HAI LE MUTANDE?

La mattina del 7 aprile 1933, Rosina, 11 anni, è nella sua casa di Civita con la sorella Domenica e le sue amichette Antonietta ed Ermelinda. All’improvviso la porta di casa, lasciata socchiusa, si apre ed entra un uomo, il trentaduenne Vincenzo Piccoli. Le ragazzine sono spaventate e lo diventano ancora di più quando l’uomo, in tono perentorio, indicando Domenica, Antonietta ed Ermelinda, dice:

– Tu, tu e tu uscite subito! – Le tre adolescenti ubbidiscono senza fiatare e Vincenzo Piccoli, rimasto solo con Rosina, le si avvicina e le dice – ce l’hai le mutande? Te lo voglio mettere…

Rosina si mette ad urlare e l’uomo, temendo l’arrivo di qualcuno, si allontana, non prima però di avere tirato un calcio ed ceffone in faccia a Rosina, gonfiandole un occhio. Quando è sulla porta, si gira e le dice:

Non te ne incaricare, che come ho fatto il culo alle tue sorelle, lo farò anche a te!

Poco dopo rientrano in casa la madre di Rosina e la sorella maggiore Mariangela. Tutte e quattro le ragazzine raccontano loro l’accaduto e sia la madre che Mariangela ne restano giustamente risentite ed addolorate. La madre esce in strada e Mariangela si affaccia al balcone e tutte e due cominciano a muovere doglianze per l’accaduto a Carmela Bosco, la mantenuta di Vincenzo Piccoli, che abita di fronte. L’uomo, che è in casa di Carmela, al sentire le giuste rimostranze delle due donne, esce inviperito dall’abitazione e dà uno spintone alla madre di Rosina, facendola cadere per terra. Mariangela, a tale atto di violenza, gli urla:

Mascalzone!

Vincenzo Piccoli la guarda sbuffando e mette la mano in tasca tirando fuori una rivoltella. Mariangela capisce che la cosa sta per finire male e, terrorizzata, si butta a terra dentro casa, appena in tempo per non essere colpita dalla revolverata. Carmela Bosco, incredula per la reazione del suo uomo, appena sentita la detonazione si lancia contro l’amante afferrandogli il braccio armato ed i due cominciano una lotta furibonda.

– Che fai? Così ti spari! – urla Vincenzo Piccoli a Carmela, che adesso ha la mano dell’amante tra le sue, ma non si accorge che l’indice della mano destra di Vincenzo è sul grilletto e, mentre fa l’ultimo sforzo per strappargli l’arma dalle mani, parte un colpo.

La donna si affloscia come un sacco vuoto, colpita all’addome. È viva, ma le sue condizioni appaiono subito molto gravi ed infatti, quando poco dopo arrivano i Carabinieri, non parla più.

Vincenzo Piccoli viene arrestato e confessa di essere penetrato nella casa dove c’era Rosina e di avere detto esattamente le parole che la ragazzina ha già raccontato, confortata dalle testimonianze della sorellina e delle due amichette. Poi c’è il resto di quella mattina di follia, con la morte, tre giorni dopo i fatti, di Carmela Bosco e le cose sono chiare: omicidio, tentato omicidio, atti di libidine in danno di una minore degli anni 14, percosse, porto e detenzione abusiva di arma da fuoco. Il rinvio a giudizio è cosa fatta, ma ci vorrà giusto un anno perché Vincenzo Piccoli sieda davanti alla Corte d’Assise di Castrovillari.

E se per gli inquirenti le cose erano chiare, non lo sono per la Corte, che osserva: le espressioni oscene rivolte alla fanciulla, non essendo state accompagnate da baci, palpamenti o altri atti, non costituiscono il delitto di atti di libidine, ma, per la loro lubricità offensive dell’onore e del decoro, di ingiurie, oltre che di percosse e minaccia in danno della bambina. Poi prosegue parlando del colpo di rivoltella esploso contro Mariangela: nel fatto di avere il Piccoli esploso un colpo in direzione del balcone, non si riscontrano gli estremi del tentato omicidio dappoiché, dato pure che il giudicabile avesse avuto intenzione di uccidere Mariangela, l’evento sarebbe stato di impossibile attuazione e ciò per mancanza del soggetto passivo, essendosi la giovane ritirata dal balcone non appena il Piccoli fece l’atto di estrarre l’arma, sicché il colpo partì quando ella già trovavasi nell’interno della sua casa. Il fatto riveste perciò soltanto i caratteri del delitto di minaccia di ingiusto danno commessa con arma. Ora la Corte esamina lo spintone dato alla madre di Rosina e bastano poche parole: l’imputato si è reso colpevole di percosse. Poi la Corte affronta il reato più grave, l’omicidio di Carmela Bosco: l’uccisione non fu certamente volontaria, ma non perciò deve concludersi che si trattò di morte accidentale. Il Piccoli, invasato come era nel proposito di continuare a servirsi dell’arma, senza dubbio fu imprudente nel persistere a tenere la rivoltella in pugno col dito sul grilletto, cosicché, durante gli sforzi che la infelice Bosco faceva per disarmarlo, questo ne venne premuto e partì quel colpo, onde non è chi non veda come a causa di tale sua condotta imprudente, egli debba rispondere delle conseguenze letali che ne derivarono per la Bosco e quindi di omicidio colposo, con l’aggravante di avere continuato negli sforzi per contendere alla donna l’arma carica.

Ovviamente non bisogna dimenticare la detenzione ed il porto abusivo di arma da fuoco.

Ci sarebbe anche il reato di violazione di domicilio, ma la Corte osserva che il padre di Rosina, nel presentare la querela per i reati commessi contro la figlia, ha omesso di citare il reato di violazione di domicilio commesso ai suoi danni e quindi il reato non è procedibile.

Vincenzo Piccoli, stando così le cose, se la dovrebbe cavare con poco, molto poco, ma la Corte osserva che nell’applicazione della pena devesi tenere presente che il Piccoli è di pessimi precedenti penali, recidivo per furto commesso entro il quinquennio, e di indole violenta e prepotente. Ciò vuol dire che ogni singola pena che gli verrà comminata, sarà aumentata proporzionalmente. Quindi, invece dei 5 anni e 7 mesi totali di reclusione per i reati ed i 5 mesi di arresti per il porto e la detenzione di arma da fuoco, la Corte stima giusto aumentarli, rispettivamente, ad anni 6, mesi 11 e giorni 20 di reclusione e mesi 7 di arresti, oltre alle pene accessorie, le multe, le spese ed i danni.

È il 10 aprile 1934.

Il 5 novembre 1934, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di Vincenzo Piccoli.[1]

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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.