LA GALLINA

Nel pomeriggio del 9 ottobre 1932, a Crosia, il sessantanovenne Gennaro Modaro afferra l’unica gallina che possiede e si prepara a scannarla per poi cucinarla.

– Che fai? Lascia la gallina ché fa le uova! – gli urla sua moglie Raffaela.

– L’ammazzo, non abbiamo niente da mangiare! – le risponde.

– Bravo, così da domani in poi non abbiamo nemmeno l’uovo!

Da una parola all’altra i due stanno per venire alle mani, così la loro vicina di casa, Angelina Cardamone, crede opportuno intervenire per evitare che Raffaela le prenda dal marito e l’allontana, poi si volta verso Gennaro e gli urla:

Cornuto! Debosciato!

A queste parole l’uomo monta su tutte le furie, prende l’accetta che gli sarebbe dovuta servire per uccidere la gallina e corre verso la casa di Angelina, che è ancora davanti la porta di casa, la raggiunge e le tira un fendente al viso, aprendole in due la guancia sinistra, lasciandola sfregiata per il resto della vita.

Gennaro viene arrestato e, interrogato, dice:

L’ho colpita dopo essere stato ingiustamente aggredito dalla Cardamone con graffi e pugni

Ma è evidente che sta tentando di far passare il ferimento come legittima difesa perché non ha addosso né graffi e né lividi. Però è certo, attraverso numerose testimonianze, che Angelina Cardamone non si limitò a fare soltanto opera di pace tra i coniugi, ma si spinse anche ad offendere in modo abbastanza grave il suo feritore. Le indagini, quindi, sono facili e veloci, tanto da consentire al Giudice Istruttore, il 21 novembre successivo, di emettere la sentenza di rinvio al giudizio della Corte d’Assise di Rossano a carico di Gennaro Modaro, che dovrà rispondere di lesioni volontarie aggravate.

La causa si discute il 16 marzo 1933 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva che Angelina Cardamone prima di essere colpita offese in modo grave l’imputato, naturalmente ciò determinò in costui un giusto risentimento che ebbe un’esplosione immediata col ferimento. se queste sono le modalità del fatto, indubbiamente all’imputato compete la diminuente della provocazione, concorrendo una reazione avvenuta in uno stato d’ira, determinato da un fatto ingiusto altrui.

Allora la difesa, tentando di trarre il massimo dall’affermazione della Corte e di alcuni testi a discarico che lo definiscono un quasi idiota perché sopporta senza reagire gli scherzi che gli fanno continuamente, chiede che al suo assistito sia riconosciuto il vizio totale di mente o, in subordine, il vizio parziale, ma la richiesta viene respinta perché la totale o parziale mancanza della capacità d’intendere e di volere deve risultare da accertamenti tecnici e non da semplici deposizioni di testimoni che, anche a non volerle ritenere compiacenti, non possono mai costituire la fonte per una indagine così difficile e delicata. Potrà il Modaro sopportare gli scherzi e gli scherni dei suoi concittadini, ma non per questo lo si può ritenere minorato di mente, specie poi se da tutte le altre manifestazioni della vita e dal contegno serbato durante l’istruttoria e mantenuto nel pubblico dibattimento risulta essere un uomo completamente normale.

Detto questo, la Corte afferma la piena responsabilità dell’imputato in ordine al delitto contestatogli e ritiene giusto, partendo da anni 6, più un terzo per l’aggravante dell’arma, meno un terzo per la provocazione, condannarlo ad anni 5 e mesi 4 di reclusione, oltre alle spese e alle pene accessorie.

Ma a Gennaro Modaro compete il condono di tre anni, concesso col R.D. 5 novembre 1932 N. 1403, in quanto non si deve tener conto delle condanne riportate fino al 1887 per essersi verificata la riabilitazione e neanche di quella riportata nel 1918 perché estinta per amnistia. Resta soltanto quella del 1921, che non è di ostacolo alla concessione del beneficio.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Rossano.