LA RIVOLTA DI SIMERI CRICHI

Nel 1945 il bosco “Gonia”, in territorio di Simeri Crichi, appartiene alla contessa Laura Barracco e non gravano su di esso usi civici a favore degli abitanti del posto i quali, peraltro, da tempo immemorabile con la benevola tolleranza dei Barracco sono soliti accedervi per far legna.

Nel 1945 a Simeri Crichi il Sindaco è il socialista Angelo Grande, promotore della costituzione di una lega e di una cooperativa di contadini aventi – tra l’altro – lo scopo della quotizzazione e coltivazione di appezzamenti di terreno incolto. A questo scopo Grande intavola trattative con l’amministratore della contessa Barracco per ottenere in benevola concessione il bosco Gonia e poter procedere, così, alla trasformazione agraria del bosco e alla immissione di famiglie coloniche paganti un modesto canone. La popolazione, informata dal Sindaco, è entusiasta e piena di speranza in un futuro almeno meno cupo, ma la trattativa si blocca sul nascere per un banale disguido postale, che impedisce l’incontro progettato tra il Sindaco e l’amministratore della Barracco e si comprende facilmente la delusione patita da molti ignoranti contadini per il fallimento della trattativa che, accompagnata dalle promesse del Sindaco, è ormai considerata come l’ottenimento di un diritto sul bosco.

Fallita la trattativa con i crichesi, la contessa Barracco vende il bosco ad un gruppo di abbienti catanzaresi, di cui fanno parte l’avvocato Francesco Caroleo, l’avvocato Fausto Paternostro, il dottor Vitaliano Paternostro ed il geometra Alessandro Mancuso, tutti bene informati delle abitudini, sempre benevolmente tollerate, dei contadini del paese e della loro volontà di ottenere la concessione di terre nel bosco e non sembrano essere contrari, tant’è che l’avvocato Caroleo, ispiratore e magna pars della compravendita, ha più volte manifestato il proposito di assecondare le aspirazioni dei crichesi, ma nei limiti del possibile.

In questo frattempo però sorge una controversia giudiziaria fra i nuovi proprietari e tali Guercio e Opipari, affittuari del bosco, ed il Giudice Istruttore Civile dispone una consulenza tecnica sul posto, affidata all’ingegner Luigi Procopio, da svolgersi tra il 16 e il 17 luglio 1945. Quale migliore occasione per i nuovi proprietari di visitare il bosco e procedere alla sua esatta delimitazione? Così informano il Sindaco Angelo Grande di farsi trovare sul posto, ma questi si mette in contatto con l’avvocato Caroleo e lo sconsiglia perché in paese serpeggia il malcontento per la vendita del bosco e teme incidenti. Ma non c’è niente da fare, i nuovi proprietari sono irremovibili e nel pomeriggio del 16 luglio partono alla volta di Simeri Crichi, a bordo di un autocarro, i seguenti individui: l’avvocato Francesco Caroleo con il ventunenne figlio Franco; il geometra Alessandro Mancuso con i nipoti Silvano, 12 anni, e Antonio, 21 anni; l’avvocato Fausto Paternostro, il dottor Vitaliano Paternostro, suo fratello, Pubblico Ministero del Tribunale di Catanzaro; Giovanni Pugliese e Vincenzo Procopio, agricoltori di Sant’Elia di Catanzaro, conoscenti dell’avvocato Caroleo; l’ingegner Luigi Procopio, consulente tecnico del Tribunale e, infine, il dottor Raffaele Bertucci, comandante il Corpo Forestale della circoscrizione di Catanzaro, invitato allo scopo di esaminare la possibilità di escludere dal vincolo forestale alcune zone del bosco, anche in vista del progetto di concessione e colonizzazione auspicato dai naturali di Simeri Crichi.

Alla comitiva di undici persone, appena arrivata nella piazza principale del paese, si aggiunge il Sindaco Grande e tutti insieme, scortati da un Brigadiere e da un Carabiniere, raggiungono il bosco, alquanto distante dal centro abitato. Dopo circa mezzora che sono iniziate le misurazioni ordinate dal Tribunale all’ingegner Procopio e la visita del fondo da parte dei proprietari, sopraggiunge una turba di circa cento persone, composta da donne, ragazzi e pochi uomini, per lo più avvinazzati, armati di bastoni, roncole e tridenti. Tutti urlano selvaggiamente per ordinare ai forestieri di uscire dal bosco, che deve restare a disposizione dei contadini di Simeri Crichi.

I catanzaresi, circondati, tentano inutilmente di calmare la folla e far capire che la visita è stata ordinata dal Tribunale e che i diritti della popolazione non saranno in alcun modo turbati. Ma i crichesi non se ne danno per intesi e con grida incomposte fanno capire loro che non sarà permesso a nessuno dei forestieri di lasciare il comune se non daranno le più formali assicurazioni in ordine ai diritti dei cittadini di Simeri Crichi, preoccupati sia di veder cessare l’uso del legnatico, sia di non potere ottenere la promessa concessione di terra da destinare alla coltura.

La situazione è molto seria e il gruppo dei catanzaresi lo capisce molto meglio quando, messo in mezzo alla folla urlante, viene scortato in paese e circondato in mezzo alla piazza dalla maggior parte dei dimostranti mentre altri irrompono nel Municipio e trascinano fuori il Sindaco, dove nel frattempo vi si era rifugiato, contro il quale ora si appuntano i più acuti strali della folla inferocita, sul presupposto di un suo accordo fraudolentemente tramato con gli acquirenti del fondo ai danni dei suoi concittadini e ci scappa anche qualche manrovescio. Qualcuno strappa una borsa contenente documenti dalle mani dell’avvocato Caroleo, ma il Brigadiere la recupera immediatamente e gliela restituisce. Caroleo capisce che da un momento all’altro potrebbe accadere qualcosa di irreparabile e, al fine di ottenere la distensione degli animi e la liberazione sua e dei suoi compagni, si induce a rilasciare, su carta da bollo, una dichiarazione (sottoscritta anche dagli altri proprietari) con la quale assicura che i diritti dei cittadini di Simeri Crichi sul bosco saranno rispettati dai nuovi proprietari e che questi ultimi non avrebbero apportato alcuna modifica sul fondo, se non d’accordo con i desideri dei cittadini. No, la dichiarazione scritta non basta a tutti quegli ignoranti contadini, che sentono puzza di bruciato e allora pretendono che l’avvocato Caroleo si rechi a Catanzaro per prelevare il notaio che aveva rogato l’atto di acquisto e faccia ritorno in serata con il notaio e l’originale dell’atto, così da poterlo distruggere alla presenza di tutta la popolazione.

È fatta, sono tutti salvi, basterà promettere, montare tutti sul motocarro e tornarsene alla vita di tutti i giorni. No, non è proprio così: i contadini sono ignoranti perché non hanno avuto la possibilità di studiare, è vero, ma non sono fessi. A Catanzaro deve andare solo Caroleo, tutti gli altri catanzaresi non potranno muoversi dal paese, ostaggi a garanzia del compimento della missione. Caroleo tenta di salvare almeno suo figlio e chiede di poterlo portare con sé, ma forse non ha compreso bene la gravità della situazione e la folla provvede ad avvertirlo che, ove mai non avesse fatto ritorno in serata con quanto richiesto, si sarebbero verificati in Crichi fatti di sangue simili a quelli accaduti poco tempo prima a Minervino Murge [La sera del 24 giugno 1945, in seguito all’arresto di alcune persone accusate di furto nonché ad alcuni giovani renitenti alla leva, scoppiò una rivolta comunista, conosciuta come “la dichiarazione di guerra all’Italia”. Il paese fu trasformata in una fortezza, mitragliatrici vennero installate nei punti nevralgici del paese, furono scavate trincee ed erette barricate lungo le strade principali. Il 29 giugno, dopo i tentativi di mediazione del senatore Mauro Scoccimarro e dei segretari comunisti delle sezioni di Bari e Andria, intervennero il Battaglione San Marco e reparti di Carabinieri inviati da mezza regione che, dopo furiosi scontri costati la vita a Michele Colia, riportarono la situazione alla normalità. Nda] e che il figlio di Caroleo sarebbe stato il primo ad essere ammazzato.

L’avvocato è terrorizzato dalla minaccia e si precipita a Catanzaro, mentre gli ostaggi vengono lasciati liberi di circolare nella piazza del paese, ma senza poterssene allontanare. Sembra che nemmeno il dottor Vitaliano Paternostro abbia capito la gravità della situazione ed esce dalla piazza cercando di raggiungere la casa di un conoscente dal quale era stato invitato per sorbire una tazza di caffè. Bloccato, viene pesantemente minacciato e rimandato a passeggiare in piazza. L’attesa del ritorno di Caroleo col notaio fa sì che la sorveglianza vada man mano affievolendosi e tutti i catanzaresi, dopo aver consumato una frugale cena in una bettola, raggiungono liberamente la caserma dei Carabinieri e tirano un sospiro di sollievo.

Nel frattempo Caroleo è arrivato a Catanzaro, è andato ad avvisare i Carabinieri e insieme al Capitano Grattieri, comandante la Compagnia cittadina, ha convinto il notaio a partire con loro e fare la sceneggiata di strappare in pubblico il contratto di compravendita del bosco, peraltro trascritto frettolosamente per finta in copia, per liberare gli ostaggi.

Caroleo, il Capitano ed il notaio durante il viaggio concordano tutte le mosse da fare per evitare ogni minimo errore che potrebbe portare a conseguenze fatali, ma quando arrivano a Simeri Crichi constatano che tra i rivoltosi si è fatta strada la ragione. Chiamata dal suono delle campane, la folla si raduna davanti al Municipio non più animata da istinti minacciosi. Nessuno pretende più la consegna e la distruzione del rogito originale e bastano poche e persuasive parole del Capitano Grattieri e dell’avvocato Caroleo perché i rivoltosi si diradino pacificamente ed i catanzaresi possano prendere senza alcun ostacolo la via del ritorno.

Ma durante la giornata sono stati commessi dei reati e devono essere perseguiti: violenza privata aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione, grida e manifestazioni sediziose, oltraggio a pubblico ufficiale. Ma chi denunciare? Un paese intero? No, i Carabinieri hanno individuato quelli che ritengono i più facinorosi, in tutto dieci, e arrestano Vincenzo Rania, Salvatore Rocca, Pietro Edoardo Vigetti, Luigi Folino, Salvatore Quirino, Mariangela Poerio e Costantina Rania, mentre Antonio Rania, Giuseppe Rocca e Giuseppina Rocca sfuggono alla cattura. Giuseppina Rubino e Agatina Imberti vengono denunciate a piede libero. Nel corso delle indagini, poi, vengono incriminati e arrestati anche Vincenzo Colao, Raffaelina Colao, Assunta Zangari, Concetta Minnicelli, Antonia Paone e Nicola Rania. Ventuno in tutto. Il 3 maggio 1946 gli imputati, eccetto Costantina Rania nel frattempo deceduta, con esclusione del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, vengono rinviati al giudizio del Tribunale ordinario di Catanzaro ed a tutti viene concessa la libertà provvisoria, mentre ai tre latitanti viene revocato il mandato di cattura. Durante la discussione della causa viene elevato conflitto con la sentenza della Sezione Istruttoria, escludente il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione. Viene disposta la trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione che, il 17 aprile 1947, ritenendo sussistente il reato di sequestro di persona, annulla la sentenza di rinvio a giudizio, dichiara competente la Corte d’Assise di Catanzaro e rinvia gli atti alla Sezione Istruttoria, composta da giudici diversi, per emettere la nuova sentenza di rinvio a giudizio, che viene emessa il 27 ottobre 1949 e vede il proscioglimento di Luigi Folino per non aver commesso il fatto e di Salvatore Quirino per insufficienza di prove. 27 ottobre 1949, due giorni prima della strage di Melissa.

Ma tra la fine di ottobre del 1949 e l’inizio della rivolta di Simeri, il 16 luglio 1945, la tensione sociale in Italia è diventata drammatica a causa dell’aumento dei prezzi, della disoccupazione e della situazione nelle campagne, dove le agitazioni contadine per assicurare l’attuazione dei decreti Gullo sulla riforma agraria sfociano in rivolte e manifestazioni che costano tanti, troppi morti anche tra i sindacalisti che si battono al fianco dei contadini e degli operai. Giusto per citare qualcuno di questi veri e propri massacri, ricordiamo la strage del primo maggio del 1947 Portella della Ginestra, dove i mitra della banda di Salvatore Giuliano, su mandato degli agrari siciliani, uccidono undici contadini e ne feriscono decine; il barbaro omicidio del 10 marzo 1948, quando nelle campagne di Corleone viene trucidato il sindacalista Placido Rizzotto; l’occupazione dei latifondi calabresi nell’ottobre del 1949, quando migliaia di contadini calabresi dei comuni orientali delle province di Cosenza e Catanzaro, con donne, bambini e gli attrezzi da lavoro, occupano le terre lasciate incolte e iniziano i lavori di preparazione della semina. Ma a seguito delle proteste di alcuni parlamentari calabresi della Democrazia Cristiana, il Ministro dell’Interno Mario Scelba invia in Calabria alcuni reparti della Celere, uno dei quali è destinato a Melissa nei terreni del barone Berlingieri e il 29 ottobre 1949 la polizia apre il fuoco ad altezza d’uomo sui manifestanti, lasciando a terra morti i contadini Francesco Nigro, di 29 anni, Giovanni Zito, 15 anni, e Angelina Mauro, 23 anni, e altri 15 feriti, colpiti alle spalle.

In questo drammatico clima torniamo al processo per i fatti di Simeri Crichi, sintomatico per rappresentare il filo del rasoio sul quale la giovane democrazia italiana muove i suoi primi passi. Dopo i rinvii per dirimere la questione della sussistenza del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione il 2 febbraio 1950 si può iniziare il dibattimento davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro, con gli imputati di nuovo detenuti.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva: è necessario, prima di esaminare la posizione dei singoli imputati, se i fatti siano, nel loro complesso, svolti così come narrati nella sentenza di rinvio a giudizio e se tali fatti integrino esattamente gli estremi giuridici delle ipotesi delittuose attribuite agli imputati. Ed invero non può esservi dubbio che l’episodio siasi svolto nel modo riferito. Lo attestano le parti lese, persone di ineccepibile fede, che anzi si sono sforzate di attenuare per quanto possibile le responsabilità dei prevenuti, lo attestano numerosi testimoni, il Maresciallo Cutrì, il Brigadiere Gianfaldone. Non lo negano, in sostanza, gli stessi imputati, pur cercando ciascuno di svicolare la propria responsabilità da quella comune. Quanto alla configurazione giuridica del fatto, i dimostranti agirono col palese e dichiarato intento di ottenere che non venisse soppresso l’uso del legnatico, sia pur sin’allora tollerato, e che non venissero frustrate le aspirazioni di quei cittadini, intese ad ottenere la quotizzazione del fondo. E tale fine cercarono ottenere mediante uno scopo immediato: la distruzione del documento in cui erasi materializzata la vendita del fondo. E se si può discutere sulla giustezza dei fini mediati, non può escludersi che lo scopo immediato mirasse a far conseguire un profitto ingiusto. Tanto è sufficiente a costituire l’elemento intenzionale nel delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione (da 25 a 30 anni di reclusione. Nda), nel quale peraltro non è necessario che lo scopo venga raggiunto. E che al raggiungimento di quello scopo fosse condizionata la liberazione dei catanzaresi non si dubita, ove si tenga conto della missione affidata all’avvocato Caroleo ed al proposito manifesto di trattenere in ostaggio tutti gli altri componenti della comitiva, in particolare il figlio del Caroleo. La Corte ravvisa un unico intento ed un unico processo di attuazione dello stesso nelle complesse modalità e nei complessi aspetti dell’azione della folla. Tutti gli altri episodi di minaccia e di intimidazione posti in essere dalla folla ebbero il solo scopo di restringere la libertà di movimento del gruppo dei catanzaresi allo scopo di ottenere la rinunzia all’acquisto del bosco.

Nuvole nere si addensano sulle teste degli imputati, ma la Corte, rispondendo alle richieste della difesa sulla concessione di varie attenuanti, osserva: ritiene di poter concedere le seguenti attenuanti: 1) Avere agito per motivi di particolare valore sociale. Gli imputati agivano per difendere interessi della collettività, di cui essi fanno parte. 2) Avere agito per suggestione di una folla in tumulto. L’attenuante compete a chi, come nella specie, delinque per effetto di quel particolare stato di eccitamento determinato dal tumultuare incomposto di una folla agitata da passioni non represse. 3) Essersi adoperati spontaneamente ed efficacemente per elidere le conseguenze dannose del reato. 4) Attenuanti generiche. Tutto il complesso dei fatti, l’epoca in cui l’episodio si svolse (che ancora risentiva della turbolenza dell’immediato dopoguerra), l’equivoco in cui quegli ignoranti contadini erano caduti sostenendo di aver quasi acquisito un diritto sul bosco, inducono a concedere siffatta attenuante. Le suddette attenuanti prevalgono sull’aggravante contestata.

È il momento di decidere la sorte degli imputati: Vincenzo Rania e Salvatore Rocca vanno assolti per insufficienza di prove in quanto il Sindaco dichiara di averli visti solo curiosare.

Pietro Edoardo Vigetti, Mariangela Poerio, Giuseppina Rubino, Agatina Imberti, Antonio Rania, Giuseppe Rocca, Giuseppina Rocca, Vincenzo Colao, Raffaelina Colao, Assunta Zangari, Concetta Minnicelli, Antonia Paone e Nicola Rania vengono condannati, scomputate le attenuanti concesse, ad anni 2 e mesi 5 di reclusione, a lire tremila ciascuno di multa, oltre le pene accessorie.

Visto il D.P. 22 giugno 1946 (la cosiddetta “amnistia Togliatti”. Nda), ritenuto che l’episodio fa parte di quel complesso di agitazioni politico-sociali che turbarono il nostro Paese nell’immediato dopoguerra, che il provvedimento di clemenza testé menzionato intese stendere opportunamente un velo di oblio e ritenuto che il reato è stato commesso per motivi politici, dichiara condonata l’intera pena inflitta.[1]

Pochi mesi dopo, il 21 ottobre 1950, il parlamento italiano varò la legge stralcio n. 841 di riforma agraria.

Il provvedimento fu finanziato in parte dai fondi del Piano Marshall lanciato dagli Stati Uniti nel 1947 e la riforma disponeva, tramite l’esproprio coatto, la distribuzione delle terre ai braccianti agricoli, rendendoli così piccoli imprenditori e non più sottomessi ai latifondisti.

In Calabria la Riforma Fondiaria fu affidata all’O.V.S. (Opera Valorizzazione Sila), costituito nel 1947. L’O.V.S. espropriò 75.000 ettari di terreno e ne acquistò altri fino ad un totale di 86.000. Furono costituiti ed assegnati 11.557 poderi e 6.705 quote. Nell’immediato tutti gli assegnatari restarono contenti, ma ben presto le ridotte dimensioni dei poderi, raramente oltre i 10 ettari in montagna e i 5 ettari in pianura, si dimostrarono del tutto insufficienti per permettere un decoroso livello di vita ad un nucleo familiare.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.