero e decisivo concerto criminoso tra Teresina Michelizzi e Nicola Fazzari non fu presente e, del resto, ella non aveva interesse alcuno alla losca faccenda; rimase estranea alla consumazione del delitto; non vide, dopo l’omicidio, nessuno dei due e non ebbe alcuna parte della somma rubata, è chiaro, quindi, che non partecipò in alcun modo nella preparazione o nell’esecuzione dei delitti, sicché è giusto che venga prosciolta con formula piena per non aver commesso il fatto.

La Corte d’Assise di Locri il 2 dicembre 1940 dichiara inammissibile il ricorso di Teresina Michelizzi.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Locri.