
La sera dell’8 novembre 1943 nella bottega di Francesco Elia, a Cassano Ionio, alcuni amici del proprietario si sono riuniti per passare un po’ di tempo insieme: Pasquale Praino, Giuseppe Marino, Luigi Di Bello e Battista Elia, figlio di Giuseppe il fratello del proprietario. La porta della bottega si apre ed entra Giuseppe Elia per dire al figlio di rincasare, ma dopo varie insistenze, il gruppo lo convince a restare per giocare qualche partita a carte e bere qualche bicchiere, con l’intesa che il perdente pagherà tutto il vino bevuto. Alla fine il perdente è Pasquale Praino che, a malincuore, mette la mano in tasca per prendere i soldi e pagare; nello stesso momento, con un sorriso ironico stampato sulle labbra, anche Giuseppe Elia mette la mano in tasca e dice a Praino:
– Tè ca t’imprést jí i sold pi paghé u dibb’t!
– A mij omminn’ serv’n sold di toj, vafangul tu e i stramurt i mamm’t!
– Ma smettila! Pasquale ha ragione! – sbotta il fratello Francesco e, siccome col vino bevuto la situazione potrebbe degenerare, fa uscire tutti tranne il fratello.
Praino è furibondo e mentre esce dalla bottega urla:
– Stasera devo fare quistioni!
Passati alquanti minuti dall’allontanamento degli amici, anche Giuseppe Elia esce e si incammina verso casa, che è pochi metri dopo quella di Praino. Quando arriva nelle vicinanze della farmacia Cerzosimo, senza nemmeno rendersene conto, gli arriva una coltellata alla guancia destra, che lo sfregia per il resto dei suoi giorni. Non c’è bisogno di un indovino per capire che è stato Pasquale Praino e lo ha subito capito anche Giuseppe che, cercando di tamponarsi la ferita mentre entra nella farmacia per farsi medicare, lo urla ai quattro venti.
Praino viene arrestato e, interrogato, racconta la sua versione dei fatti:
– Persi alle carte e per questo stavo prendendo i soldi per pagare, quando Giuseppe Elia fece il gesto di prendere il portafoglio e mi disse se volevo che mi prestasse i soldi per pagare. Io mi risentii e, sdegnato, rifiutai. Poi Francesco Elia ci fece uscire e trattenne il fratello. Poco dopo io stavo tornando a casa quando Giuseppe Elia mi vide e, riprendendo il discorso interrotto nella bottega del fratello, mi disse “miserabile!”, mentre estraeva dalla tasca un coltello, ma io fui più sollecito e lo ferii per legittima difesa…
Se le cose andarono così potrebbero dirlo Giuseppe Marino e Luigi Di Bello che erano nelle vicinanze della farmacia Cerzosimo, ma sostengono che nulla possono dire sullo svolgimento del fatto. Sarà un bel problema capire chi dei due mente.
– Mio fratello ha torto, ha offeso Praino senza motivo – dichiara Francesco Elia quando viene interrogato, ma questo ovviamente non giustifica il gesto di Praino.
– Sì, feci il gesto di prendere i soldi e di offrirli a Praino per pagare – ammette Giuseppe Elia.
Indagando sullo svolgimento del fatto, i Carabinieri – che ricostruiscono come ha raccontato loro il ferito e cioè come abbiamo letto sopra – fanno una scoperta sconcertante: diversi anni prima Praino era stato ferito da Giuseppe Elia, che per questo fu processato e condannato. Che Praino abbia atteso per anni il momento giusto per vendicarsi? Vedremo. Intanto l’istruttoria viene chiusa e Pasquale Praino viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di lesione gravissima prodotta con arma vietata e porto abusivo di coltello.
La causa si discute il 12 maggio 1944 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: quello che avvenne non poté con precisione essere accertato, malgrado fossero presenti persone; certo è che il Giuseppe Elia dovette fare o dire nei confronti del Praino, dal momento che il fratello Francesco affermò che, dopo allontanati gli estranei, egli fece una lezione al fratello dando ragione al Praino. Il Praino metteva avanti fatti che, secondo lui, dovrebbero farlo dichiarare non punibile per avere agito in stato di difesa legittima. Tutte queste circostanze avrebbero dovuto essere da lui provate e poiché manca qualunque prova, non può essere dichiarato non punibile. Pare, piuttosto, alla Corte, di potere ritenere che concorra, nel caso in esame, l’attenuante di avere il Praino agito nello stato d’ira per fatto ingiusto della vittima. L’imputato, in modo non dubbio anche attraverso la deposizione dell’offeso, alcuni anni fa fu ferito dall’Elia Giuseppe, che riportò condanna ad anni due e diversi mesi per il delitto di lesioni. Quindi i rapporti tra i due non dovevano essere quelli normali e questa non normalità di rapporti la Corte trae anche da qualche circostanza che fu accertata nel periodo istruttorio e nel dibattimento. L’imputato accenna, nel suo interrogatorio in aula, al fatto che, avendo egli perduto il prezzo del vino, l’Elia Giuseppe gli avrebbe fatto offerta di denaro e fece l’atto di prendere il portafoglio, circostanza, questa, ammessa anche dall’Elia. Risulta che il Praino rifiutò l’offerta sdegnosamente, il che significa che l’atto ed il gesto fatto dall’Elia dovette essere tale da suscitare lo sdegno del Praino. Risulta dalla deposizione del fratello dell’offeso che il Praino aveva ragione. Ora, se si tiene conto che il Praino era stato, anni prima, ferito dall’Elia, se si tiene conto che questi deve avere fatto un qualche atto offrendo del denaro per cui l’altro lo respinse sdegnosamente, deve ammettersi che il Praino agì in stato d’ira determinato da fatto ingiusto dell’offeso, altrimenti non avrebbe spiegazione alcuna la “ragione” che l’Elia Francesco dette al Praino. Non può peraltro ritenersi che la lesione provocata dal Praino fu aggravata dalla circostanza di essere stata prodotta con arma della quale è vietato il porto. L’arma non poté essere sequestrata e il ferito non poté dire nulla intorno all’arma. Non potendosi, quindi, dire se l’arma usata era di quelle vietate, viene meno l’aggravante contestata all’imputato e viene meno anche l’imputazione di avere asportato un’arma vietata. Provata, invece, è l’aggravante della recidiva contestata in aula, avendo egli riportato altra condanna alla reclusione.
Tutto chiaro, tenendo conto che non si è potuto ricostruire con certezza ciò che accadde nella bottega la sera dell’8 novembre 1943.
A questo punto non resta che determinare la pena da comminare a Pasquale Praino: prendendo come base la pena di anni 6 di reclusione – a questa pena la Corte è indotta dallo svolgimento del fatto e dai precedenti dell’imputato, mai condannato per delitti contro la persona –, detta pena, per l’attenuante dello stato d’ira, va ridotta ad anni 4, che vanno aumentati di mesi 1 per la recidiva, oltre a spese, danni e pene accessorie.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.