IL DISEGNATORE OSCENO

Hisilicon Balong

Negli ultimi anni dell’Ottocento a Cosenza Gaetano Marano è un giovane sarto molto bravo e intraprendente che ha aperto la sua bottega a Piazza Piccola e sta sbaragliando la concorrenza. Ma Gaetano ha un piccolo neo nel suo carattere focoso e di tanto in tanto la giustizia gli mette gli occhi addosso, come gli occhi addosso glieli mettono alcuni guagliuni i mala vita, almeno quelli che hanno qualche carta da 10 lire da spendere per farsi cucire un abito. E con qualcuno di questi ci gioca a carte nel Caffè del Popolo, gestito dai fratelli Domenico e Cesare Alemanni, malavitosi anch’essi, o nella bisca di don Stano De Luca, il capo della mala, dove si gioca anche a biliardo.

In una piccola città di provincia dove tutti vogliono apparire meglio di quello che sono, esclusi i nobili che vanno a Napoli, chi ha da spendere, proletari in ascesa e borghesi piccoli medi e grandi, per seguire l’ultima moda va da Gaetano Marano.

Nel 1898 nella sartoria di Gaetano ci va anche un giovanotto, Eugenio Provenzano, che fa lo scrivano alla Provincia (ma siccome vuole fare carriera si è iscritto a un corso per geometra in un convitto di Parma). Eugenio ha una storia particolare: il padre, che fa il cocchiere ed è separato dalla madre – la quale a sua volta ha una tresca con un certo Peppariello De Rose –, qualche anno prima ha salvato il suo datore di lavoro don Giuseppe Rizzo, grande appaltatore di servizi postali e trasporti in genere, da morte certa e questi, per riconoscenza, ha giurato di prendersi cura di Eugenio e di sua sorella Antonietta, facendoli studiare e garantendo loro una vita agiata.

Gaetano ed Eugenio stringono subito amicizia e il sarto va personalmente a casa del nuovo amico a consegnargli l’abito. Quando gli occhi di Gaetano incontrano quelli della sedicenne Antonietta scocca subito la scintilla. Lui se ne innamora perdutamente e comincia a mandarle biglietti. Lei resiste per un po’, poi gli risponde:

Egregio signor

Gaetano Marano

Città

Ho ricevuto con piacere la sua lettera e godo dell’onore che ella mi fa scegliendomi fra tante fanciulle. Così si confermano pure i miei sentimenti con i suoi, ma però la mia posizione in famiglia è tale che non posso pronunciarmi in nessun modo, temendo che col fare di mia sola volontà possa incorrere in serie conseguenze…

Io le dico francamente che non mi pronunzierò mai se prima non ottengo il permesso di mia madre di esporre liberamente i miei sentimenti e se vuole ch’io possa veramente (tanto riguardo alla mia posizione) farla felice e diventare la compagna della sua vita, allora sicuro di sé, e se nulla teme, parli delle sue intenzioni a mia madre.

Sperando che seguirà, per la pace mia e sua, i miei consigli, di nuovo la ringrazio e mi dico di lei devotissima

Antonietta Provenzano

P.S. La prego rispondermi subito al più presto che sia possibile, subito subito

Gaetano e Antonietta continuano a scriversi per qualche mese, poi il sarto compie il passo: manda a casa Provenzano un suo amico chiedendo formalmente la mano della ragazza. Gaetana, Gaetanella come la chiamano tutti, Rizzo, la madre di Antonietta, non si dimostra pregiudizialmente contraria alla proposta ma deve chiedere il consenso don Giuseppe, il quale dovrà fornire Antonietta della dote promessa.

È ‘nu bravu guagliune, tena già ‘na bona posizione, gliela possiamo dare – acconsente don Giuseppe accarezzando la testa di Antonietta che sprizza felicità da ogni poro

E così iniziano le trattative per combinare il matrimonio e il fidanzamento va avanti nell’armonia più totale fino ai primi di giugno del 1900, epoca in cui a don Giuseppe qualcuno va a raccontare che Gaetano dalla briscola tra amici, anche se amici potenzialmente pericolosi, è passato al gioco d’azzardo. Non solo: si è messo nella sartoria un certo Ippolito Spadafora, uno dei peggiori guagliuni ‘i mala vita, uno che costringe la sua donna a prostituirsi nei vicoli più malfamati e la sfrutta selvaggiamente; infine l’uccellino racconta a don Giuseppe che Gaetano sta per giurare fedeltà alla maffia, se non l’ha già fatto e avendosi giuocato tutto quello che avea, era diventato un nullatenente. Don Giuseppe convoca Gaetano, interrompe le trattative matrimoniali, ufficialmente per speciali ragioni familiari, e il promesso sposo viene opportunamente licenziato.

Gaetano non la prende bene e comincia, seppure in modo prudente, a far capire ad Antonietta che lui è seriamente intenzionato a farla sua, costi quel che costi, nonostante la ragazza gli scriva molte lettere per ribadirgli il proprio amore, che non è stata colpa sua,  “te lo giuro sul mio proprio cuore che tu sei l’unico mio bene ed è inutile che tu dici che non ti amo, che son sempre indifferente verso di te, non è mica vero!” ma queste parole non lo calmano affatto, anzi anche la prudenza iniziale va a farsi benedire durante la stagione balnearia nella marina di Fuscaldo, quando Antonietta viene mandata a prendere i bagni accompagnata da sua madre e da sua cognata, la nobildonna parmense Italia Zanacca, e conosce un giovane farmacista di San Marco Argentano, Ferdinando Attanasio, il quale si dichiara subito e chiede la sua mano. Questo sì che è un partito buono! Le trattative cominciano subito e, finita la vacanza, Ferdinando e il fratello maggiore Aristide sono ospiti a Cosenza nella casa dei Provenzano in Via Rivocati. Tutto il vicinato vede l’ingresso in pompa magna degli ospiti e qualcuno lo va a raccontare a Gaetano, il quale comincia a parlare anche in pubblico della cosa:

Non la farò maritare mai, non farò mai accostare nessuno in quella casa, la devo impalmare io perché per il trattamento usatomi ho il diritto di mettermi l’anima sotto i piedi! – dice a donna Gigia, la moglie del conduttore postale, una mattina di settembre 1900.

– Tu non devi passare mai più sotto la casa dei Provenzano – lo ammonisce donna Gigia senza ottenere risultati, se non quello di essere pesantemente offesa e minacciata.

Gaetano rompe traumaticamente l’amicizia con Eugenio e comincia ad andare quotidianamente sotto i balconi di Antonietta per urlare tutto il suo risentimento contro i Provenzano.

Puttana tu e mammata! Curnuti! Spaccinusi!

Intanto a San Marco Argentano il postino recapita una lunga lettera anonima, spedita da Cosenza il 13 settembre 1900, ad Aristide Attanasio con pesantissime accuse nei confronti della madre di Antonietta, una puttana nella vera forma e regola, capace a rovinare famiglie, che non ha avuto ribrezzo a fottersi alla via come i cani e se non lo fa oggi lo è perché è da tutti schifata e disprezzata, del fratello che convive con la madre, mangia sopra lo sperma e dorme con i ganzi della madre. Ovviamente l’anonimo non risparmia nemmeno Antonietta: della figlia meglio sarebbe di non parlare, basta dirvi che è più puttana della madre; una ragazza cresciuta in questa casa di prostituzione e ciò mi rimanda ad un proverbio che dice: “i figli d’i gatti surici piglianu cumu e ra mamma ri figli”. In ultimo un consiglio: pensi un po’ mio caro signore in quale costernazione siate ed informatevi! Informatevi! Ve ne prego e fate fagotto.

Mentre il sudore freddo imperla ancora la fronte del dottor Attanasio, il postino di San Marco recapita, con un sorriso malizioso sulle labbra, due cartoline postali: una indirizzata genericamente al Ricevitore del Registro, che poi si scoprirà essere il quarantaseienne Giovanni Audenino da Chieri:

Egregio Signore

È stato a Cosenza il Dottore Attanasio e quello che ci ha impressionato l’ospitare in casa di Gaetanella la puttana di Giuseppe Rizzo per chiedere la mano della figlia di questa. Vorremmo sapere l’intento di questo Signore per potere così parlare sui giornali di questa famiglia, bella famiglia, e dire che uno è Dottore e un altro farmacista, ma che razza di gente pretendono per meglio la signorina che ha fatto un figlio già. Denaro niente. Propagate.

L’altra all’avvocato Emiddio De Pasquale:

Egregio Avvocato

Abbiamo l’onore di tenerla informata che abbiamo l’onore di avere in Cosenza il Sig. Attanasio tenuto in ospitalità dalla puttana di Peppe Rizzo e dice che vennero per chiedere la mano della figlia della Puttana di Rizzo, signorina che ha già fatto un figlio. Ma che razza di gente avete in cotesto paese e dire che hanno conseguito una laura, come si dice, uno di farmacista ed un altro di medico. Al sol pensarci sposo una figlia di puttana. Fate grazia, partecipatelo a qualche direttore di giornale per potere così dire qualche cosa della moralità di questi vostri paesani si permettono di procurarle

Evidentemente i tre destinatari parlano tra di loro perché un paio di giorni dopo si presenta a casa dei Provenzano un uomo che consegna tre buste contenenti gli scritti anonimi. Attanasio, però, mette nella sua busta anche un altro foglio con poche parole, quelle che bastano per rompere le trattative di matrimonio. L’anonimo, vere o false che siano le cose che ha scritto, ha ottenuto il suo scopo.

-È stato quella merda di Gaetano, mi gioco le palle! – tuona Eugenio Provenzano. Antonietta piange disperata e annuisce, donna Gaetanella sbatte sul tavolo il ventaglio, rompendolo, poi sbotta

– Gliela faccio vedere io a donna Gaetanella… vestiti che andiamo alla Delegazione! – ordina alla figlia.

Sporgono regolare querela ritenendo che l’autore non possa essere altri che il ripetuto Marano Gaetano per i precedenti rapporti, la disonesta animosità, per ripetute minacce antecedentemente espresse e per una chiara somiglianza grafica. Le indagini partono subito e sembrerebbe una cosa facile risalire all’autore degli anonimi, visti gli indizi, ma le cose si complicano perché tutti gli abitanti di Via Rivocati, la strada dove abitano i Provenzano, cominciano a ricevere lettere anonime e disegni dai contenuti osceni che svergognano Gaetana, Eugenio, Antonietta e un certo Ferdinando Sansone, uno studente del Liceo Classico che sta a pensione dai Provenzano, indicato come quello che avrebbe messo incinta Antonietta.

Gaetano, interrogato, si difende dicendo di non essere l’autore delle lettere e dei disegni e aggiunge di essere stato minacciato più volte da Eugenio Provenzano. Interrogati, i vicini di casa raccontano

Fa continue scenate sotto i balconi della casa della giovane

Continuamente dava loro disturbo pretendendo di essere ammesso, non senza fare delle minacce. Per questo fatto il Delegato Pino chiamò il Marano e l’eccitò a non dar luogo a lamentanze

Quindi è Marano che minaccia i Provenzano e non viceversa, anche se ci sono delle strane testimonianze come quelle di Luciano De Luca, ricco proprietario della città, e di suo figlio Stanislao, don Stano come è chiamato dai picciotti della malavita di cui è il capo indiscusso:

È a mia conoscenza per averlo appreso da Gennaro Marano, padre di Gaetano, che il figlio era stato percosso da un tal Peppariello, un cocchiere che notoriamente vive in tresca illecita con la madre della Provenzano – afferma Luciano De Luca –. Gennaro Marano ebbe pure a raccontarmi che il figlio era stato tratto in Via San Giovanni da un tal Pizzarelli, un giovinastro della mala vita che colà gli aveva assestato un buono schiaffo e tutto ciò perché il Pizzarelli si era intromesso nelle quistioni fra i Provenzano ed il Marano a favore di quelli.

Il Marano non dissimulava il suo rincrescimento perché, a suo dire, era stato prima spogliato in quella casa e di poi gli era stata rifiutata la mano della giovinetta – racconta don Stano –. A cagione di tali dissapori erano sorti dei litigi, tanto che una volta io mi trovai presente in Piazza dei Valdesi quando notai un affollamento di persone e si disse che tal De Rose Giuseppe, agnominato Peppariello, intimo di quella famiglia avea malmenato il Marano. Oltre a ciò, una volta costui mi disse anche che era stato schiaffeggiato da uno sconosciuto – da capo qual è non fa il nome del suo picciotto – e tal fatto egli riconnetteva con l’inimicizia verso la famiglia Provenzano. Inoltre mi trovai presente una mattina che non ricordo quando dinanzi il Caffè del Popolo il Provenzano era in attesa del Marano per venire certamente con lui alle mani e siccome tal D’Elia Cesare dovette accorgersi dei tristi propositi dello stesso, se lo prese sotto il braccio e lo condusse seco.

Viene disposta anche una perizia grafica sulle prime lettere anonime inviate ma il perito calligrafo Giuseppe Cremona attesta che a scriverle non è stato Gaetano Marano. Eppure deve esserci il suo zampino perché le lettere contengono riferimenti a fatti che solo lui può conoscere. Certamente, per allontanare i sospetti dalla sua persona, se le fa scrivere da qualcun altro. Ma da chi? questo è il dilemma della Questura.

Anche don Giuseppe Rizzo, tirato pesantemente in ballo nelle cartoline postali, ha ricevuto una lettera dello stesso tenore, ma è firmata da un cocchiere che lavora alle dipendenze dei signori Serra: Domenico Pizzarelli,, il maestro di scherma della Società della Mala Vita. Ma don Peppe non è un uomo che va in Questura a sporgere querela, lui le questioni ha la forza di risolverle di persona, così manda a chiamare Pizzarelli, che non può essere l’autore della lettera in quanto è analfabeta. Allora don Giuseppe gli dice:

Va bbuano Micù, mò vida chin’è statu e pensaci tu, sinnò

– Don Peppì, ‘a cosa è già fatta – anche per Pizzarelli è facile indovinare chi potrebbe essere l’autore della lettera che gli sta procurando il fastidio con don Peppe Rizzo: il suo amico Gatanu ‘u sartu.

Lo va a cercare e non deve fare che le poche decine di metri che separano la stalla di Rizzo a Via Rivocati dal Caffè del Popolo, all’imbocco della stessa strada. Ci sono tutti o quasi i guagliuni i mala vita e davanti a tutti gli molla due schiaffi in faccia, l’offesa più umiliante che si possa immaginare, dicendogli soltanto:

Tu sa ppicchìt’avissa di taglià i ricchiefinisciala.

Ma Gaetano non ha nessuna intenzione di smetterla e quasi ogni giorno continua ad andare sotto i balconi dei Provenzano per inveire e minacciare, sempre accompagnato dal suo compare Ippolito Spadafora. In più, ogni giorno continuano ad arrivare biglietti, lettere e disegni a tutto il vicinato di Via Rivocati. Ai Provenzano va molto peggio perché vengono recapitate loro tre o quattro lettere al giorno e qualche volta anche dieci e più. Di tutti i tipi. Per esempio una sorta di poesia:

Gatana Gatana,

‘nculu ti iettu sta vaiana

E si murra ‘Ntonetta

Curu culu ci iettu sta baionetta

Mi ne vaiu lu muru muru

Pi iri sempri ‘ntra lu pisciaturu

Mi ne vaiu la rasa rasa

Ti vaiu ‘nculu stu misi ca trasa

Senza spiritu e manifattura

Vi fazzu mangiare carni cruda

E iamu gridannu pe tuttu lu munnu

Viva lu cazzu la fissa e lu cunnu

Cacagliu cacagliusu

Ca tieni sempre lu culu ‘nfusu

Pe ti mangiari ‘na ‘nzalata d’agliu

 

Aru culu ti iettasti stu battagliu

Tu nun ce cridia

Ca ‘nculu ti ia

E si sapia su ‘mbruagliu

Aru culu ti iettava su strangugliu

E sempre gridannu viva a Cacagliu

Ca si iettau ‘nculu lu tutumagliu

Pua mi ni vaiu sutta lu muriellu

Pe ire ‘nculu a Peppariellu

E si escia lu studente Fredandu

Lu fazzu murire cacandu

Strunzi che siete

 

Oppure improbabili consigli ironicamente erotici

Direzione generale del biblioteca del Cav. Marino

Caro rotto di culo

Eccoti il listino delle diverse posizioni del Regolamento che prescrive la nostra direzione e che i tuoi certamente l’hanno bene insegnati

1° Taglio di letto

2° Culo a ponte come sempre avete fatto voi tutti

3° Alla zampugnara

4° Alla maritata

5° Ala di mosca

6° Sdrucciola piatto

7° Doppio gusto

8° A rompi chiave

9° Facendo il pane

ed altre che in seguito ti fo sapere.

Hai capito cornacropio e sporcato invecille, tua sorella è già chiavata.

Non basta che il culo e la fessa di tua mamma hanno un sol buco dalla forte rottura e quindi credo che il tuo culo neanche è sano, come pure quello di tua moglie e sorella, porco fottuto, cornuto, non uscire d’altronde te lo rompo.

I mesi passano con questa tensione e un paio di volte si rischia la tragedia, quando Eugenio perde la pazienza mentre Gaetano sta urlando frasi oscene sotto i balconi e scende in strada, ma i vicini intervengono subito e calmano tutto.

Si arriva così alla fine di maggio del 1901, al 23 per l’esattezza, quando Gaetano, in compagnia di Domenico Alemanni incontra lo studente Agostino Ruggiero, anche questo pensionante in casa Provenzano, e il sarto comincia a parlare delle lettere che Antonietta gli ha scritto e poi gliene consegna una da mostrare alla madre di Antonietta, che gli chiede di farsi dare anche le altre. Ruggiero parla con Gaetano e ottiene in risposta un appuntamento per il giorno successivo, quando gli darà una risposta. Il giorno dopo Ruggiero va all’appuntamento accompagnato da Ferdinando Sansone e trova Gaetano in compagnia di Domenico Alemanni e i quattro si avviano verso Piazza Carmine per andare a prendere le lettere. Nella direzione opposta sta camminando Eugenio Provenzano, il fratello di Antonietta, che li incrocia senza salutare. Eugenio forse sente pronunciare da Gaetano Marano una parola che non gli va a genio o forse gli nota sul viso un’espressione di scherno. Fa solo pochi altri passi poi torna immediatamente indietro e, tolto dalla tasca un coltellino da signorina, aggredisce Marano, quindi si dà alla fuga ma l’avversario, ferito leggermente alla coscia sinistra, lo raggiunge dopo sei o sette passi, estrae dalla tasca uno scannaturu e gli vibra diversi colpi, ferendolo a sua volta leggermente. Provenzano, sentendosi inseguito si volta e nel frattempo Marano gli tira un altro colpo, ferendolo al petto. Provenzano, vedendosi ferito, cerca di inseguire Marano il quale, arrivato davanti ad una panetteria, afferra una sedia e cerca di scagliarla contro Provenzano ma viene fermato da un passante, quindi si rifugia nel locale mentre l’altro stramazza a terra privo di conoscenza col cuore trafitto dalla coltellata e destinato a morte certa. Quando Marano vede che tutti i presenti sono impegnati a soccorrere Eugenio, si catapulta fuori dalla panetteria e scappa verso il ponte di Alarico, mentre uno dei presenti gli dice:

L’hai detto che dovevi ammazzarlo e l’hai ammazzato!

È il 24 maggio 1901 e sono da poco passate le otto di sera.

Il coltello usato da Marano è stato recuperato dal giudice Gianfrancesco Sanna Pinna, involontario testimone dell’omicidio, che attraversa la piazza, entra nella caserma dei Carabinieri, consegna l’arma e li avvisa che l’omicida, ferito, sta scappando verso il ponte di Alarico. Due militari si lanciano all’inseguimento, raggiungono Marano e lo arrestano.

Dopo altre due perizie grafiche si stabilisce che le lettere e i biglietti sono stati scritti da Gaetano Marano, che viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio volontario e porto abusivo di coltello vietato e di diffamazione ai danni di Antonietta Provenzano

Il 22 febbraio 1904 la Corte dichiara l’imputato colpevole dei reati ascrittigli e lo condanna, concesse l’attenuante della provocazione grave, a 10 anni, 3 mesi e 10 giorni di reclusione e alla multa di 3.333 lire, ad una liberanza di 2.000 lire alla parte civile, più le spese e le pene accessorie.

La Suprema Corte di Cassazione, il 26 maggio 1904, dichiara prescritto il reato di diffamazione e fissa la pena definitiva in 9 anni e 10 giorni di reclusione.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.