SONO CORNUTO!

Anteriormente al 1935, Eduardo Amendola comincia a frequentare come apprendista la bottega del sarto Modesto Funari a Malito. Nello stesso fabbricato c’è l’abitazione del sarto e l’apprendista, per un motivo o per l’altro, comincia frequentare anche questa, facendo amicizia con Marina, la moglie del maestro, e presto mal lo ricompensa poiché ne insidia la pace e l’onore contraendo con lei intime relazioni.

Man mano che passa il tempo, il comportamento degli amanti diventa sempre meno cauto, mastro Modesto comincia a sospettare qualcosa e si mette a spiare la moglie fino a che, in uno degli ultimi giorni di marzo del 1939, accingendosi ad uscire di casa fa capire a Marina che sta andando a casa del vice segretario politico del fascio per la prova di un vestito e invece va a nascondersi in un magazzino poco distante in attesa che la moglie esca per la consueta compera del latte. Poco dopo, infatti, la donna esce e mastro Modesto rientra a casa, si nasconde sotto al letto e aspetta.

Marina rientra accompagnata da sua cugina Ernestina e le confida:

Modesto è diventato geloso, tanto geloso che, figurati, desidera che scoppi la guerra così Eduardo sarà richiamato e magari ammazzato! Ma che morisse lui, piuttosto!

Ernestina, turbata da queste parole, si fa il segno della croce, saluta e se ne va. Rimasta sola, Marina prende carta, penna e calamaio e comincia a scrivere qualcosa su un foglio. Modesto allora esce dal suo nascondiglio e tenta di impossessarsi del foglio, ma la moglie lo accartoccia e se lo mette in bocca cominciando a masticarlo. Il sarto è una furia: con violenza le apre la bocca lacerandole le labbra senza darle il tempo di inghiottirla, prende il pezzo di carta e legge:

Mio adorato Eduardo, sono tre o quattro giorni che non ti scrivo e mi sembra

È la conferma dei suoi sospetti. Dondolando la testa urla:

Sono cornuto! Ho trovato mia moglie che gli scriveva

Il trambusto e le urla fanno accorrere in casa molte persone e Modesto, come se facesse una confessione in Tribunale, mostrando il foglio ormai ridotto a pezzi, comunica ufficialmente a tutti il suo stato di cornuto. Allora i presenti si girano a guardare la reazione di Marina, così gravemente incolpata, e restano sorpresi dal suo silenzio. Solo dopo parecchi minuti la donna si alza dalla sedia e, richiamando l’attenzione dei presenti, dice:

Non lo credete ché è uscito pazzo!

Intanto, attirato dagli schiamazzi e dalle grida è arrivato anche Francesco Funari, il padre di mastro Modesto, al quale, rendendo nota la sua onta, riversa il suo dolore. Il padre, nell’acre offesa alla sua dignità familiare, gli impone di abbandonare la casa coniugale e di andarsene ad abitare con lui, sperando che, seguendolo, ripudi definitivamente la moglie.

Ovviamente parte la querela per adulterio e quando, quattro mesi dopo, il Giudice Istruttore la interroga, Marina ribalta le accuse di tradimento:

La lettera me la stava facendo scrivere mio marito e io non la volli completarla sentendomi offesa nella mia dignità!

– E, secondo voi, è mai possibile che vostro marito avesse interesse a proclamarsi cornuto? – controbatte il Magistrato, senza ottenere risposta.

In questo frattempo Francesco Funari, per impedire che il figlio, cosciente della sua infelicità, si comprometta facendo qualche pazzia, va a parlare col padre di Eduardo e lo convince dell’opportunità che, per la pace di tutti, il giovane se ne vada dal paese ed allo scopo gli fornisce del denaro preso in prestito.

Così Eduardo mette le sue poche cose in un sacco e il 7 aprile 1939 si trasferisce a Cosenza e trova subito un lavoro.

Ora che l’avversario in amore se ne è andato e non sarebbe più tornato ad insidiargli l’onore e la pace, mastro Modesto cerca di riallacciare il rapporto con la moglie ma, prima di addivenire alla completa riconciliazione, vuole essere sicuro che Eduardo si sia davvero allontanato da Marina e organizza un tranello per metterlo alla prova: impone a Marina di scrivergli una lettera invitandolo a tornare per riallacciare la tresca, sperando che Eduardo declini l’invito, il che, secondo lui, sarebbe la prova più manifesta della definitiva rottura tra gli ex amanti.

Quando Eduardo legge la lettera di Marina, non gli sembra vero di poterla riavere e torna immediatamente a Malito ma, pensando che non sarà sopportato dai Funari, decide di farsi quantomeno temere e non appena mette piede in paese, il 7 maggio, comincia a fare lo spavaldo e il provocatore. I Funari, che non vogliono compromettersi, ritengono opportuno andare a protestare dal Maresciallo dei Carabinieri il quale provvede a diffidare Eduardo dal continuare col suo modo di fare, ma questi, cinico oltre ogni dire, non solo nega di aver mai provocato, ma osa dichiararsi vittima di provocazioni.

È ovvio che in questo clima di tensione ogni sciocchezza può essere causa di una tragedia ed è altrettanto ovvio che nessuno vuole farsi trovare impreparato e soccombere, perciò sia Eduardo che i Funari cominciano a girare perennemente armati.

È la mattina del 29 giugno 1939. Francesco e Modesto Funari con le rispettive mogli vanno a messa. Arrivati davanti alla chiesa parrocchiale, Francesco e le due donne entrano, mentre Modesto si attarda a chiacchierare con alcuni amici sul piazzale antistante.

Forse è un caso o forse no, ma anche Eduardo decide di andare a messa accompagnato da un amico. Entrano in chiesa e, mentre si accingono a salire sul soppalco dell’organo, donde intendono ascoltar la messa forse per meglio vedere, Francesco Funari lo vede, si alza dalla panca, estrae la rivoltella e gli spara un colpo ferendolo al petto. Eduardo urla per il dolore, ma si riprende in un attimo ed estrae anche lui la rivoltella puntandola contro il feritore, però non fa in tempo a sparare perché viene immediatamente bloccato dai presenti.

La detonazione e le urla dei fedeli che cercano scampo fanno correre mastro Modesto, che entra in chiesa con la rivoltella in pugno e spara un colpo in aria, proprio nel momento in cui il padre di Eduardo, con un bastone in mano, cerca di uscire dal luogo sacro:

Zio pasquale, stai fermo e voltati! – gli urla il sarto puntandogli contro la rivoltella.

Per fortuna il pianto delle donne e l’intervento di numerosi fedeli, che bloccano e disarmano i Funari ed Eduardo Amendola, evitano il peggio.

Quando arrivano i Carabinieri Francesco e Modesto Funari vengono arrestati con l’accusa di tentato omicidio premeditato in concorso, porto abusivo di arma da fuoco e turbamento di funzione religiosa. Mastro Modesto, in più, viene accusato anche di minaccia a mano armata in danno di Pasquale Amendola. Si procede anche a carico di Eduardo, che se la caverà in un mesetto, per porto abusivo di arma da fuoco.

– Si, ammetto di avere sparato un colpo di rivoltella, ma l’ho fatto perché mi sono visto minacciato da Eduardo Amendola che aveva in mano una rivoltella, così anche io ho estratto la rivoltella ed è partito inavvertitamente un colpo… – cerca di giustificarsi Francesco Funari.

– Io non ho sparato nessun colpo, non avevo nemmeno armi! – dice mastro Modesto.

– Si, è vero che avevo con me una rivoltella detenuta illegalmente, ma non l’ho usata! – ammette Eduardo.

Completate le indagini, per la Procura l’accusa di tentato omicidio in concorso non regge e chiede al Giudice Istruttore di derubricarla in quella di lesioni con arma, a carico di Francesco Funari, e di tentate lesioni con arma, a carico di mastro Modesto.

Ma il Giudice Istruttore non concorda con la Procura, conferma per padre e figlio l’accusa di tentato omicidio in concorso e li rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

Il dibattimento è fissato per il 19 gennaio 1940 e una decina di giorni prima Eduardo Amendola si presenta in Tribunale per revocare la sua costituzione di parte civile, dichiarando che Francesco Amendola gli ha risarcito interamente il danno e quindi non ha più nulla a pretendere.

Letti gli atti, ascoltati i testimoni e le richieste delle parti, la Corte osserva: l’unicità del colpo di rivoltella sparato da Francesco Funari, la concitazione nella quale egli trovavasi, la fulmineità dello sparo avvenuta tosto avvistato l’odiato Amendola, le affermazioni dello stesso imputato, il quale ha detto di aver sparato a caso e non con l’intenzione di uccidere, rendono accettabile la richiesta del Pubblico Ministero, diretta alla degradazione del reato di omicidio tentato in lesioni aggravate. E poiché egli è di ottimi precedenti, ha per giunta risarcito interamente il danno prima del giudizio, né può dubitarsi ch’egli ha delinquito per una prepotente ragione di decoro familiare, quale è quella di punire il seduttore della nuora, né tampoco fu estranea alla sua determinazione criminosa la preoccupazione di non far compromettere il figlio, il quale nella vendicazione paterna avrebbe trovato un balsamo al suo dolore e non si sarebbe reso vindice dell’onta patita. Devesi, perciò, nell’irrogare la pena, applicare il minimo e concedere le due attenuanti dei motivi di particolare valore morale e del risarcimento del danno. Tradotto in cifre, a Francesco Funari toccano mesi 1 e giorni 23 di reclusione per il reato di lesioni aggravate. Poi la Corte esamina il reato di turbamento di funzioni religiose e ritiene che manchi la prova che i Funari, nel compiere le loro gesta criminose, avessero coscienza, cioè l’intenzione diretta, di turbare o impedire l’esercizio di funzioni religiose, anche perché quando ci furono gli spari la messa non era ancora cominciata e quindi padre e figlio vanno assolti da questo reato. Per quanto riguarda il porto abusivo di arma da fuoco non possono esserci dubbi e vengono condannati ad un mese di arresti.

Poi la Corte passa ad esaminare la posizione di Modesto Funari in relazione al reato ascrittogli di tentato omicidio premeditato. Riprendendo le osservazioni fatte per il padre e considerando che, quando questi sparò in chiesa, mastro Modesto si trovava nel piazzale antistante, è ovvio che il reato contestato non esiste e quindi va assolto. Piuttosto, è certo per numerose e convergenti testimonianze, che mastro Modesto, richiamato dalla rivoltellata, irruppe in chiesa ed esplose in aria un colpo di rivoltella, intendendo con ciò intimorire coloro che, per avventura, avessero osato reagire contro il padre o prestare man forte ad Amendola. È certo anche che Modesto Funari ebbe a spianare la rivoltella contro il padre di Amendola il quale, intimorito, ritornò indietro. Ciò posto, egli si è reso colpevole di duplice minaccia con arma. Poiché agì sotto un’unica determinazione criminosa, non può sfuggire alla responsabilità quale colpevole di minaccia continuata, per la quale credesi equo irrogargli giorni 25 di reclusione.

Non resta che occuparsi di Eduardo e qui la cosa è semplice perché ha già dal primo momento confessato di avere avuto con sé una rivoltella detenuta illegalmente e quindi va condannato ad un mese di arresti, con la concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel certificato penale.

Ma Francesco e Modesto Funari non intendono accettare la pena irrisoria loro inflitta e ricorrono per Cassazione. La questione si risolve parzialmente il 5 marzo 1941, quando la Suprema Corte annulla la impugnata sentenza senza rinvio per sopraggiunta estinzione del reato, giusto il Regio decreto 24/02/1949 N. 56, quanto alle contravvenzioni ascritte a Francesco e Modesto Funari e al reato di minaccia ascritto a quest’ultimo.[1]

Intanto gli effetti della sciagurata guerra, tanto inutilmente invocata da mastro Modesto, cominciano a farsi sentire duramente: viene sospesa la fabbricazione di pasticceria fresca, panettoni, gelati al latte; la farina per la panificazione deve essere miscelata con patate bollite, la carne è razionata e i clienti delle macellerie devono essere registrati; pasta autarchica, crema e burro sono messi a disposizione del Ministero della Guerra.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.