
Tra le famiglie Bevilacqua e Berlingieri, ambedue di zingari dalla vita nomade, non corrono buoni rapporti in seguito ad una oscura lite verificatasi nell’estate del 1946 a Roccabernarda, in provincia di Crotone, tra Antonio Bevilacqua, soprannominato “capu ‘e lignu” e Leonardo Berlingieri. Per tale lite, nel corso della quale vi fu uno scambio di percosse e di lesioni originate da una bastonata vibrata da Antonio a Leonardo non vi fu procedimento penale in quanto le parti non ritennero opportuno di sporgere querela, ma da questo momento cominciò a covare un odio profondo tra Antonio da una parte e Leonardo e suo fratello Francesco dall’altro, tanto che il primo cominciò a lanciare gravissime minacce ai secondi.
4 agosto 1947, un anno dopo la lite, fiera di San Leonardo a Catanzaro Marina. Tra i tanti zingari che frequentano la fiera per la compravendita di bestiame ci sono anche Antonio Bevilacqua con sua moglie che si accampano a Catanzaro Marina, e il fratello Leonardo, che si accampa a Catanzaro Sala, dove è accampato anche Francesco Berlingieri con la moglie e i figli.
La mattina del 5, Antonio Bevilacqua mostra spavaldamente in mezzo alla folla una luccicante rivoltella e la mattina del 7 ripete la bravata aggiungendo anche l’esplosione di un colpo al suo cappello lanciato in aria.
È sera, la sera del 7 agosto. Francesco Berlingieri con sua moglie Rosina ed il figlio Antonio escono dalla loro tenda e si avviano verso la fontana poco distante per prendere l’acqua. Al ritorno Francesco allunga il passo lasciando la moglie ed il figlio indietro di circa sessanta metri. Quando Rosina ed il piccolo Antonio sono in prossimità del ponte Germaneto si fermano a parlare con Rosina Passalacqua, cognata della prima Rosina, e mentre discorrono le due donne scorgono Antonio Bevilacqua accovacciato sulla scarpata sovrastante, in prossimità della linea ferrata, a distanza di circa 20 metri.
Nemmeno il tempo di capire cosa ci possa fare là Bevilacqua, che partono due colpi di rivoltella. Istintivamente le due donne si abbassano e vedono il piccolo Antonio accasciarsi a terra e apparire una larga macchia di sangue sul suo petto. Poi si girano verso Antonio Bevilacqua e lo vedono darsi a precipitosa fuga prima verso Catanzaro Marina e poi in direzione opposta perché inseguito dal padre del povero piccolo, che anch’egli ha assistito impotente alla scena di sangue.
– Curnutu! Capu ‘e lignu t’haiu canusciutu! Hai ammazzato mio figlio! – urla la madre del bambino, cominciando a battersi e strapparsi i capelli.
Antonio Bevilacqua riesce a dileguarsi ed il bambino viene portato in fretta e furia all’ospedale di Catanzaro, dove entra alle 23,00 in imminente pericolo di vita perché la pallottola lo ha centrato tra la parte posteriore dello sterno ed il cuore. Purtroppo, verso le 2,30 dell’8 agosto, il piccolo muore e adesso Bevilacqua viene ricercato per omicidio volontario.
Alle 10,30 dell’8 agosto una pattuglia dei Carabinieri nota un uomo in atteggiamento sospetto all’interno del bar della stazione delle Ferrovie dello Stato di Catanzaro Marina e lo ferma. È Antonio Bevilacqua, che viene immediatamente arrestato e portato in caserma.
– Io non c’entro – dice subito – nel momento del dramma mi trovavo in Catanzaro Marina ove mi ero recato con la ferrovia Calabro Lucana, prendendo posto a Catanzaro Sala verso le nove di ieri sera…
Ma il suo alibi viene subito smontato, oltre che dalla madre e dalla zia del piccolo Antonio, anche da due testimoni oculari che lo collocano nell’ora del delitto sul luogo della tragedia. E come se non bastasse, lo smentiscono anche Rocco Passalacqua e addirittura suo fratello Leonardo nel corso di due drammatici confronti. Poi Bevilacqua ci mette anche del suo perché racconta l’omicidio a due compagni di cella, che immediatamente lo riferiscono alle guardie carcerarie e la frittata è bell’e fatta.
Di fronte a tutti questi elementi, che si completano ed integrano a vicenda, ogni dubbio che ad esplodere i colpi contro il piccolo Berlingieri sia stato il prevenuto rimane completamente fugato ed il rinvio a giudizio davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro per rispondere di omicidio premeditato è accordato.
La causa si discute il 20 febbraio 1951 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: le prove raccolte inducono ad escludere l’aggravante della premeditazione e a far ritenere che fra Berlingieri Francesco e l’imputato sia intercorso un vincolo di solidarietà e che, quindi, non si tratti di vendetta trasversale o di un atto di rappresaglia. Invece all’imputato possono essere concesse le attenuanti generiche in considerazione, non solo dell’ambiente in cui i fatti si svolsero, ma anche, e soprattutto, della mentalità che tutt’ora alberga in gente nomade e dai costumi primitivi quali sono gli zingari delle nostre contrade.
Qual è allora il movente per cui è stato ucciso il piccolo Antonio?
Ora la Corte passa a quantificare la pena: la pena che si stima doversi comminare al Bevilacqua è quella, concessa l’attenuante, di anni 18 di reclusione, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.
Non è finita: visti gli artt. 1 e 3 del D.P.R. 29 dicembre 1949 n. 930, la Corte dichiara condonati anni 3 della pena.
La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza 4 marzo 1952 converte il ricorso in Appello, designando per il giudizio di secondo grado la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria.
Portata la causa in aula deve accadere qualcosa che non ci è dato conoscere per l’impossibilità di accedere agli atti e a noi resta una semplice annotazione sulla sentenza di primo grado:
La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 29 dicembre 1952, in riforma della sentenza appellata, assolve Bevilacqua Antonio per insufficienza di prove.
E deve essere accaduto qualcosa che ha scompaginato tutto perché La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, con ordinanza 25 giugno 1953, notificata l’8 luglio 1953, dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.[1]
Allora, chi è perché ha ucciso il piccolo Antonio?
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.