Francescantonio Condina da Sant’Eufemia d’Aspromonte ha sedici anni, fa il tornitore ed è fidanzato con la coetanea Alba Reinaldi, orfana di padre. La notte del 15 marzo 1939, approfittando del fatto che la ragazza dorme da sola in casa perché la futura suocera è andata a Seminara da alcuni parenti, penetra nella casa e la costringe a congiunzione carnale.
La mattina dopo, appena la madre torna a casa, Alba le racconta la violenza subita e la cosa viene a conoscenza dei parenti, che vanno a casa di Francescantonio per chiedere ai genitori che ripari col matrimonio al fallo commesso. Vincenzo Condina, il padre, e sua moglie Francesca dapprima oppongono un netto rifiuto ma poi, per evitare possibili rappresaglie, acconsentono e nel mese di maggio fanno richiesta delle pubblicazioni matrimoniali.
Però la mattina dopo essere stati al Comune Alba ed i suoi familiari hanno una brutta sorpresa: Francescantonio è stato mandato dai genitori a casa di uno zio Carabiniere in Sicilia e poi a San Vito sullo Ionio, allo scopo evidente di evitare il matrimonio riparatore. Ovviamente la cosa viene presa malissimo dalla famiglia della ragazza, che querela il seduttore e manifesta chiaramente il proposito di trarre vendetta contro di lui, qualora il progettato matrimonio non si verifichi. Il più imbestialito dei parenti di Alba è lo zio materno Natale Gioffré, calzolaio ventinovenne, che ha allevato in casa sua la nipote da quando rimase orfana.
– Un giorno o l’altro l’ammazzo e ammazzo anche il padre e la madre! – è la minaccia che ripete spesso in pubblico.
La mattina del 18 agosto 1939 Natale Gioffré è in piazza Vittorio Emanuele, quando vede passare la madre di Francescantonio. La rincorre, la blocca e l’aggredisce con calci e pugni, facendola cadere a terra e poi la calpesta, rompendole il labbro e procurandole diverse contusioni su tutto il corpo. La donna, soccorsa dai passanti, viene portata a casa dei suoi anziani genitori, mentre Gioffré sparisce dalla circolazione per evitare di essere arrestato.
È il 19 agosto e Natale Gioffrè è tornato in paese, incurante del mandato di cattura che pende sulla sua testa. Addirittura passeggia nervosamente avanti e indietro sulla piazza, tenendo le mani, che stringono un robusto bastone, dietro la schiena.
Vincenzo Condina, il padre del seduttore, deve andare a trovare sua moglie Francesca, ancora immobile a letto in casa dei suoceri. È pensieroso, sa che Gioffré è un tipo pericoloso – si dice che sia della malavita del paese – e alla fine decide di mettere in tasca una rivoltella che detiene abusivamente. Esce di casa e per andare dai suoceri deve necessariamente passare per la piazza, dove in quel preciso momento c’è una sola persona: Natale Gioffré!
All’improvviso rimbombano due detonazioni. Molte persone accorrono e vedono Gioffré, con una larga macchia di sangue sulle spalle mentre sta lottando con Vincenzo Condina, che ha il viso tutto insanguinato, tenendolo stretto per la gola. Poi Condina riesce a liberarsi della stretta e scappa, mentre Gioffré si allontana per una via di campagna e poco dopo cade a terra privo di sensi in una cunetta.
Vincenzo Condina, trafelato per la corsa fatta, bussa alla caserma dei Carabinieri in preda a forte agitazione e col viso ancora imbrattato di sangue e, al Maresciallo Elia che lo interroga, racconta:
– Sono stato affrontato e percosso con un bastone da Natale Gioffré… quindi ho sparato contro di lui due colpi di rivoltella all’impazzata… non mi sono nemmeno accorto se l’ho ferito o meno…
Prima di correre sul luogo, il Maresciallo fa chiamare il medico che visita Condina e gli riscontra numerose contusioni, escoriazioni, tagli e lo spostamento di un incisivo. Arrivati in piazza, i Carabinieri vengono indirizzati sulla stradina imboccata da Gioffré e, percorse poche decine di metri, lo trovano a terra ancora vivo ma incosciente. Requisiscono un’automobile e lo spediscono all’ospedale, dove non arriverà mai perché muore dopo pochi minuti. Ad ucciderlo è stato il colpo che lo ha attinto al petto trafiggendo l’aorta ed uscendo accanto alla scapola destra. L’altro colpo gli ha frantumato l’osso mascellare inferiore.
Durante i primi accertamenti svolti in piazza, i Carabinieri rinvengono la rivoltella, caduta di mano a Condina durante la colluttazione e raccolta da un testimone. La cosa strana è che non c’è il bastone che, a detta di Condina, è stato usato dal suo aggressore per colpirlo. Questo convince i Carabinieri e i Magistrati inquirenti che si è trattato di omicidio volontario. Poi Condina viene interrogato di nuovo per ricostruire le vicende che hanno determinato il tragico epilogo e chiarisce:
– Sebbene mio figlio avesse negato di avere avuto rapporti carnali con la ragazza, io consentii che si facessero le pubblicazioni matrimoniali perché Gioffré aveva minacciato di morte me e tutti i miei parenti. Dopo la prima pubblicazione ho fatto allontanare il mio figliuolo mandandolo in Sicilia da un suo zio, Brigadiere dei Carabinieri, allo scopo di evitare il matrimonio e poi a San Vito sullo Ionio. Il 18 agosto mia moglie è stata aggredita e percossa da Gioffré e la mattina dopo, dovendo andare a trovarla a casa dei miei suoceri, mi sono armato di rivoltella per precauzione e sono uscito. All’imbocco della piazza, proprio nello stesso punto dove era stata aggredita mia moglie, mi sono imbattuto in Gioffré, che mi si è lanciato addosso e con un bastone ha cominciato a tempestarmi di colpi. Sono riuscito ad evitare i colpi alla testa parandoli col braccio sinistro, ove ho ricevuto due bastonate. Gioffré mi si è avventato contro prendendomi per la gola ed allora io, estratta la rivoltella, ho esploso contro di lui due colpi, senza accorgermi se l’avessi oppure no ferito. Nella colluttazione la rivoltella mi è caduta, io sono scivolato e Gioffré mi ha di nuovo preso per la gola, finché sono riuscito a svincolarmi e a scappare, dirigendomi verso la caserma dei Carabinieri…
Ma c’è sempre il problema del bastone che manca, così, terminate le indagini, il 15 dicembre 1939 Vincenzo Condina viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Palmi per rispondere di omicidio volontario e porto abusivo di arma da fuoco.
La causa si discute il 3 febbraio 1940 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, supera il problema del bastone e osserva: accertato, dal lato obiettivo e specifico, l’episodio del 18 agosto 1939 in cui Bagnato Francesca, moglie dell’imputato, fu aggredita e percossa dal Gioffré; accertata la fiera inimicizia fra i Condina ed i familiari di Alba Reinaldi, occorre ricostruire l’episodio finale del 19 agosto ed esaminare se a Condina, autore dell’uccisione del Gioffré, competa o meno la discriminante della legittima difesa, per lui invocata dal difensore. È certo che il giudicabile, dopo le minacce di morte profferite da Gioffré e le percosse da costui inferte alla moglie, aveva serio e grave motivo di temere ulteriori rappresaglie e sanguinose vendette da parte dell’avversario il quale, più di ogni altro era rammaricato pel fatto che la nipote, da lui allevata con paterno affetto, era stata sedotta da Condina Francescantonio e poscia abbandonata per consiglio dei genitori. Non è, quindi, a meravigliarsi che Condina Vincenzo quella mattina, nel recarsi a visitare la moglie, si fosse armato di rivoltella, giacché ciò egli dové fare per precauzione, come egli dice, non già per aggredire o trarre vendetta del Gioffré, anche perché non sapeva, né prevedeva, che avrebbe incontrato costui, datosi alla latitanza per il fatto del giorno precedente. Il Gioffré fu visto da due testimoni, con un bastone in mano, passeggiare su e giù per la piazza, come se aspettasse qualcuno. Riesce evidente, quindi, che Gioffré fu il primo ad alzare il bastone non appena si incontrò col Condina e tutto ciò è in piena armonia con quanto affermano i testimoni che, appena udite le esplosioni dei colpi, videro l’imputato col viso insanguinato colluttare con Gioffré. È chiaro, quindi, che i colpi di bastone che produssero le lesioni a Condina erano stati inferti non già durante la brevissima colluttazione che seguì ai colpi di rivoltella, ma in un momento precedente e cioè appena i due avversari si erano incontrati sulla piazza. La circostanza che Gioffré, a causa della grave ferita all’aorta per cui morì quasi istantaneamente, perdette immantinente le forze e non avrebbe quindi potuto reagire col bastone, dimostra vieppiù che le bastonate precedettero i colpi di rivoltella, mentre il fatto che Condina ebbe a riportare, fra l’altro, ecchimosi all’avambraccio sinistro ed al palmo della mano, conferma che egli protese il braccio sinistro allo scopo di evitare i colpi di bastoni sulla testa. Infine, Condina si recò immediatamente nella caserma dei Carabinieri. Ciò premesso, è certo che Condina venne a trovarsi nella necessità di difendersi da una aggressione in atto, che metteva in grave pericolo la sua incolumità personale in quanto Gioffré, pericoloso e temuto pregiudicato, aveva esternato propositi di vendetta contro tutta la famiglia Condina. Né può dirsi che l’imputato, facendo uso della rivoltella ed esplodendone due colpi, abbia ecceduto i limiti della necessità della difesa, giacché egli fu costretto a reagire alla violenza con l’unico mezzo che aveva a disposizione e, d’altro canto, aveva ragionevole motivo di temere che Gioffré avrebbe continuato ad inveire contro di lui in modo più grave e lo avrebbe ucciso.
Pertanto, avendo agito in stato di legittima difesa, non è punibile e va assolto dall’imputazione di omicidio.
Per il porto di rivoltella senza licenza, la Corte stima giusto infliggergli mesi 2 di arresti, oltre alle spese.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Palmi.