IL MISTERO DELL’IMPICCATO

Un uomo bussa con insistenza alla porta di casa del Pretore di Montalto Uffugo e la donna che apre appare molto seccata:

– Che volete a quest’ora? Il Pretore sta mangiando!

– Scusate, ma è urgente. Sono il custode del carcere, il medico Giovanni Catanzaro gli manda questo – risponde porgendole un biglietto. La donna lo prende, chiude la porta dietro di sé e consegna il foglietto al Pretore che lo legge e poi, con un gesto di stizza, butta il tovagliolo per terra, si mette la paglietta in testa, prende la sua borsa ed esce di casa bestemmiando sottovoce.

Ill. signor Pretore di Montalto Uffugo

Vi comunico che oggi alle ore 12 circa sono stato chiamato dal custode delle carceri, Maida Pietro, per accorrere in dette carceri. Mi vi sono recato subito, ma non ho potuto far altro che accertare la morte di Rosvelti Francesco d’ignoto, detenuto da ieri in queste carceri mandamentali. La morte rimontava a poco prima e la causa della morte è stata l’impiccagione per suicidio.

Montalto Uffugo, 22 luglio 1940 – XVIII

Questa è la causa delle bestemmie del Pretore.

Il carcere mandamentale di Montalto Uffugo è costituito da un vano di ingresso ampio e di forma irregolare nel quale si accede attraverso una porta dalla pubblica via. A destra, entrando, di tale vano vi è una porta interna attraverso la quale si entra in una vasta camera destinata ai detenuti di sesso maschile. Ad altra camerata contigua alla prima, destinata alle recluse di sesso femminile, si accede da altra porta esistente nello stesso vano anzidetto. Per terra, sotto la trave a sinistra di chi entra, il Pretore trova il cadavere del diciottenne Francesco Rosvelti.

La camerata destinata agli uomini è lunga circa metri quindici, larga quasi metri otto ed alta circa due metri. Sulla parte a sinistra entrando esistono quattro finestre protette da robuste cancellate in ferro. Il pavimento è coperto di mattoni ed il soffitto è costituito da tavole sorrette da travi le quali, in corrispondenza dei quattro angoli della camera, poggiano a loro volta su quattro travi poste trasversalmente agli angoli medesimi. Nella camerata si trova un lettino di casermaggio sito in prossimità della trave anzidetta e si constata che il filo della conduttura elettrica, per un tratto di circa quattro metri, è mancante. La ripetuta trave è posta in modo che vi si può infilare una cordella, non essendo aderente al soffitto. Il soffitto è sottostante ad altri locali del piano superiore destinati a scuole; al di sopra di queste è la caserma dei Carabinieri.

Poi procede a descrivere le condizioni del cadavere, che ha indosso giacca e pantaloni scuri e una maglietta marrone. La maglia è tirata molto in su e i pantaloni in giù, quasi fino al pube, sicché resta quasi scoperto tutto l’addome, sul quale si nota una contusione al lato sinistro all’altezza dell’anca. Sul collo sono evidenti le tracce dell’impiccagione. La testa si presenta piegata dal lato destro e la metà della faccia corrispondente è cianotica, bocca e occhi sono chiusi. Accanto al cadavere vi sono dei pezzi di cordone da luce, parte di un unico pezzo ripiegato e tagliato violentemente. Il cordone, che forma l’impianto della luce, è strappato in un punto e pende dal soffitto.

L’ho tagliato io allorché ho scoperto il fatto, nell’illusione di potere salvare l’infelice – interviene Pietro Maida a spiegare il perché del taglio, poi il Pretore ordina di coprire il cadavere con una coperta e di lasciarlo lì dov’è per ulteriori accertamenti.

– Ma come è potuto accadere? Non lo sorvegliavate? Che cosa ha fatto fino a che…

Stamattina, essendomi accorto che il detenuto dalla finestra della camerata rivolgeva delle parole all’altra detenuta Rosina Robusto, ebbi a redarguirlo e avvertivo la detenuta di non rispondergli. Questo verso le ore nove. Poi venne una donna a trovare Rosina Robusto e fu accompagnata da mia moglie presso di questa. Io ero nell’orticello sottostante alle finestre delle carceri. Dopo le undici, mentre la donna che aveva visitato la Robusto se ne andava lungo la strada, ho sentito ancora Rosvelti che la chiamava per dirle di far sapere alla di lui madre di mandargli lire 10. Lo sgridai ancora e lui mi rispose: “non ho detto niente di male, ho chiesto dieci lire…”. Poco prima di mezzogiorno, poteva mancare un quarto d’ora, io e mia moglie siamo andati a portare il cibo ai due detenuti. Mia moglie bussò alla porta della camerata per passare il cibo attraverso il finestrino, ma non ebbe risposta e allora mi chiamò per le chiavi. Aperta la porta trovammo Rosvelti appicato. Nella speranza che non fosse ancora morto, io sollevai il corpo e dissi a mia moglie di tagliare i lacci, quindi adagiai il corpo per terra e corsi dal medico

Nessuna altra domanda come, per esempio, se avessero sentito dei rumori sospetti provenire dalla camerata, rantoli, l’agitarsi di un corpo o se l’impianto della luce era funzionate, come e con cosa è stato tagliato il cordone elettrico. In realtà al Pretore sarebbe potuto – e dovuto – venire in mente di verificare come riuscì Francesco Rosvelti a tagliare il cavo senza provocare un corto circuito, sempre ammesso che l’impianto elettrico era in funzione. Ma ci sono ancora una serie di particolari tipici dell’impiccamento che non vengono controllati né dal medico e né  dal Pretore, certamente nell’ansia di chiudere in frEtta questa brutta vicenda: ci sono o no le caratteristiche macchie ipostatiche a “calzino” ai piedi e a “guanto” alle mani? Come mai il viso è cianotico solo da un lato? Ci sono o non ci sono emorragie sottocongiuntivali? Come mai la lingua non è protrusa tra i denti, ma la bocca è chiusa? C’è o non c’è la spermatorrea con inturgidimento del pene? E infine: che cosa è quella contusione vicino all’anca sinistra?

Ma sicuramente a queste domande risponderanno l’autopsia e le perizie che dovranno essere disposte. Vedremo, intanto si procede a sentire Rosina Robusto, di Rose come la buonanima di Francesco Rosvelti:

Ancora dormivo e ho sentito Rosvelti che, chiamandomi dall’inferriata della finestra mi ha avvertito che era arrivata mia zia a trovarmi. L’ho sentito anche che, sempre dalla finestra, gridava a mia zia che avesse detto alla di lui madre di mandargli 10 lire. Durante la mattinata l’ho sentito parlare solo e ho capito che si lamentava di queste carceri e che voleva essere trasportato a Cosenza e che era in carcere innocente e che non aveva fatto nulla. Quando mia zia è andata via, arrivata sulla strada, Rosvelti l’ha chiamata ancora dalla finestra ricordandole le 10 lire. Potevano essere le undici e mezza, poco più o poco meno, poi non ho sentito più nulla… quando il custode è venuto a portare il cibo l’ha trovato appicato.

Quindi Rosina conferma sostanzialmente la dichiarazione del custode, ma aggiunge il particolare delle lamentele di Francesco Rosvelti, lamentele che probabilmente il custode non ha sentito, impegnato com’era a zappettare l’orticello. Però anche ora, soprattutto ora, gli inquirenti una domanda, un’altra (ma forse sono troppe), dovrebbero farsela: come mai un ragazzotto di 18 anni, detenuto da nemmeno 24 ore, che manda a chiedere 10 lire a sua madre, dovrebbe impiccarsi così all’improvviso? Non se lo sa spiegare nemmeno la madre quando viene interrogata:

Mio figlio era stato fermato una prima volta dai Carabinieri di Rose il venerdì 19 luglio e fu subito rilasciato, ma la mattina successiva, a seguito di richiesta telegrafica dei Carabinieri di Montalto Uffugo fu nuovamente fermato e condotto a Montalto. Dal mezzogiorno del 20 dopo che gli ebbi portato da mangiare nella caserma di Rose non vidi più mio figlio. Quando gli parlai in caserma egli mi apparve tranquillissimo e m’assicurò che senza dubbio sarebbe stato presto rilasciato perché innocente. Ieri, a mezzo di Angelina Leone, mi fece richiesta di lire dieci e mi pregò di andarlo a trovare. Angelina non mi disse altro, né mi riferì eventuali lagnanze di mio figlio contro chicchessia.

– Nella caserma di Rose vostro figlio si lamentò di maltrattamenti da parte dei Carabinieri di lì?

Non si lamentò minimamente.

– Ritenete possibile che si sia suicidato?

Ritengo ben possibile che si sia suicidato perché era di carattere impulsivo e facilmente impressionabile. Credo che abbia influito alla sua determinazione il fatto che era solo in carcere, essendo unico detenuto. Debbo farvi anche noto che circa un anno addietro, poco tempo dopo alla sua condanna all’ergastolo per omicidio, un suo fratello uterino a nome Salvatore Frassetti si è suicidato impiccandosi nel penitenziario di Portolongone.

Sembra tutto così incredibile! E finalmente qualcuno, il Giudice Istruttore, si pone una domanda: non è che il custode ha in qualche modo facilitato il suicidio o, peggio, lo ha simulato per nascondere un omicidio? Ma Rosina Robusto lo scagiona affermando che Rosvelti gli è apparso sempre tranquillo e che non si è mai lamentato di maltrattamenti da parte del custode.

Anche secondo il Maresciallo Nicola Paduano non ci sono dubbi che Francesco Rosvelti si sia suicidato e che il custode non c’entri nulla:

Rosvelti fu tradotto qui da Rose nella mattinata del 20 dietro mia richiesta telegrafica ed io, lo tenni in stato di fermo nella camera di sicurezza in attesa della testimone con la quale dovevo porlo a confronto. Fatto ciò mutai il fermo in arresto e, verso le 18 del giorno 21 lo condussi nelle carceri. Spiego che Rosvelti confessò spontaneamente il furto dopo aver subito il confronto con la teste e pertanto non era necessaria alcuna esortazione di qualsiasi genere per farlo confessare. Il custode Pietro Maida non ha mai dato motivo a rilievi di alcun genere e specie per il trattamento dei detenuti che mi risulta tratta umanamente. Ritengo per certo che Rosvelti si sia suicidato per come è risultato dalle indagini che ho sollecitamente espletato.

Ma che Francesco Rosvelti si sia suicidato appare così certo, che i periti nominati per effettuare l’autopsia dichiarano che non è necessaria, limitandosi a descrivere i segni sul collo, le macchie ipostatiche, una piccolissima escoriazione sul padiglione dell’orecchio sinistro, una escoriazione lunga circa due centimetri, di forma irregolare, sulla regione epigastrica sinistra ed un’altra piccolissima escoriazione cutanea sulla regione iliaca destra, le quali lesioni, pur non potendo precisare con quali mezzi siano state prodotte, ritengono che le stesse siano state cagionate da strisciamento contro corpi. Dette lesioni non hanno interessato organi interni e quindi non hanno minimamente influito all’evento letale. Perfetto! Dei veri luminari che sono in grado di escludere ogni eventualità senza verificare attraverso la sezione cadaverica se, per esempio, la milza possa essere stata lesa dallo sfregamento contro corpi a superficie non levigata e dura di natura sconosciuta.

Queste incongruenze, però, cominciano a far sorgere qualche sospetto che arriva fino al Procuratore Generale del re di Catanzaro ed il Procuratore di Cosenza si affretta a scrivergli ripetendo la solita solfa.

Ma qualcosa dietro deve esserci perché Angela Rosvelti, il 30 luglio fa scrivere un esposto al Procuratore del re da un avvocato e glielo consegna personalmente per denunciare che quando suo figlio fu rinchiuso nella camera di sicurezza della caserma dei Carabinieri di Montalto fu udito tutta la notte gridare e invocare aiuto e pietà. Ciò sta a dimostrare che il mio infelice ragazzo fu duramente e spietatamente picchiato in caserma. Le invocazioni di aiuto furono udite da Robusto Rosina, detenuta nelle carceri di Montalto, limitrofe alla caserma. La Robusto, dimessa giorni or sono dal carcere, ha narrato quanto espongo alla presenza di De Cicco Angelina e di altre persone. Dopo due giorni dall’arresto mio figlio cessava di vivere nelle carceri di Montalto Uffugo. Informata del decesso mi recai sul luogo e vidi mio figlio con la bocca e il naso insanguinati e il collo pieno di lividure dovute a percosse. Chiedo che si proceda ad autopsia sul corpo del mio figliuolo per accertare se egli è deceduto in seguito alle percosse ricevute, essendo poco attendibile la versione del suicidio che pare si voglia dare al fatto.

Ma il Procuratore la blocca, le chiede conto di quanto sta denunciando e Angelina si tira indietro: ora dice che sul corpo senza vita di suo figlio non ha visto lividure da percosse ma solo macchie e finisce per confermare la dichiarazione già resa qualche giorno prima con la quale avallava il suicidio. Si è convinta o l’hanno convinta?

Angelina non è stata l’unica a scrivere alla Magistratura per denunciare che Francesco Rosvelti sarebbe stato violentemente percosso, ma non nella caserma dei Carabinieri di Montalto Uffugo, bensì in carcere: tre giorni prima di lei un gruppo di cittadini di Montalto aveva scritto al Procuratore Generale della Corte d’Appello di Catanzaro e per conoscenza al Procuratore del re di Cosenza:

Siamo costretti segnalare all’E.V. che il procedimento seguito dall’autorità giudiziaria di Cosenza per stabilire la causa che ha determinato la morte del detenuto, avvenuta nel carcere di questo comune, non ha soddisfatto la cittadinanza.

Non può essere soddisfatta neanche la giustizia in quanto l’indagini si sono limitate tra le autorità locali, trascurando finanche di procedere alla formale autopsia onde stabilire che nel corpo del preteso suicida non sono state riscontrate altre ferite o contusioni che ne abbiano determinato la morte.

Viceversa è di ragion pubblica che dal carcere si sono uditi strazianti urli che fanno ritenere che il detenuto (preteso suicida) abbia subito delle bastonate tanto da produrgli una forte contusione nello stomaco.

Se ciò rispondesse a verità non rimarrebbe che la morte sia stata provocata da questa ed il colpevole ha tentato l’alibi del suicida!!!

L’agitazione e la grande preoccupazione che non sa simulare il custode delle carceri, sul quale cadono i più grandi sospetti e di diversa natura, ne danno la conferma.

Una scrupolosa inchiesta è indispensabile circa il carattere e l’attaccamento al dovere del custode, oltre al fascicolo personale possono riferire il vicinato.

L’appello non sortisce alcun effetto. Il primo agosto 1940 il Pubblico Ministero, con un semplice V° agli atti mette fine alla vicenda: Francesco Rosvelti si è ufficialmente suicidato.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.