
Sono le 20,00 del primo maggio 1901 e una detonazione scuote tutto il rione Sant’Angelo di Roggiano Gravina, poi delle voci concitate. Cosa starà accadendo sotto l’Arco di Pietrangelo? Nemmeno il tempo di farsi questa domanda che altre cinque detonazioni consecutive consigliano a tutti di farsi i fatti propri evitando di mettere il naso fuori dalla porta. Poi, quando il rimbombo dei colpi è cessato e si sente solo il silenzio, qualcuno esce con una lanterna e, a pochi metri dall’arco, nota una donna distesa per terra bocconi, immobile, con un rivolo di sangue che, uscendole dal collo, sta formando una piccola pozza. A guardare bene si notano anche due macchie di sangue che si allargano sulla parte posteriore della camicetta della donna, che adesso emette dei flebili lamenti.
Il Brigadiere Giovanni Brera e i suoi uomini si sono rivestiti in fretta e furia e arrivano quasi subito sul posto. La donna è ancora lì, immobile e respira a fatica.
– Si sa chi è? – chiede il Brigadiere ai presenti.
– Maria Teresa Servidio, ha poco più di vent’anni…
– Aveva inimicizie? Qualcuno che poteva avercela con lei?
– Una quindicina di giorni fa Pasquale Alfano, il suo ganzo, l’ha lasciata per delle voci che giravano…
– Che voci?
– Si diceva che Carmelo Graziadio, il nipote del Sindaco, l’avea posseduta…
“O l’uno o l’altro…” pensa il Brigadiere che, fatta trasportare a casa la ragazza, si mette sulle tracce dei due uomini. Pasquale Alfano viene trovato in Piazza Garibaldi e portato in caserma, ma di Graziadio sembra non esserci traccia.
– Ho sentito dei colpi mentre giuocavo nel caffè di Ernesto Ambrosiani… potete chiedere a chi era lì in quel momento… – dice Alfano.
Ed in effetti tutti confermano che mentre si udivano i colpi, Alfano stava giocando a carte. Lui non c’entra, così il Brigadiere va a casa di Maria Teresa dove trova il dottor Giovanni Bruno che la sta visitando. La ragazza riprende i sensi ed è in grado di pronunziare qualche parola:
– È stato Carmelo Graziadio al quale io avea pure sparato un colpo di pistola…
Maria Teresa, che vomita di continuo, ha bisogno urgente di essere operata e il dottore Bruno lo fa con mezzi di fortuna sul posto, estraendo due proiettili calibro 9. Il terzo proiettile, penetrato in corrispondenza della prima e seconda vertebra cervicale lato destro, con probabile lesione della sostanza nervosa e con certa lesione delle arterie faringee e qualche altro vaso del collo, non è possibile estrarlo per evitare di causare altri e più gravi danni, compresa la morte della paziente.
Verso la mezzanotte arriva la notizia che Carmelo Graziadio è tornato a casa. Il Brigadiere corre e lo trova a letto con una ferita al ventre. Interrogato, risponde piangendo:
– Servidio Maria Teresa mi avea sparato un colpo al ventre pronunziandomi queste parole: “Tu ti sei andato vantando che mi hai posseduta e tieniti questo!”. Allora io, avendo sentito dolore al ventre ci dissi: “Per carità… sono morto!”. Essa rispose: “Se sei morto ne ho piacere!” e fuggì. Io, che tenevo una rivoltella carica a sei colpi, sparai contro la Servidio fino a che la viddi cadere ed i colpi sparati furono quattro, indi gettai la rivoltella e fuggii.
– Sì, ma com’è che vi siete incontrati?
– Mentre scendevo nella via Roma, Maria Teresa mi aspettava in via S. Cirillo, la quale avendomi visto in compagnia di Ferdinando Ferrari e di Giovanni Fucci, mi chiamò dicendomi: “Carmelo, vieni che ti devo fare un’ambasciata”. Io ci risposi: “Non ci posso venire perché me ne devo andare”. Infine acconsentii ed essa si avviò avanti, invitandomi a seguirla, che mi portò sotto l’arco di Pietrangelo…
– E i due che erano con voi?
– Mi aspettavano in Piazza Plebiscito ed infatti mi aiutarono perché io mi sentivo mancare le forze…
Con l’ammissione di avere sparato contro la ragazza, Carmelo Graziadio viene arrestato ma il suo medico, il dottor Raffaele Belcastro, gli riscontra nella regione ipogastrica una scottatura quasi circolare della estensione di circa otto centimetri, al di cui centro rilevasi una tinta densa rosso-bruna di forma longitudinale. Quantunque non si rilevino fatti generali che accennassero a penetrazioni di proiettili nella parete addominale perché manca il foro d’entrata, pure avuto riguardo alla dolorabilità marcata, giudico che detta lesione arreca malattia per dieci giorni. Una lievissima ferita di striscio, potrebbe essere portato in carcere, ma in attesa della guarigione viene piantonato in casa sua.
Adesso anche Maria Teresa è in grado di parlare, sebbene continui a vomitare di continuo:
– Da qualche tempo correva la voce che Carmelo Graziadio, fin dal mese di agosto, mi avea posseduta, voce partita da Graziadio stesso, il quale ne avea menato vanto. Non andò a lungo e tale voce giunse all’orecchio del mio ganzo Pasquale Alfano il quale, dopo di avermi bastonato, finì per abbandonarmi. Dispiaciuta di tutto ciò, martedì 30 decorso aprile, a mezzo di Fucci Giovanni feci sapere al Graziadio che avrei voluto parlargli e questi, a mezzo dello stesso Fucci, mi rispose che la sera del giorno appresso ci saremmo trovati sotto l’arco di Pietrangelo. Ed infatti venne. Io gli chiesi subito se fosse vero di essersi vantato di avermi posseduto, manifestandogli che per tale vanteria Pasquale mi aveva bastonato e abbandonata. Il Graziadio negò di essersi vantato ed aggiunse che una volta che Pasquale mi aveva abbandonato, egli era buono a mantenermi e in ciò dire cercò di afferrarmi, certamente per sfogare su di me le sue voglie. Io allora, che ero accecata dall’ira, trassi dalla tasca una pistola ed esplosi un colpo contro il Graziadio, dandomi subito alla fuga. Questi mi corse dietro esplodendomi cinque colpi di rivoltella, tre dei quali mi raggiunsero…
– Ma è vero o non è vero che tra voi…
– Il Graziadio non mi ha mai posseduta e non so per quale ragione si sia di ciò vantato…
– Chi ti ha dato la pistola?
– La pistola apparteneva alla mia famiglia e ieri sera la portai con me, non perché avevo l’intenzione di fare del male al Graziadio, ma per precauzione qualora egli tentasse di abusare di me, dato il luogo recondito in cui doveva avvenire l’appuntamento.
– E adesso dov’è la pistola?
– Non so dove sia rimasta la pistola perché io caddi svenuta…
– C’era qualcun altro oltre al Graziadio sotto l’arco?
– Non vidi nessuno…
Il 4 maggio Maria Teresa manda a chiamare il Brigadiere perché vuole fare un’altra dichiarazione e cambia versione:
– Questa è la verità – esordisce –. Verso le 20 del 1° maggio venne a chiamarmi Giovanni Fucci e mi disse: “Va che Carmelo t’aspetta sotto l’arco”. Io ci andai subito per rinfacciargli ciò che aveva detto sul mio conto ed infatti trovai Carmelo Graziadio sotto l’arco, ravvolto in uno scialle e mi disse: “Adesso che t’ha lasciato Pasquale, ora godiamo noi, io sono buono di sostenerti e mantenerti”. Io allora ci dissi: “Perché ti vai vantando che mi hai posseduta mentre invece non è vero?”. lui rispose: “Non è vero che mi sono vantato” e cominciò a sbottonare i pantaloni. Allora io ci dissi: “Che vuoi fare?” e lui rispose: “Lisci, se ne dobbiamo andare?”. allora io ci ho sparato un colpo e fuggii che poi mi inseguì sparandomi cinque colpi che io caddi…
– E la pistola?
– Avendo sentito che Carmelo si vantava che mi avea posseduta, io mi arrabbiai al punto che pensai di ucciderlo ed infatti, avendo visto da molto tempo in casa di Martucci Carlo, bovaro di 21 anni al servizio di Vincenzo Alfano, una pistola a due canne, io ce l’ho cercata e lui mi rispose che l’avea in campagna ed io ci dissi: “Fammi questo piacere, dammela” e lui allora me l’ha promessa, però mi disse che mancava un così detto posterivo; io ci dissi: “Fallo aggiustare” e ci diedi 75 centesimi ed infatti dopo una settimana me la portò giustata e ciò fu verso la metà di aprile. Quando me la diede mi domandò che ne volea fare e mi disse: “Stattene accorta, non mi fare una disgrazia…” ed io ci risposi: “Non pensarci”. La pistola pochi giorni dopo la caricai e ci misi una palla per canna con polvere e dei pallini che avea preso da molto tempo in casa di Alfano Vincenzo e li avea messi in un cassetto in casa mia e le capsule me le avea date Carmelo Graziadio che io ce le avea cercate l’estate scorsa.
Incredibile!
Carlo Martucci viene rintracciato ma, titubante, rispose di non aver dato niente alla Servidio e di nulla sapere. Maria Teresa però insiste e trova il conforto di sua madre che giura di aver visto Martucci consegnare la pistola a sua figlia. Carlo Martucci finisce al fresco urlando la sua innocenza.
Ferdinando Ferrari, l’amico di Carmelo che ancora non è stato interrogato perché fuori dal paese per lavoro, viene rintracciato e dichiara, mettendo in grande difficoltà il suo amico:
– Verso le 19 del primo maggio trovai nel suo negozio Carmelo e ci recammo dal zio Gaetano Caruso per un affare e verso le 20 siamo usciti e trovammo il Fucci il quale si è unito a noi. Carmelo mi disse: “Aspetta cinque minuti di tempo che me ne devo andare a fare un’ambasciata che mi aspetta Maria Teresa sotto l’arco di Pietrangelo” e se ne andò per la via Basile, però Maria Teresa non la viddi passare. Quando poco dopo udii sparare colpi di rivoltella e poscia viddi venire Carmelo dalla via Basile, il quale mi mise il braccio al collo e mi disse: “Maria Teresa mi ha sparato…”, lo condussi a casa di un amico per vedere la ferita…
Insomma tutti stanno nascondendo qualcosa, ma appare chiaro che Carmelo Graziadio, contrariamente a quanto sostiene, l’appuntamento con Maria Teresa lo aveva davvero e ci è andato armato, come Maria Teresa.
Un altro fatto strano è l’arrivo periodico di lettere anonime che appaiono scritte da una persona molto bene informata, che ricostruisce gli avvenimenti del primo maggio accusando di complicità sia il Sindaco di Roggiano, Gaetano Caruso, zio di Carmelo Graziadio, sia il Brigadiere Brera, che avrebbero favorito l’imputato permettendogli di restare a casa ben oltre i dieci giorni di prognosi per la leggera ferita all’addome invece di condurlo in carcere.
Di chi è la responsabilità? La responsabilità sembra essere del dottor Belcastro il quale, proprio nel giorno stabilito per la traduzione di Graziadio in carcere, a richiesta dei R. Carabinieri, ha visitato di nuovo il ferito e lo ha giudicato bisognevole di ulteriori dieci giorni, pur ritenendomi autorizzato confermare ancora la riserva fatta nella precedente dichiarazione per l’accentuato meteorismo della regione offesa che potrebbe essere un preavviso di una peritonite traumatica. E per queste ragioni Graziadio, secondo il medico, è intrasportabile. Il vero problema è che questo certificato viene esibito solo dopo che la bomba è scoppiata e Carmelo Graziadio viene trasferito nell’infermeria del carcere di Cosenza.
Per quanto riguarda Maria Teresa la situazione sembra alquanto diversa a causa del proiettile fermo tra l’origine della carotide primitiva di destra e l’arco aortico e con in corso una polmonite traumatica.
A questo punto la pretura di San Marco Argentano comincia a essere inondata dagli esposti prodotti dal padre di Carmelo che comincia ad accusare esplicitamente Pasquale Alfano, l’ex ganzo di Maria Teresa, di essere il mandante e il vero fornitore dell’arma usata per sparare contro suo figlio. Quindi la ragazza non avrebbe sparato per difendersi dal tentativo di violenza da parte di Carmelo, ma avrebbe sparato con premeditazione, su istigazione di Alfano, come prova che le relazioni carnali non erano vere. Relazioni carnali che invece, in questa nuova strategia difensiva, erano realmente intercorse.
Arriva anche un’altra lettera anonima nella quale si accusa il Sindaco Gaetano Caruso di aver corrotto la madre di Maria Teresa.
Nel frattempo Carlo Martucci, arrestato con l’accusa di aver dato la pistola a Maria Teresa, cambia versione e adesso, confermando quanto ha scritto Vincenzo Graziadio in uno dei suoi innumerevoli esposti, dice che la pistola gliela diede Pasquale Alfano tre o quattro giorni prima del fatto con l’ordine di darla a Maria Teresa. Perché non lo ha detto prima? “Pensavo di poterlo nascondere”, ma quando la moglie è andata a fargli visita in carcere e gli ha detto “che era digiuna dall’epoca della mia prolungata prigionia” e lo ha incitato “a dire quello che sapevo, ha capito che doveva parlare affinché non soffra io ingiustamente pei fatti altrui”. Perché non ha rifiutato l’incarico di consegnare la pistola? “mi prestai all’incarico che lo Alfano mi dava perché ero suo dipendente e credei effettivamente che l’arma dovesse servire alla Servidio per difendersi contro i ladri”. Ma non sembra affatto sicuro che la pistola sia di proprietà di Alfano.
L’istruttoria, a questo punto, sembra indirizzarsi sulla via indicata dai Graziadio e Pasquale Alfano comincia a non dormire più sonni tranquilli.
Per fortuna l’allarme per la vita di Maria Teresa cessa e, anche se non può più usare il braccio e la gamba sinistra, semiparalizzati, viene trasferita nel carcere del capoluogo.
Tutte queste novità fanno sì che il solito e bene, almeno all’apparenza, informato anonimo invii un’altra lunga lettera al Procuratore del re con nuove confidenze: Quasi è certissimo che il Ferraro Ferdinando, di cui le parlavo come complice necessario, è stato unito al Cavaliere Giuseppe, Fucci Giovanni, è il vero autore del fatto che sa molto bene, cioè che Carmelo, la sera del primo maggio, si sarebbe procurato la ferita da solo dopo essere accaduto detto fatto; il Graziadio unito a Ferrari andarono a casa di Francesco Paolo Viola, essendo molto amici e suddito del zio Sindaco perché Guardia Municipale e gli raccondarono il fatto come l’era e dissero “siamo venuti da te onde ricoverarci” e al medesimo tempo il Graziadio non era affatto ferito. Ora, ciò è a dire quando se né andato a casa era ferito. Dopo di ciò ci disse il ripetuto Viola “andatevene di casa mia perché, essendo nella carica che occupo, non posso, anzi se non fosse stato per l’amicizia e per l’onore di tuo zio, vi avrei dovuto arrestare, per cui andate da vostro zio che vi nasconde”. Così fecero veramente. Avendo i RR.CC. perquisito la casa di Caruso, cioè del Signor Sindaco, trovarono il Graziadio. Il Brigadiere, dovendo correre in cerca di altri schiarimenti perché il Graziadio si faceva innocente rispondendo di non essere stato lui, lo lasciò in consegna d’un Carabiniere e del Sindaco e ancora non era ferito. Così pensarono di fare chiedendo il permesso di andare a fare un atto, scese per un cateratto, chiamò il Ferraro che ancora era nascosto e se la diedero a gamba. Il Carabiniere, vedendo che non andava mai, si mise a gridare e andava in cerca; a questa guisa giunse il Brigadiere e non vedendo il Graziadio, mentre in quel frattempo aveva saputo che era stato proprio lui l’autore del fatto, dichiarò il Sindaco in arresto, tanto che lo volevano condurre in camera di sicurezza. Così, vedendosi costretto, andarono tre o quattro individui in cerca del Graziadio e lo fecero costituire dicendogli che altrimenti arrestavano lo zio. Una vera e propria congiura, un’associazione per delinquere, ordita, secondo l’anonimo, da questi veri delinquenti nati, specie il Ferraro, cattivissimo soggetto come può vedere dalla fedina penale, tanto che dice e fa attimorire i testimoni che se menomamente direbbero una cosa contraria, sarebbe come fare Musolino. Quindi conclude: Voglio augurarmi che Sua Sig. trovando giusto quanto sopra gli è stato esposto, facendo risaltare l’innocenza di una proletaria, che da costoro si vuole che soggiacesse ad una pena molto esuberante.
Il Procuratore del re non prende in considerazione quasi niente dello scritto, forse perché l’anonimo si è spinto troppo oltre quando definisce Maria Teresa una proletaria, facendo quasi intendere che tutto ciò che ha scritto finora debba essere ricondotto alla lotta politica in atto a Roggiano e Ferraro è lasciato fuori da ogni accertamento.
Dallo stile e da una veloce comparazione della grafia, l’impressione è che a scrivere le lettere possa essere stato nientemeno che il Brigadiere Brera, certamente il più informato su tutto, anche sul certificato penale di Ferraro, ma forse impossibilitato a muoversi per i legami stretti col Sindaco e la famiglia di questi.
Ed è proprio il Brigadiere Brera che complica la posizione di Pasquale Alfano quale possibile istigatore di Maria Teresa e fornitore della pistola. Sentito come testimone dal Pretore di San Marco, parla di lui come persona intelligente, legata da forte rancore col Graziadio e d’indole così risentita che non si può avere dubbio alcuno che l’Alfano sia stato quello che abbia determinato la Servidio al delitto e le abbia anche fornito il mezzo.
Alla deposizione del Brigadiere segue, puntuale come un orologio svizzero, l’ennesimo esposto di Vincenzo Graziadio che indica una quindicina di testimoni in grado di inchiodare Pasquale Alfano, avendolo visto entrare più volte di notte in casa della ragazza, il quale, dopo un drammatico confronto con Carlo Martucci, il suo principale accusatore, viene arrestato, ma si dichiara, ovviamente, estraneo ai fatti.
E adesso cominciano anche gli esposti del padre di Pasquale Alfano.
C’è un fatto di cui nessuno ha ancora parlato: Maria Teresa e Pasquale hanno una bambina che adesso, con tutti e due i genitori in carcere, è abbandonata a sé stessa. Ma, spiega il Brigadiere Brera, due giorni prima che la Servidio fosse tradotta in Cosenza, costei mi pregò d’intercedere presso Vincenzo Alfano, padre del Pasquale, affinché, dopo la carcerazione di lei, avesse ritirato detta bambina presso di lui. Io parlai di ciò all’Alfano Vincenzo il quale mi rispose che non era alieno di accogliere la preghiera della Servidio ed infatti, dal giorno in cui costei è stata tradotta alle carceri di Cosenza, la bambina è stata ritirata in casa di Vincenzo Alfano, dove tuttavia si trova.
A questo punto, interrogata, Maria Teresa torna sui propri passi e dice che la pistola era sua, lasciatale dal patrigno.
Pasquale, da parte sua, cerca di dimostrare che Carmelo aveva architettato, aiutato dai suoi amici, di uccidere Maria Teresa, colpevole di essersi negata. E per far ciò segue molti dei “consigli” che l’anonimo aveva dato al Procuratore del re: quella sera erano nascosti sulle scale di casa Filippelli e dopo la sparatoria quattro uomini scapparono dall’Arco di Pietrangelo, visti da molti testimoni. Tira in ballo anche la Guardia Municipale Viola, proprio come l’anonimo, che avrebbe detto il falso perché, dipendendo dal Sindaco, doveva fare quello che voleva lui.
È ormai una guerra totale con grande dispendio di denaro e altri mezzi tra i Graziadio-Caruso-Cavalieri da un lato e gli Alfano dall’altro, con la povera proletaria Maria Teresa, vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro, impotente pedina in questo gioco al massacro.
Gli effetti sono chiari quando la Procura Generale del re di Catanzaro formula le richieste alla Sezione d’Accusa: rinvio a giudizio per Maria Teresa Servidio con l’imputazione di mancato omicidio aggravato dalla premeditazione; rinvio a giudizio per Pasquale Alfano per avere determinato, con premeditazione, la volontà della Servidio ad uccidere; rinvio a giudizio per Carmelo Graziadio con l’accusa di mancato omicidio volontario. Carlo Martucci viene prosciolto in istruttoria per insufficienza di prove. È il 19 novembre 1901.
Il 31 dicembre successivo le richieste vengono accolte e si può passare al dibattimento, fissato al 14 aprile 1902.
Il dibattimento è una bolgia con testimoni che accusano ora i Graziadio, ora gli Alfano di avere tentato di corromperli. Così facendo Maria Teresa resta solo il mezzo attraverso cui i due veri protagonisti del processo, le famiglie contrapposte dei Graziadio e degli Alfano, cercano di darsi il colpo mortale.
All’improvviso, durante l’udienza del 15 aprile 1902, Pasquale Alfano sviene. Viene subito chiamato il dottor Angelo Occhiuzzi il quale, dopo aver prestato giuramento come perito, dichiara che l’imputato può restare in udienza solo dopo che si sarà ripreso completamente, ma Alfano dichiara che non si fida di assistere all’udienza e vorrebbe andarsene a letto.
Una delle testimonianze più interessanti è certamente quella del Brigadiere Brera che, smentendo quanto ha affermato in precedenza, in sostanza dà ragione all’anonimo quando dichiara di aver sequestrato gli abiti di Carmelo Graziadio in casa del Sindaco suo zio, due ore circa dopo che fu ferito. E aggiunge: “Osservai la lesione che il Graziadio aveva sull’addome e ritenni che fosse stata prodotta con proiettile d’arma da fuoco. vidi bruciata la fodera della giacca, forato il gilè sotto la tasca in corrispondenza del calzone e della camicia e vidi nel gilè una macchia che mi sembrò di sangue. Il Graziadio era a letto e i panni erano sulla sedia. La macchia sul gilè era umida, la camicia, però, non era macchiata di sangue”. Quindi, adesso, il Brigadiere dice che Graziadio in casa dello zio Sindaco c’era ed era pure coricato a letto. Ma come sia stato possibile che il gilet fosse macchiato di una sostanza umida che gli sembrò sangue e invece i pantaloni e la camicia fossero asciutti, se davvero di sangue si trattava, né il Brigadiere, né nessun altro è in grado di spiegarlo. Molto, molto strano. Che l’anonimo abbia davvero ragione? I difensori di Maria Teresa Servidio insorgono e chiedono che vengano esibiti gli indumenti sequestrati a Graziadio, i quali non solo non presentano tracce di ustione, ma escludono anzi nel modo più evidente che di ustione da proiettile o da altra causa si possa trattare. La Corte rigetta l’istanza e la difesa controbatte chiedendo che si accerti e si proceda per simulazione di reato, e ciò in rapporto alle conseguenze che avrebbe prodotto l’esplosione della pistola, confermata dalla Servidio. Secondo la difesa, inoltre, si dovrebbe sospendere il dibattimento e disporre le indagini di Legge per l’accertamento del possibile reato. Anche questa istanza viene rigettata e il dibattimento va avanti per un paio di udienze con continue schermaglie e accuse reciproche tra le varie parti in causa, fino a che Pasquale Alfano non si presenta in udienza perché accusa convulsioni. Il medico del carcere certifica che l’Alfano non può, senza esporsi a pericoli, lasciare il letto. A questo punto il Pubblico Ministero propone di rinviare l’udienza ma meglio sarebbe se la causa venisse rinviata a nuovo ruolo per accertare le reali condizioni di salute dell’imputato. E così si fa: la causa viene rinviata a nuovo ruolo e Alfano sarà sottoposto a perizia psichiatrica per accertare se le convulsioni di cui soffre, se vere e sussistenti, da che derivanti, abbiano influito al commesso reato. Ad occuparsene saranno i dottori Cesare Elia e Pasquale Rossi. In attesa della perizia la causa viene rinviata di un anno, al 30 aprile 1903. In tutto questo, Maria Teresa Servidio appare sempre più come impotentemente stretta tra le esigenze difensive di Carmelo Graziadio e quelle di Pasquale Alfano, entrambi in grado si spendere grosse cifre per tirarsi fuori dai guai.
La perizia psichiatrica stabilisce che Alfano Pasquale soffre di convulsioni epilettiche fin da quando è in carcere e propriamente dal dicembre ultimo; che dette condizioni vanno assumendo aspetto sempre più grave; che, infine, egli è semi-responsabile dei fatti imputatigli.
È il 24 ottobre 1902 quando i periti consegnano la relazione e Pasquale Alfano è semi-salvo.
Alla ripresa del processo non resta che emettere la sentenza: Servidio Maria Teresa è stata ritenuta colpevole di avere, a fine di uccidere, esploso contro Carmelo Graziadio un colpo di pistola producendogli una lesione personale, con la circostanza di avere volontariamente desistito dagli atti di esecuzione del propostosi fine e con il beneficio del vizio parziale di mente e delle attenuanti e viene condannata a 4 anni e 2 mesi di reclusione; Alfano Pasquale è stato dichiarato colpevole di complicità non necessaria nell’omicidio tentato in offesa di Graziadio Carmelo e, con i benefici del vizio parziale di mente e attenuanti, condannato a 2 anni, 1 mese e 25 giorni di reclusione; Carmelo Graziadio viene assolto perché ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé una violenza attuale e ingiusta. Quindi, sparare alle spalle chi, per la stessa ammissione della Giuria, ha volontariamente desistito dagli atti di esecuzione del propostosi fine è legittima difesa. È il 16 maggio 1903.
Maria Teresa Servidio e Pasquale Alfano ricorrono per Cassazione e questa, accogliendo il ricorso nell’udienza del 20 agosto 1903, stabilisce che si dovrà rifare tutto, questa volta a Catanzaro, dove dovranno comparire solo i ricorrenti perché l’assoluzione nei confronti di Graziadio è valida.
Dopo 3 mesi tutto è pronto per cominciare il nuovo processo. ma il Presidente della Corte dichiara che a causa di una indisposizione sopravvenutagli non è in grado di procedere, perciò rinvia la causa a nuovo ruolo. Si riproverà il 13 maggio 1904, ma anche questa volta va male e del processo non si sa più niente, solo che ormai Pasquale Alfano è libero avendo scontato la pena e che a Maria Teresa Servidio, con il lato destro del corpo paralizzato, manca ancora da scontare 1 anno, 2 mesi e 18 giorni di reclusione.[1]
Anche i poveri al mondo devono essere riguardati. Dovrebbero.
[1] ASCS, Processi Penali.