LA SANTITÀ DELLA FAMIGLIA LEGITTIMA

Vittoria Gagliardi e Graziano Raimondo si sposano il 9 maggio 1931 a Torre di Ruggiero, comune delle Serre catanzaresi e mettono al modo tre figli, l’ultimo dei quali nasce dopo qualche mese che Graziano, il primo aprile 1939, viene richiamato alle armi e destinato in Africa Orientale. Poi l’Italia entra in guerra, il 10 giugno 1940, e lui è ancora lì e ci resta fino al 19 maggio 1941, quando viene fatto prigioniero ed internato in Kenia, dove resta ben oltre la fine della guerra, fino al 15 dicembre 1946. Rimpatriato e congedato torna a casa il primo gennaio 1947, invalidato dalla malaria contratta durante la prigionia.

– Ehm… non sappiamo come dirtelo… ma tua moglie se la fa con Domenico Ritrovato… il mugnaio – gli dicono i suoi familiari non appena va a salutarli.

“Allora era questo il motivo della freddezza di Vittoria quando sono arrivato!”, pensa Graziano mentre torna a casa, deciso a chiarire la situazione.

– Si, non ti amo più, amo Domenico e domani me ne vado nella casetta che mi ha dato mio padre quando ci siamo sposati. Lasciamoci senza rancore…

– Senza rancore… intanto non ti do un centesimo.

– Va bene, non voglio niente…

– E i figli? Non posso permettere che stiano con te ed il tuo amante, me li devi lasciare.

– Va bene, basta che possa vederli.

– Si, ma dobbiamo firmare una carta con gli accordi.

– Va bene, ma dobbiamo scriverci che nessuno di noi due deve interessarsi di cosa fa l’altro.

– Sono d’accordo – acconsente Graziano.

Graziano e Vittoria mettono tutto nero su bianco firmando una scrittura privata e sembra che le cose filino lisce, nonostante gli avvertimenti ed i rimproveri che i genitori e la sorella fanno a Caterina perché tronchi la relazione col mugnaio, che ogni sera va a trovarla, e nonostante i turbamenti di Graziano per la condotta di sua moglie, scandalosa per i paesani. Tenta addirittura una riconciliazione, ma ne viene ostacolato dal mugnaio il quale, più volte invitato a troncare la relazione con Vittoria, si rifiuta.

A questo punto Graziano, mal sopportando le sue disavventure coniugali, tenta di emigrare clandestinamente, prima in Francia e poi nell’America del Sud (Argentina), ma i suoi tentativi sono vani perché, verso la fine del 1949, un suo congiunto residente in Argentina gli scrive prospettandogli le difficoltà di poter ivi emigrare.

Le sue disavventure coniugali, cioè la rabbia per quella donna che lo ha lasciato per andarsene con un altro, concedendogli tutto ciò che ha voluto e poi, per giunta, non si è voluta riappacificare. Aggiungiamo qualche altro piccolo particolare? Si, perché non sono propriamente dei particolari in una società che si fonda sull’onore del maschio e per giunta in una piccola comunità. Primo: Vittoria è incinta di sette mesi e questo significa che non gli appartiene e non gli apparterrà più. Secondo: le confidenze delle anime pie del paese che gli riferiscono che Domenico Retirati, il mugnaio, vantandosi di aver reso incinta Vittoria, va dicendo che se nascerà un maschio gli imporrà il nome di Graziano, se femmina quello di Graziella, come sua madre, la madre del cornuto. Terzo: il contegno spavaldo e arrogantemente offensivo del mugnaio che, passando ogni giorno dinanzi l’abitazione di Graziano, gli rivolge frizzi e motti salaci.

In tale situazione, gravida di furori iracondi, Graziano matura il disegno di vendicarsi dell’onta subita, sopprimendo i due amanti ed acquista a Chiaravalle quattro cartucce calibro 12 con pallini numero 4, con le quali carica il fucile che ha trovato in campagna.

Sono le 9,00 del 23 settembre 1949. Graziano, armato del fucile carico, si apposta lungo la strada che ogni giorno il mugnaio, a cavallo del suo asino, percorre per andare al mulino. Sono le 9,30 quando Graziano lo vede comparire ed a distanza di circa venti metri arma i cani del fucile, prende accuratamente la mira e spara entrambi i colpi uccidendo Domenico istantaneamente. Poi con calma toglie dal fucile le cartucce esplose, lo ricarica con le altre due e si avvia verso contrada Bitetto, dove Vittoria è intenta a distendere con un mastello del granone da essiccare sull’aia. Prende la mira e le scarica addosso il fucile, uccidendo istantaneamente anche lei col suo bambino in corpo.

Graziano sputa a terra, si mette il fucile a tracolla e va alla stazione dei Carabinieri di Chiaravalle per costituirsi e spiegare la causale del delitto. Le indagini sono veloci e l’omicida viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro per rispondere  di duplice omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione.

Esaminati gli atti ed ascoltati i testimoni, la Corte ritiene che i due omicidi sono tenuti insieme dall’identità del disegno criminoso, in quanto unica è stata l’ideazione e concezione originaria dei due delitti, per cui l’imputato anziché di duplice omicidio deve rispondere di omicidio continuato, nel quale si ritrovano tutti gli elementi per classificarlo come premeditato, una decisione che sa di ergastolo. Ma poi la Corte aggiunge: ma avanti a tale aggravante concorrono nel fatto delittuoso circostanze attenuanti a favore dell’imputato. A) Anzitutto la provocazione: l’imputato trascende al delitto in preda all’ira ed al dolore instillato nel suo animo da una serie di atti provocatori dei due amanti adulteri. B) l’attenuante dei motivi di particolare valore morale: può lo stesso fatto suscitare uno stato d’ira ed un proposito di rivendicazione di un principio morale offeso dal fatto dei soggetti passivi del reato: infatti, nel caso in esame, secondo la Corte, l’imputato col delitto volle far cessare la condotta scandalosa della relazione adulterina, che offendeva l’onore, l’amore e la santità della famiglia legittima. Né è d’ostacolo alla concessione di tale attenuante, la circostanza che il duplice delitto fu determinato da un sentimento di vendetta ch’è essenzialmente egoistico ed antirazziale perché i moventi di ogni azione umana sono complessi e lo strumento della vendetta può, come nel caso in esame, essere unito a moventi nobili, cioè quello di ristabilire un principio morale offeso. In più, secondo la Corte, a Graziano Raimondo possono essere concesse anche le attenuanti generiche, in considerazione dei suoi precedenti incensurati, della sua qualità di reduce ed invalido di guerra, da cui in parte dipese la sua disavventura coniugale e dei suoi tre figliuoli minorenni.

Tutto questo per dire che, partendo dall’ergastolo, pena prevista dal codice per il reato di omicidio continuato ed aggravato dalla premeditazione, si arriva, dopo aver scomputato le tre attenuanti concesse, alla pena complessiva di anni 10 e mesi 3 di reclusione, da cui devono essere tolti altri anni 3 in virtù dell’applicazione del  D.P. 23/12/1949 N° 930, rimanendo così fissata in anni 7 e mesi 3, più le spese, i danni e le pene accessorie. È il 23 settembre 1950.

Il 15 luglio 1954 la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara condonata la residua pena di anni 3 di reclusione.[1]

Quattro anni e tre mesi di reclusione per due vite stroncate con premeditazione, ma difendere con le armi e col sangue la santità della famiglia legittima è un motivo di particolare valore morale, la morale dell’odio e del possesso.

P.S. il bambino nel grembo di Vittoria non costituisce reato.

 

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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.