IL FIGLIO DI MIDDIO

Francesco Andreoli e Benedetto Avolio, contadini di Cetraro, possiedono in comproprietà due vacche con le quali lavorano, aggiogandole all’aratro, le terre coltivate da ciascuno dei due. Il 31 maggio 1929, venerdì, tocca ad Avolio utilizzare le vacche e Andreoli manda con lui suo figlio Antonuccio, 10 anni, per dargli una mano e resterà con lui in contrada Varcotravo, nella montagna di Guardia Pemontese, fino a mercoledì 5 giugno, data prevista per la fine dell’aratura, quando il bambino dovrà riportare a casa gli animali.

La sera di mercoledì, però, Avolio manda a dire a Francesco Andreoli che da martedì Antonuccio non è rientrato al pagliaio e che lui ed altri lo stanno cercando in montagna. Francesco, con l’animo oppresso dal timore e dal dolore di una possibile disgrazia, senza dire niente alla moglie ed al padre parte alla ricerca del bambino con i fratelli Michele, Angelo ed alcuni amici. In montagna trovano Avolio ed altri che vanno frugando e guardando per ogni dove. Dopo un po’ arriva anche Rosa, la mamma del bambino, che è stata avvisata dal suocero ed è corsa come una pazza alla ricerca della sua creatura.

– Ma che è successo? – chiedono marito e moglie ad Avolio.

– Ieri mattina Antonuccio stava lavorando con me, quando è venuto Giovanni Ardis a chiedermi di mandargli Antonuccio per aiutarlo in un lavoretto ed io lo mandai. Quando tornò mi disse che per il servizio Ardis gli aveva regalato otto soldi e, poiché non aveva tasche, li diede a Gemma Tundis per tenerglieli. Prima di mezzogiorno si avvicinò a me Ottorino Sesti, il figlio di Middio, stette qualche minuto e poi andò via. Mangiammo del pane con formaggio, un po’ di soppressata e un po’ di buccularu. Tornò Ardis e mi chiese in prestito una zappa per spianare un pezzetto di terra onde trainare dei tronchi da trasportare a Fagnano e io ho mandato il bambino con la zappa e l’ordine di tornare non appena Ardis e i suoi operai avessero finito il lavoro. Quando noi abbiamo finito il lavoro ed Antonuccio non era tornato, mi preoccupai e con tutti gli altri ci mettemmo a cercarlo urlando. Ci rispose il figlio di Middio: “A chini vuliti, a chini vuliti?”. Ed io: “Antonuccio… è andato a prendere una zappa dove i fagnanesi trasportavano le travi e non è ritornato!”. “Sì, l’ho visto io… è andato verso l’alto con un fagnanese!”, ha risposto. Allora dissi tra me e me: “Antonio ha preso la zappa e se n’è andato al pagliaio, lo troverò lì!”. Ma al pagliaio non c’era nessuno, non c’era anima viva nemmeno nei dintorni e cominciai a sospettare qualcosa di sinistro… stamattina siamo tornati ad Arcotravo per riprendere l’aratura sperando di trovarci Antonuccio, ma non c’era e allora ho mandato a chiedere a Giuseppe Rizzo, l’unico fagnanese rimasto a trasportare travi con i buoi, e ha detto… aspettate, eccolo, ve lo dirà lui stesso.

Infatti Giuseppe Rizzo è lì con gli altri a cercare il bambino e racconta loro:

– Ieri, finito il lavoro, restituimmo la zappa al bambino e lui prese la via del ritorno, seguito ad un certo punto dal figlio di Middio e poi non li vidi più.

– Appena avvisato di ciò – continua Avolio – ordinai di andare a chiedere chiarimenti al figlio di Middio, ma era assente e il padre Emiddio Amatuzzi e sua moglie dichiararono che non sapevano alcuna cosa intorno al ragazzetto smarrito. Senza alcuna informazione, andai personalmente a parlare col figlio di Middio ed egli mi ripeté quanto aveva detto il giorno precedente, vale a dire che il bambino si era allontanato con un fagnanese. Gli contestai che Antonuccio non si era ritirato, che non era stato visto da alcuno e allora esso, cadendo in contraddizione ed essendo molto imbarazzato, nelle risposte, dichiarò che il bambino non si era allontanato verso l’alto col fagnanese, ma che era venuto verso il punto in cui io lavoravo. Non riuscii a sapere alcunché di preciso da quel bugiardo e ritornai a Varcotravo, frugando con gli altri di qua e di là, chiamai insistentemente e allora mandai mia figlia Cristina a San Filippo per avvertirvi

Il sospetto che sia avvenuta qualcosa di grave si fa sempre più strada, così Francesco Andreoli e Benedetto Avolio vanno a prendere Emiddio Amatuzzi e Ottorino, il figlio, e li portano a Varcotravo per metterli di fronte alla realtà dei fatti, ma il ragazzo, cinico e taciturno, non risponde alle domande che i due gli rivolgono e parla a mezze parole, aggiungendo di tanto in tanto:

Cu la zappa ‘ncollu l’haju vistu abbuccare ccà

– Ma che cazzo dici? una volta una cosa e una volta un’altra? – gli urla Avolio – Lo vuoi capire che Rizzo ti ha visto mentre seguivi Antonuccio?

Niente. Ottorino si chiude in un ributtante mutismo e se ne va.

All’improvviso un urlo straziante. È Concetta Tundis, la zia del bambino. Antonuccio è ai piedi di una piccola pianta di ontano, nelle acque del torrente Collivo. Cadavere.

Il corpicino è quasi completamente di traverso nell’acqua, girato leggermente sul fianco sinistro, la testa fuori dalla corrente con la nuca poggiata su una pietra irregolare coperta di muschio macchiato di sangue.

La disperazione dei genitori, dei parenti e di tutti i presenti, accalcati sul corpicino, non impedisce ad Avolio di notare alcune stranezze: Antonuccio non ha ai piedi le zaricchie, le calzature tipiche che indossano i contadini della zona, e né la coppola e per quanti sforzi faccia per trovarle nei dintorni non ci riesce.

Il Maresciallo Pietro Trisolini ed il Pretore Alfonso Giannuzzi arrivano sul posto e cominciano ad indagare per capire se si sia trattato di una disgrazia o di un delitto e fanno battere palmo a palmo tutta la zona circostante. Sulla sinistra del torrente si elevano, da un’unica ceppaia, due ontani altissimi, uno a sinistra, alquanto contorto, e l’altro a destra, diritto. Su quest’ultimo trovasi appoggiata una pertica, anche di ontano, che all’estremo inferiore è biforcata e ha parecchie ramificazioni tagliate a modo di pioli. In uno dei rami della chioma dell’ontano cui è appoggiata la pertica si vede un nido di uccelli. Al lato dei due ontani si osservano molte impronte di piedi umani, molti pezzetti di ontano, dei residui di cipolle e un pezzetto di carta di un pacchetto di sigarette nazionali. Presso un roveto sulla destra del torrente, quasi di rimpetto ai due ontani di sinistra, e alla distanza di circa 4 metri, si rinviene la zappa dell’Andreoli Antonio e nelle vicinanze si notano impronte di piedi umani e ortiche e ramificazioni di rovi abbassate. Queste e tante altre considerazioni servono al Pretore ed al Maresciallo per concludere che si ha l’impressione che il bambino non cadde accidentalmente nel torrente in quanto il punto di rinvenimento del cadavere non corrisponde ad un punto di passaggio da una sponda all’altra, ma venne deposto nel torrente già cadavere.

E se il cadavere è stato adagiato in modo tale da far pensare ad una disgrazia, è evidente che si tratta di un delitto ed i sospetti, in base alla dichiarazione di Giuseppe Rizzo e al comportamento di Ottorino, il figlio di Middio, cadono subito su quest’ultimo.

Ma chi è Ottorino Sesti meglio conosciuto come il figlio di Middio?

Ottorino, 13 anni, è stato abbandonato alla nascita a Fagnano Castello e adottato e cresciuto da Emiddio Amatuzzi e sua moglie Maria Giuseppa Quintieri in contrada Lucia di Guardia Piemontese. Ottorino è piuttosto chiuso di carattere ma è sviluppato intellettualmente e non manca di furberia, dicono di lui in paese. Un adolescente “difficile” insomma, tanto che il padre adottivo si lamenta spesso di doverlo percuotere perché dedito al furto; questo lo sanno bene tutti ed in particolare raccontano di quando da un’automobile ferma sulla strada Cetraro – Fagnano tolse una gomma e ne fece zaricchie.

Portato in caserma, Ottorino viene interrogato dal Pretore che gli contesta l’accusa di omicidio volontario:

Vado innocente delle imputazioni giacché non fui io ad uccidere Antonuccio e di conseguenza mi trovo in arresto innocente!

– E tu dov’eri martedì 4 giugno? Hai visto qualcosa?

Mi trovavo come al solito a pascere le mie otto capre nella contrada Varcotravo, e precisamente sulla destra del torrente Collivo, mentre dalla parte opposta era Ernesto Bufaino che faceva pascere le vacche del signor Oliverio. Erano le due o l’una dopo mezzogiorno quando, proveniente dal bosco che resta sulla sinistra del torrente, giunse un giovinetto di undici o dodici anni con addosso una zappa, che si fermò con Bufaino e gli disse che doveva andare a portare la zappa a Rizzo Giuseppe. Poi chiese a Bufaino un campanaccio di vacca, ma quello gli rispose di non poterglielo dare, appartenendo al suo padrone. Alla risposta negativa il giovinetto si arrabbiò e disse: “va piglialu ‘nculu tu e mammata!”. Bufaino, che ha diciassette o diciotto anni ed è inteso col soprannome di “Sciampagna”, avendo perduto da più tempo la madre si offese e fece per lanciarsi contro il piccino, che scappò verso l’alto, sempre sulla sinistra del torrente. Bufaino l’inseguì, lo raggiunse, lo afferrò per le cannarine (per la gola, nda) e lo gettò nel torrente vicino ad un ontano, dove poi fu trovato cadavere. Il piccino, forse per le botte ricevute quando fu gettato nel torrente, morì subito, almeno io, che andai appresso ai due fuggitivi per vedere come finiva la lite, non lo vidi più muovere. Bufaino, che conosco da oltre un anno, ammazzato il bambino, con le vacche se ne andò verso l’alto, allo scarazzo dove custodisce gli animali, ma prima di allontanarsi da quel luogo si avvicinò a me e mi ordinò di non dire il fatto ad alcuno altrimenti avrebbe ucciso pure a me. Io, impaurito, me ne ritornai a casa con le capre e mi guardai bene dal riferire quanto avevo visto e inteso ai miei genitori adottivi.

– Quindi, se non ho capito male, tu non conoscevi il bambino. È così?

Non so neppure che cognome e nome avesse.

– E allora perché tutti ti chiedevano di lui?

Ebbi rivolte molte domande dai miei genitori adottivi e dai Carabinieri, ma io ho sempre dichiarato di ignorare ogni cosa per timore di essere ucciso da Bufaino.

– Però adesso hai raccontato tutto…

Oggi i Carabinieri mi hanno tratto in arresto e ho capito che continuare a mantenere il silenzio può nuocermi, quindi ho deciso di dire la verità.

– E dilla davvero la verità! – sbotta il Pretore.

Non so altro, assicuro ancora una volta che non fui io ad uccidere il ragazzo e che non partecipai in alcun modo al fatto di Bufaino e quindi devo essere scarcerato perché innocente!

– Puoi spiegare a me, dato che ai Carabinieri non hai voluto dirlo, chi ti ha fatto i lividi che hai addosso?

Non l’ho voluto dire ai Carabinieri per vergogna… giorno quattro smarrii una capra e il cinque mio padre adottivo, accortosi della mancanza dell’animale, mi dette tante botte

– Secondo me te le sei fatte nella lite col bambino prima di ucciderlo…

– Non è vero, non ho litigato con nessuno!

– Vedi, noi sappiamo che Emiddio Amatuzzi non ti ha picchiato perché prima di interrogarti glielo abbiamo chiesto e lui ha negato di averti picchiato, quindi dimmi chi è stato e come è stato!

Non so comprendere come mio padre abbia negato di avermi picchiato, ma son sicuro che non negherà in mia presenza!

Non c’è che dire, un vero osso duro! Ma per non sbagliare Ernesto Bufaino viene posto in stato di fermo e interrogato.

Martedì quattro, coi 44 animali vaccini che custodisco, fui in contrada Varcotravo. Vicino a dove facevo pascolare le bestie lavoravano con un paricchio di vacche Benedetto Avolio e altri. Io non avevo che cosa fare visto che gli animali pascolavano in un luogo sicuro e per semplice diletto andai a lavorare per più di un’ora prima di mezzogiorno col paricchio. Dopo andai con gli animali verso l’alto. Tre ore dopo mezzogiorno scesi nuovamente a Varcotravo e mi misi a pascere gli animali sulla destra del torrente e vidi sulla sinistra che Agostino Cianni attendeva pure al pascolo di vaccini. Con Cianni scambiai alcune parole e poi tutti e due vedemmo venire dall’alto, seguendo la sponda destra del torrente, Ottorino il figlio di Middio con sette o otto capre. Come mi vide, forse vide anche Cianni, Ottorino si curvò verso l’acqua e si lavò le mani, continuando poscia a scendere. Era tutto bagnato, aveva una guancia sporca di terra e forse anche di escrementi di vaccini e portava una zaricchia in mano, mentre l’altra l’aveva al piede. Passando da destra a sinistra si avvicinò a Cianni ed anche io passai a sinistra. Da vicino constatai che aveva tutti i vestiti bagnati e notai che non scherzava come faceva sempre, ma era piuttosto taciturno. Io e Cianni gli chiedemmo spiegazioni e lui rispose: “Sono caduto nell’acqua. Volevo passare il torrente in un certo punto, ho scivolato, sono caduto nell’acqua, mi sono bagnato e mi si è rotta la zaricchia”. Stemmo uniti in quel punto un po’ di tempo e mentre Ottorino si aggiustava la zaricchia gli dissi qualche parola di scherzo ed esso mi rispose: “’A puttana i mammita, va piglialu ‘nculu tu e mammita!”. Risposi: “Lascia stare mamma, io sono senza madre” e l’incidente finì. Ad una certa ora io, con i miei animali, me ne andai allo scarazzo e gli altri due rimasero lì. Non li rividi successivamente.

– Ottorino non ti ha detto dove era stato?

– No, ma da dove scendeva poteva ben provenire dal luogo in cui fu rinvenuto il cadavere di Antonuccio, che io conoscevo perché amico di tutta la sua famiglia e perché devo sposare una sua lontana parente.

– Sai se Ottorino e Antonuccio si conoscevano?

Si conoscevano da più tempo ed io parecchie volte li vidi insieme pascere gli animali a Varcotravo e ragionare.

– Che tipo è Ottorino?

È un ragazzo abbastanza sviluppato intellettualmente. Distingue il bene dal male, ma è cattivo con tendenza spiccata al furto e se uccise Antonuccio agì con pieno discernimento.

– Il problema è che Ottorino ti accusa di essere stato tu ad uccidere il bambino. Che hai da dire?

Tale accusa non la prendo nemmeno sul serio, essendo sicurissimo della mia innocenza. Tutti sanno chi sia io. Ottorino mi ha accusato nella speranza di discolparsi o per fare uno scherzo alla Giustizia, ma con l’accusa ha dimostrato il suo cinismo, il suo sangue freddo, la sua tendenza al male e al delitto.

– Quando hai visto Antonuccio per l’ultima volta?

La mattina del quattro, prima di mezzogiorno, quando andai a lavorare da Avolio e quando venne lì anche Ottorino.

– Quando vedesti Ottorino bagnato e senza la zaricchia, hai notato se aveva un labbro gonfio?

– No, non me ne accorsi.

Interrogato, Agostino Cianni conferma il racconto di Bufaino, che viene scarcerato.

Ottorino, interrogato di nuovo, continua ad accusare Bufaino e insiste nel dire che non conosceva Antonuccio. Ripete le stesse cose nel terzo interrogatorio, ma adesso si spinge oltre: Antonuccio fu ucciso da Bufaino dopo essere stato insieme a lui e ad Agostino Cianni che, a suo dire, fu il primo ad allontanarsi dagli altri due.

A questo punto il Pretore decide di mettere a confronto Ottorino e Agostino Cianni, che lo smentisce categoricamente e Ottorino comincia a perdere il suo sangue freddo, riuscendo solo a dire:

Io non so niente… io non so niente… io non sono stato…

E dici chi è stato! Dici come è andato il fatto! – lo incalza Cianni.

Io non so niente… io non so niente… – continua a farfugliare.

Ormai è chiaro che Ottorino sta calunniando Ernesto Bufaino e il Pretore gli contesta anche questo reato, ma Ottorino, che ha riacquistato il suo sangue freddo, continua a sostenere la sua tesi e adesso ricostruisce minuziosamente tutti i suoi spostamenti e tutti gli orari in cui dice di avere incontrato varie persone, di cui fornisce i nomi. Perché non lo ha fatto prima? “Perché avevo dimenticato parecchie cose”, risponde al Magistrato che glielo contesta. Interrogate le persone da lui nominate, tutte lo smentiscono categoricamente. Sembra proprio che il cerchio si stia chiudendo, ma manca ancora un movente che spieghi perché Ottorino uccise il bambino. Ma il figlio di Middio, nonostante i suoi 14 anni appena compiuti, è un osso duro e non c’è verso di convincerlo ad aprirsi, confessare e liberarsi la coscienza dall’orribile peso dell’orribile delitto. Allora, se non è possibile conoscere il movente dalla sua voce, i Magistrati, con gli elementi raccolti, delineano logicamente la dinamica dei fatti:

il complesso di elementi gravi, precisi e concordanti che si lumeggiano e si completano a vicenda, inducono a ritenere che, mentre i due scendevano lungo la sponda del fiume, sia sorta tra loro una disputa nella quale si azzuffarono scambiandosi pugni, calci e unghiate e poiché il Sesti era il più forte a causa dell’età, non gli fu difficile sopraffare il piccolo avversario, causandogli quelle molteplici lesioni che ne determinarono la morte ed indi egli stesso dovette collocare il cadavere nelle acque, nella lusinga che venisse trasportato dalla corrente. Non risulta la causale, ma per il Sesti, cresciuto nei boschi e che da poco aveva compiuto il tredicesimo anno, fu causale adeguata anche una futile divergenza, sia pure per il possesso di quel nido sull’ontano poco lontano, rilevato dal Pretore sulla località.

La conseguenza è che Ottorino Sesti, il figlio di Middio, il 6 febbraio 1930 viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio volontario e calunnia.

È il Codice Penale vigente che non ammette differenze di trattamento tra un quasi bambino (anche se adusato al furto e con una personalità “difficile”) ed un adulto. Ed in entrambi i casi, bambini ed adulti, se condannati, saranno rinchiusi nello stesso carcere e nelle stesse celle con tutte le conseguenze del caso.

La causa si discute il 27 novembre 1930 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti ritiene che non ci sia la prova certa della volontà omicida, come non c’è la certezza che l’accusa contro Ernesto Bufaino sia stata fatta con consapevolezza e quindi decide, col parere favorevole del Pubblico Ministero di derubricare il reato da omicidio volontario in omicidio preterintenzionale. La difesa, dal canto suo, insiste nel chiedere l’assoluzione per non aver commesso il fatto o, in subordine, che venga riconosciuta l’attenuante della provocazione grave.

Il 7 febbraio 1930 la Corte emette la sentenza: Ottorino Sesti è responsabile di omicidio preterintenzionale e, concesse le attenuanti generiche e della provocazione grave, oltre quella che gli spetta per l’età minore degli anni 14, lo condanna ad anni 2 e mesi 6 di detenzione, di cui un anno condonato per effetto del R.D. 1-1- 1930. Nello stesso tempo lo assolve dal reato di calunnia.[1]

In ricordo di Antonuccio.

[1] ASCS, Processi Penali.