IL MARITO DELLA MAESTRA

Sono le nove di mattina del 14 maggio 1925 quando il Cavalier Agostino Rodalì, Sostituto Procuratore della Procura di Reggio Calabria, entra nell’Ospedale Civico di Reggio Calabria e gli viene indicato il letto dove è disteso, bocconi, un uomo. Il magistrato gli si avvicina, prende una sedia e si sistema più vicino possibile alla testa del degente, il quarantanovenne Ispettore Scolastico Nicola Vitale, visibilmente sofferente.

– Cosa è accaduto? – gli chiede.

Mi recavo stamattina, circa mezz’ora fa, in ufficio e salivo lungo Via Santa Lucia quando, giunto nei pressi della scaletta del Comando Divisione dei Carabinieri, intesi due colpi di fucile, mi sentii ferire alle spalle e caddi a terra. Nel voltarmi vidi, col fucile in mano, il marito della maestra Maddalena Matteis il quale guardava se ero caduto… egli era a circa quindici metri da me, precisamente dov’è il cesso pubblico

– C’erano dei rancori tra di voi?

Io non avevo inimicizia con lui, ma semplicemente faccio notare che la di lui moglie tempo fa fu sospesa dall’insegnamento dal Commissario Scolastico e lui, allora, veniva a trovarmi in ufficio minacciando rappresaglie generiche verso tutti.

– Perché chiese il vostro parere?

Il Commissario chiese il mio parere perchè necessario per tutti i provvedimenti scolastici e fu contrario alla maestra, così egli non mi salutò più e credo che questo sia il motivo per cui si è indotto a spararmi

– Quando fu sospesa la maestra e per quanto tempo?

Circa un anno fa e fu sospesa per cinque giorni e con lei fu sospesa la maestra Crucoli per dieci giorni

– In questo periodo avete avuto occasione di incontrare la Matteis?

No, presta servizio a Reggio Archi. Devo aggiungere che un mese e mezzo fa, a causa della sospensione, le due maestre furono escluse per legge dal concorso per avvicinarsi alle scuole urbane, essendo rurale la scuola di Archi. Dopo questo provvedimento, un giorno incontrai il marito della Matteis al Municipio ed ha fatto finta di non conoscermi

– Siete solito fare sempre la stessa strada per andare in ufficio?

Sì, sempre quella che percorrevo stamattina.

Le ferite riportate da Nicola Vitale alla natica ed alla regione renale destra sono gravissime ed è in pericolo di vita.

Ma torniamo indietro di quasi un’ora, qiando l’Ispettore Scolastico percorreva Via Santa Lucia: due Carabinieri di servizio nelle immediate vicinanze, cioè nel recinto del baraccamento “Vecchia Prefettura”, vedono un uomo armato di fucile che sbuca da una traversa con l’arma spianata in posizione di sparo. Pur pensando che l’arma sia scarica e che tale posizione non possa dar nocumento ad alcuno, si accingono a raggiungere e richiamare l’individuo, ma restano per un attimo sorpresi e sconcertati dalle due improvvise fucilate che risuonano sinistre a poca distanza da loro. Immediatamente saltano il muro di cinta del baraccamento e corrono verso l’uomo per bloccarlo mentre sta cercando di svignarsela, ma dal Corso Garibaldi sta accorrendo un altro Carabiniere che ha sentito le detonazioni e riesce a bloccarlo, disarmandolo. Accorre anche il Maresciallo Alberto Laredo De Mendoza, comandante la stazione dei Carabinieri allocata all’interno del Comando Divisione, che dichiara in arresto l’uomo e lo porta in caserma per interrogarlo:

– Sono Nicola Cresci, assistente farmacista, abitante nel rione Santa Lucia. Sono stato spinto a commettere il delitto perché Vitale, nella sua qualità di Ispettore Scolastico, da molto tempo commetteva degli abusi e delle ingiustizie a danno di mia moglie, Maddalena Matteis, maestra elementare ad Archi, la quale, pur avendo avuto il diritto al trasferimento, da oltre un anno fu sempre ostacolata in tale desiderio da Vitale. Mal sopportando le vessazioni dell’Ispettore e ritenendomi perseguitato da lui, stamane, dopo essermi fatto radere dal Barbiere Francesco Minniti nel rione Santa Lucia, accortomi che l’Ispettore transitava per la via omonima, caricai subito il fucile che avevo perché stavo andando a caccia e, raggiunto Vitale, a circa diciassette metri di distanza gli esplosi alle spalle due colpi, facendolo stramazzare al suolo

Il fatto che Cresci sia stato trovato con addosso una cartuccera completa di trenta cartucce e altre due cartucce cariche in tasca, dovrebbe far ritenere attendibile il suo racconto, ma il Maresciallo Laredo De Mendoza sospetta che abbia premeditato il delitto, sospetto derivante dalla stessa ammissione di Cresci quando ha detto che da oltre un anno Vitali ostacolava il trasferimento della moglie e che, pertanto, covava dell’odio verso l’Ispettore Scolastico. In più, secondo il Maresciallo, i sospetti sono avvalorati anche dal modo in cui si svolse la scena. Ma questi sono solo sospetti che andranno confermati solo da prove concrete.

Intanto, dopo nove ore di agonia, Nicola Vitale muore e adesso si procede per omicidio.

Le indagini iniziano interrogando il barbiere Francesco Minniti, che racconta:

Stamane, venuto come le altre volte a farsi fare la barba, dopo aver terminato, Cresci mi tenne un discorso chiacchierando del tempo e del fucile, dicendomi, fra l’altro, che sebbene lo possedesse da quindici anni sembra nuovo. Mi aggiunse che da diversi giorni non poteva ammazzare alcun volatile e dopo aver chiacchierato un po’, forse per far trascorrere del tempo, mi pagò e s’incamminò per la traversa del mio salone. Trascorsero appena pochi secondi ed intesi due detonazioni di fucile

Poi qualcuno sussurra al Maresciallo che Cresci mai fu visto andare a caccia e solo dal mese di aprile incominciò a farsi notare armato di fucile. Questo potrebbe significare che volesse far credere, come ha cercato di fare anche la mattina del delitto, che il suo intento era di recarsi a caccia e non di attendere il passaggio di Vitale, ma non vi è alcun dubbio ch’era in attesa del povero Vitale. Infatti, dopo che si fece radere, calcolando che l’ora in cui la vittima si soleva recare in ufficio non era giunta, s’intrattenne in chiacchiere col barbiere e appena si avvide del passaggio di Vitale si allontanò dal salone col fucile. Sia l’idea fissa della persecuzione che il modo brutale di come venne colpito il povero Vitale, dimostrano chiaramente l’intenzione del Cresci a voler colpire con animo deliberato e dopo aver premeditato il delitto.

A questo punto, se fosse vero che Cresci era ossessionato dall’idea di essere perseguitato da Vitale, per gli inquirenti è lecito porsi un dubbio: e se fosse stato istigato da sua moglie? Dalle primissime indagini svolte, ognuno per proprio conto, dal Maresciallo Laredo De Mendoza e dal Commissario di P.S. Gregorio Cavatore, non è possibile assodare se vi sia stata istigazione od incoraggiamento da parte della di lui moglie e allora bisogna indagare sui motivi che portarono alla sospensione dal servizio della maestra Maddalena Matteis e vedere cosa ne esce.

In Questura viene ascoltato il professor Giovanni Polimeni, Direttore delle Scuole Elementari di Reggio Calabria, che racconta:

Al concorso interno per la promozione dalle scuole rurali a quelle urbane presero parte anche la Matteis e la Crucoli, che conseguirono un posto nella graduatoria in base ai titoli esibiti. Se non che il Consiglio Regionale Scolastico, con apposita deliberazione, ordinava al Comune di Reggio Calabria la cancellazione dalla graduatoria dell’anno delle due maestre per una punizione inflitta loro l’anno scorso. Ciò dispiacque grandemente alla Matteis ed al marito Nicola Cresci, i quali vennero alla Direzione Didattica a far le loro rimostranze, attribuendo l’esclusione all’Ispettore Vitale. Ricordo che il Cresci, che sembrava un energumeno, estrasse la rivoltella di cui era armato e, brandendola in aria, con voce alta e minacciosa gridò “Lui è stata la causa ed io l’ammazzerò!”. Ad evitare una eventuale disgrazia lo disarmai e cercai di calmarlo ingegnandomi in tutti i modi di fargli capire che il professor Vitale non aveva niente da fare con la decisione del Consiglio Regionale Scolastico e gli feci anche leggere la lettera originale pervenutami dal Provveditorato di Cosenza. La Matteis, vedendo il marito in quello stato di orgasmo, si mise a piangere.

– Vennero solo quella volta?

Vennero ripetute volte a trovarmi in ufficio ed a casa. Erano ossessionati dall’idea che Vitale fosse la causa della punizione e della conseguente esclusione dal concorso e le mie obiezioni in contrario a nulla valevano. Ho l’impressione che Cresci, semplice assistente farmacista, fosse dominato dalla moglie, la quale erroneamente riteneva che Vitale fosse la causa delle sue disavventure.

Ma perché le maestre Matteis e Crucoli furono sospese? Al Commissario Cavatore lo spiega la Guardia Municipale Giovanni Polimeni:

Circa un anno fa, verso le dieci di mattina, mi trovavo affacciato al balcone di casa mia, ad Archi di fronte la stazione ferroviaria, quando vidi nei pressi delle scuole elementari, a circa sessanta metri, le insegnanti Matteis e Crucoli che altercavano e quindi venivano alle mani fra le grida degli alunni delle rispettive classi. Il fatto, abbastanza disgustevole, menò gran rumore. Il giorno dopo, all’arrivo del treno delle otto e venti, vidi la Matteis che si avviava verso la scuola accompagnata dal marito, armato di fucile e cartuccera, con atteggiamento spavaldo. Prevedendo delle conseguenze gravi, pensai “le mogli si sciarrìano e poi tirano nei guai i mariti!”. Dopo alquanti giorni fui sentito dall’Ispettore Scolastico Vitale, al quale riferii quanto era a mia conoscenza.

Maddalena Matteis, invitata in Questura, racconta una storia completamente diversa, in parte impossibile da provare, ma che tuttavia offre nuovi spunti:

Mi recai al Provveditorato per reclamare contro la maestra Crucoli che si era permessa, senza ragione alcuna, di ingiuriarmi e di ledermi nell’onore. L’Ispettore Vitale mi accolse gentilmente, mi assicurò che avrebbe provveduto e mi invitò a ritornare da lui per sapere l’esito. Ritornai il giorno dopo e trovai Vitale da solo. Mi disse che aveva parlato con la Crucoli e che avrebbe definito amichevolmente la vertenza. Sì dicendo egli cercò di avvicinarmi a sé cingendomi con la destra la vita e facendomi delle carezze e proposte poco oneste. Mi svincolai dalla stretta e gli feci osservare che aveva da fare con una donna onesta. Vitale, senza scomporsi e con aria di protezione, mi disse che da lui dipendeva tutto e che a lui dovevo completamente rimettermi. Indignata, andai via. Vi ritornai con mio marito, al quale nulla avevo detto, e Vitale, presente il professor Lodi, ci assicurò che avrebbe provveduto secondo giustizia. Giustizia però non mi fu fatta perché fui sospesa per cinque giorni ed in seguito radiata dal concorso per l’avvicinamento. Mio marito era esasperato per tale stato di cose che gli vietava di esercitare la professione perché, dovendo recarmi ad Archi, egli era costretto a restare a casa per accudire alle faccende domestiche. Fu preso da grande nervosismo: bestemmiava per cose da nulla, batteva il bambino per il quale stravedeva e poscia si metteva a piangere e chiedeva perdono. Era ossessionato dal mio trasferimento e spesso mi diceva “tu sei rovinata, tra venti anni sarai trasferita a Reggio! E tu campi tanto? E poi Vitale ti lotterà sempre!”. E poi “Io mi vergogno di uscire! Mia moglie radiata dal concorso per indisciplina!”. Ed io a persuaderlo, ad assicurargli che avrei chiesto l’aspettativa in attesa di eventi migliori, che lo avrei aiutato nell’esercizio della drogheria che aveva in animo di aprire, che non doveva prendersela tanto

– Qualche volta espresse propositi di vendetta? Sicuro che non gli avete detto delle avances?

Mai! Spesso diceva “ha trovato giusto me che sono di animo buono, doveva avere a che fare con altri!”.

Ma il Commissario Cavatore, ascoltati il professor Aleardo Lodi, il ragioniere Alfonso Postorino ed il farmacista Giuseppe Postorino, è certo che Cresci era dominato completamente dalla moglie, che non faceva altro che parlare del suo trasferimento e dell’ostacolo rappresentato da Vitale dal quale, a suo dire, era oggetto di persistente persecuzione. Poi aggiunge alla relazione: è voce unanime che essa, con le sue continue querimonie abbia fatto nascere nell’animo del marito il proposito della vendetta e che Cresci abbia, premeditatamente, agito sotto l’impressione delle continue lamentele della moglie.

Le affermazioni di Maddalena Matteis, anche se non sono ritenute attendibili, ed alcune confidenze ricevute fanno sorgere il dubbio che il marito possa soffrire di qualche forma di infermità mentale, probabilmente dipendente da tara ereditaria. Ma poi, siccome i testimoni escussi lo hanno descritto più come permaloso che come malato, più di temperamento irascibile che come organismo inficiato, il dubbio viene fugato e Nicola Cresci viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Reggio Calabria. L’Avvocato Generale presso la Corte di Appello di Messina, competente per territorio, però ricorre in Cassazione chiedendo il trasferimento del processo ad altra sede per gravi motivi di legittimo sospetto e la causa viene assegnata alla Corte d’Assise di Siracusa. La data fissata per il dibattimento è il 5 dicembre 1928 e appena iniziato il dibattimento viene disposta l’esecuzione di una perizia psichiatrica sull’imputato. Ad occuparsene saranno i dottori Gennaro Cantella ed Antonio dell’Erba, alienisti del manicomio giudiziario di Aversa.

Alla fine del periodo di osservazione, i periti concludono:

Quali sono le conseguenze medico – legali che legittimamente ne scaturiscono? Parlando delle anormalità psichiche riscontrate nel Cresci, non abbiamo mai potuto inquadrarle in una formula diagnostica precisa e definitiva, ma abbiamo dovuto far ricorso agli appellativi di paranoidismo, epilettoidismo, con cui appunto vengono designate quelle forme morbose che pur appartenendo alle categorie delle rispettive forme pure e genuine della paranoia e dell’epilessia, non ne presentano in maniera completa e perfetta la sindrome fenomenica. I disturbi riscontrati nel soggetto, però, considerati nel loro complesso, se non sono sufficienti a fare del Cresci un alienato nel pieno senso della parola ed a farlo così entrare nel dominio assoluto della patologia, sono più che bastevoli a metterlo fuori dai confini della normalità e, propriamente, a trattenerlo in quella zona intermedia tra la malattia e la sanità, che è una realtà clinica e giuridica al tempo stesso, in cui vanno collocati i cosiddetti semi infermi di mente. Il delitto, nel quale l’imputato ha portato il riflesso di tutte le sue deficienze e di tutte le sue anomalie, rispecchia fedelmente siffatta condizione di cose. Esso non è il portato di un atto incosciente, immotivato, incoercibile, consumato in condizioni di totale eclissi di volontà e di coscienza dovuto a cause eminentemente ed esclusivamente morbose. Rappresenta, invece, la conseguenza inevitabile di una condizione psichica anomala di natura anch’essa patologica, la quale, pur non abolendole completamente, ha gravemente indebolito, nell’imputato, quelle condizioni psicologiche di libertà e di coscienza sulla cui simultanea integrità può e deve soltanto poggiare il concetto della imputabilità piena ed assoluta. Quindi stabiliscono che al momento del commesso reato l’imputato trovavasi in tale stato di infermità di mente da scemarne grandemente la responsabilità, senza escluderla del tutto.

È il 3 giugno 1929 e il processo può essere ripreso, seppure con questo macigno addosso.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, dà la parola alla parte civile che chiede la condanna dell’imputato secondo il reato ascrittogli. Poi la parola passa alla difesa che chiede che il suo assistito sia condannato al minimo della pena, con la concessione delle attenuanti della provocazione grave e del vizio parziale di mente, come da perizia psichiatrica. Infine, il Pubblico Ministero chiede la condanna ad anni 8 e mesi 4 di reclusione.

La Giuria si ritira per deliberare e quando rientra in aula, il Presidente, in piedi e a capo coverto, legge la sentenza:

La Corte condanna Cresci Nicola ad anni 8 e mesi 4 di reclusione, oltre le spese, i danni e le pene accessorie.[1]

[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria.