DIFESA PERSONALE

Il 14 agosto 1944 Biagio Oliverio, trentottenne da San Giovanni in Fiore, va dai Carabinieri e presenta una protesta scritta contro Bomparola Saverio, il cognato di questi Spadafora Giovanni, la nipote De Luca Maria e tal Pasqualino Francesco per minacce e molestie, ondeché il Maresciallo Carmelo De Sclapani invita in caserma costoro, diffidandoli verbalmente a non più minacciare e molestare Oliverio. Perché? Perché Oliverio ha incolpato Bomparola e gli altri di avere commesso un furto di grano ai danni di Giuseppe Laratta e Domenico Fragale nella notte tra l’11 ed il 12 agosto 1944 e per questo i denunciati lo hanno minacciato e molestato.

C’è da dire che il Maresciallo ha provveduto a perquisire l’abitazione di Bomparola, trovandovi del grano, che però non era quello rubato. Anche Pasqualino subisce la perquisizione, ma nemmeno in casa sua c’è la refurtiva e Oliverio, per ammissione dello stesso Pasqualino, si è scusato dicendogli che delle persone gli avevano riferito che lui e Bomparola erano gli autori del furto. E se con Pasqualino l’incidente sembra essersi chiuso, i problemi sorgono con Bomparola che ferma il fratello uterino di Oliverio e gli dice che gli avrebbe fatto gonfiare il muso a cazzotti.

– Meglio che ti guardi – lo avvisa il fratello.

È il 27 maggio 1945 e dall’incidente sono passati poco più di nove mesi. Nel pomeriggio Bomparola trova Oliverio nella cantina di Salvatore Urso. Oliverio è girato di spalle e non vede l’uomo che, improvvisamente e senza alcun motivo apparente, lo afferra per la gola e lo rovescia su di un tavolo. Immediatamente il cantiniere, sua moglie e altri avventori intervengono e impediscono che accada qualcosa di brutto, poi cacciano dal locale Bomparola, che però si apposta in quei pressi in attesa che Oliverio esca. Infatti, dopo una decina di minuti la porta della bettola si apre, Oliverio esce e Bomparola come un fulmine gli si lancia addosso afferrandolo di nuovo per la gola e cominciando a tempestarlo di pugni. A questo punto Oliverio toglie di tasca un coltello e colpisce per quattro volte l’aggressore alla guancia sinistra, ma una coltellata arriva a recidere la carotide e per Bomparola non c’è niente da fare perché muore dissanguato in pochi minuti.

Arrestato, Oliverio si difende:

La mia azione fu determinata dalla necessità imprescindibile di difendere la mia integrità personale contro il pericolo attuale di una ingiusta, premeditata aggressione da parte di Bomparola.

Che la vittima abbia cercato di mettere in atto i propositi di vendetta per il fatto del furto di grano? Possibile, anche se sono passati molti mesi e la rabbia del momento sarebbe dovuta essere ormai svanita. Secondo alcuni degli avventori dell’osteria presenti alla prima aggressione il motivo è un altro, perché sarebbe stata originata da uno scapaccione dato da Oliverio al ventenne Giovanni Marra col quale era venuto a discussione circa la vincita di una partita a carte. A dimostrazione di ciò, i testimoni aggiungono che Bomparola, prima di lanciarsi su Oliverio esclamò “te la pigli con un ragazzo, dovresti pigliartela con me!”. Ma se davvero le cose nell’osteria andarono così, lo scapaccione, le parole e l’aggressione potrebbero benissimo essere interpretati come l’occasione per mettere in atto quella vendetta probabilmente a lungo meditata e cercata.

Ci sono due testimoni, Maria Madia e Filomena Saccomanno, che, interrogate dal Maresciallo aggiungono dei particolari inediti all’aggressione fuori dalla bettola:

Bomparola e Oliverio si azzuffarono scambiandosi pugni e morsi – racconta Maria Madia.

Oliverio aveva la guancia destra intrisa di sangue – riferisce Filomena Saccomanno.

Gli inquirenti, però, non credono né allo scambio di pugni e né ad un eventuale morso ricevuto da Oliverio sulla guancia perché questi non avrebbe omesso di esibire debito certificato medico comprovante che il sangue era fuoriuscito per morso ricevuto da Bomparola. La conseguenza è che Biagio Oliverio viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio volontario e porto abusivo di coltello.

La causa si discute il 9 ottobre 1945 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, allo scopo di rispondere alla richiesta della difesa di dichiarare il non luogo a procedere per avere agito in stato di legittima difesa, osserva: non pare alla Corte, per le circostanze e modalità del fatto (Bomparola era inerme), che nel caso in esame esista la legittima difesa reale. Ritiene, invece, che ha fondamento quella putativa. E spiega: di vero non si può obliterare che Oliverio, dati i precedenti di inimicizia tra lui e Bomparola ed ancora sotto lo sbigottimento della recente aggressione patita ad opera di costui dentro la bettola e sentitosi fuori di questa di nuovo ingiustamente afferrare e stringere alla gola da Bomparola, ha avuto l’opinione erronea che esistesse la necessità della difesa. Si credette, come gli dimostrava il comportamento aggressivo, violento anteriore ed attuale di Bomparola, che era alto quasi un metro e settanta centimetri, mentre egli è più basso, in pericolo di essere da lui accoppato, gli sorse la persuasione di versare nella su detta necessità. Senonché opina la Corte che Oliverio ebbe soverchia precipitazione nella valutazione del pericolo e sproporzione nell’azione. Di fatti, per aversi legittima difesa deve sussistere anche il rapporto proporzionale tra l’offesa e la difesa. Ove questa proporzione manchi perché colposamente la reazione difensiva ha sorpassato i limiti imposti dalla necessità di difendersi, si avrà eccesso colposo di legittima difesa. Ora, Oliverio proseguì l’azione difensiva oltre i limiti imposti dalla necessità di difendersi e, per vero, reiterò i colpi di coltello contro la vittima e usò il coltello, mezzo sproporzionato per eccesso all’azione offensiva di questa. Conseguentemente, l’azione di lui fu esorbitante in relazione al fine di respingere l’offesa e di difendersi.

Quindi Oliverio è punibile e la Corte stima pene adeguate da infliggergli quella di anni 2 di reclusione per l’omicidio e l’altra di mesi 3 di arresti per il porto abusivo di coltello di genere proibito, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie.

È il 9 ottobre 1945.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.