È la mattina del 29 ottobre 1919 ed il Procuratore del re presso il Tribunale di Cosenza sta leggendo la posta. La sua attenzione viene catturata da una lettera scritta a macchina. Non è né un verbale dei Carabinieri, né la richiesta di un avvocato, è la lettera di una donna:
Io sottoscritta Megna Fortunata, nata a Praja d’Ajeta il 5 Settembre 1900, mi pregio di esporre alla S.V. quanto segue perché siano adottati i provvedimenti del caso.
Il signor Grimaldi Frino, nato e domiciliato a Scalea, attualmente Vice Brigadiere nell’Arma dei RR. Carabinieri, di stanza a Torino, dopo avermi lungamente ed insistentemente corteggiata, riuscì ad ottenere che io mi fidanzassi ufficialmente con lui, con il consenso della mia e della sua famiglia.
Le relazioni si mantennero sempre nei dovuti limiti della onorabilità, finché il Grimaldi – senza che io ne fossi in alcun modo preavvertita – la sera dell’11 settembre 1916 si spinse audacemente presso la finestra della mia camera da letto e, dopo aver ripetutamente bussato, appena che io ebbi aperto senza lontanamente aver pensato che potesse essere lui, né che potessi rendermi ragione della di lui improvvisa, inaspettata apparizione, si slanciò all’interno (la finestra è a poco più di un metro dal suolo – Casello ferroviario in prossimità della stazione di Scalea).
Vane furono le mie supplichevoli implorazioni perché egli si allontanasse immediatamente dalla mia camera. Abusando della mia età e quindi della mia incoscienza ed inesperienza, ebbe con me rapporti intimi…
Lettere di questo tenore ne arrivano spesso in Procura, ma stavolta c’è di mezzo un Vice Brigadiere dei Carabinieri e bisogna andarci con i piedi di piombo. Il Procuratore si toglie gli occhialini a pinza, apre un cassetto, tira fuori un sigaro e l’accende, pensieroso. Dopo qualche boccata, circondato da una nuvola di fumo azzurrognolo, si rimette gli occhialini e continua a leggere:
Io volevo ad ogni costo riferire l’accaduto ai miei genitori, ma Grimaldi mi scongiurò di tacere ogni cosa, lusingandomi di presto riparare l’oltraggio ch’egli forzatamente mi fece subire, contraendo meco matrimonio e con tale lusinga continuò ad abusare di me.
La dolorante, febbrile attesa si protrasse di mese in mese per opera del Grimaldi, il quale aveva anche troncato – durante il suo soggiorno in Cirenaica – le relazioni epistolari. Dopo diciassette mesi di strazio e di logorante delusione, mi decisi a rivelare l’oltraggio subito a mia madre, la quale non esitò a rendere consapevole mio padre. Questi si rivolse ai superiori immediati del Grimaldi perché egli fosse richiamato a compiere il doveroso atto di riparazione ed infatti ebbe assicurazione che durante la licenza che sarebbe stata a lui concessa, mi avrebbe sposata.
Ma anche questa volta la sua promessa non fu mantenuta talché, non senza aver prima fatti ulteriori conati presso il Grimaldi, mio padre si rivolse con regolare denunzia all’Autorità Giudiziaria, la quale dispose tosto una perizia medico-legale che io subii nel Gennaio 1918 dal dottore Gaetano Oliva di Scalea.
In seguito all’iniziato procedimento penale, il Grimaldi fece nuove promesse, alle quali si ebbe il torto di credere e quindi non vennero fatte successive premure per il normale svolgimento del giudizio.
Mio padre, stanco delle turlupinature del Grimaldi, giorni fa mi scacciò di casa, non permettendo ancora che, colla mia presenza, l’onta del disonore restasse in famiglia.
Lasciata così in balia di me stessa, sapendo che il mio seduttore trovavasi in Scalea in licenza di convalescenza, corsi subito da lui per implorare ancora una volta dalla sua pietà quella giusta e santa riparazione che ogni onesto galantuomo avrebbe già compiuto. Egli, malgrado riconoscesse più che giusta la mia pretesa, con futili pretesti, non ha voluto che il matrimonio si celebrasse, insistendo a rimandarlo a dopo il suo congedamento, che avverrà non prima del 1921…
Durante gli ultimi recenti colloqui, ebbi la penosa, ma reale rivelazione che il Grimaldi non ha nessuna intenzione di risolvere presto ed onorevolmente la mia quanto mai critica situazione, tanto che per sfuggire alle mie insistenze si è, la scorsa notte, improvvisamente allontanato da Scalea, mentre la licenza surriferita non era ancora terminata…
Il Procuratore fa una smorfia di disappunto, poi va avanti:
I sentimenti di lui a mio riguardo concordano perfettamente con quelli di sua madre, la quale non solo mi diffidò di recarmi alla di lei casa, ma quanto ebbe a minacciarmi di morte, qualora mi fossi permessa di presentarmi a lei.
Da quanto ho particolarmente narrato, alla Signoria Vostra risulta chiaramente che dal Grimaldi non potrò mai sperare ciò che l’onore di una ragazza ha buon diritto di pretendere, quindi non mi resta che invocare a di lui carico i rigori della legge.
Il sigaro è ormai spento ed il Procuratore non ha più voglia di riaccenderlo. Prende carta e penna e scrive al Pretore di Scalea perché gli invii tutti gli atti relativi al procedimento penale a carico di Frino Grimaldi.
E così, dalle querele sporte da Antonio Megna – il padre di Fortunata – e da Fortunata stessa, vengono fuori alcuni particolari che non combaciano con la storia narrata nella lettera al Procuratore del re. Dichiara il genitore il 7 febbraio 1918:
– Fu la mia comare Branda Maddalena, che abita nello stesso mio casello, a rivelarmi quanto mia figlia aveva confidato a lei in seguito alla risposta che il Grimaldi fece a mia moglie, che cioè tra i due giovani erano passate relazioni carnali sin dall’agosto del 1915. Non so cosa avrei fatto in quel momento in cui ebbi questa disgraziata rivelazione, ma le buone parole della comare, le esortazioni di mia moglie riuscirono a calmarmi alquanto e a far si che invece di ricorrere immediatamente alla giustizia, mi fossi rivolto al Maresciallo dei Carabinieri perché con le buone avesse potuto ottenere una riparazione del danno sofferto. Il Maresciallo Salvatore Arcudi gli scrisse per indurlo a più ragionevoli consigli, ma finora non si è avuta alcuna risposta ed è perciò che sporgo formale querela contro il Grimaldi per seduzione della mia figlia minore dei 16 anni e per violazione di domicilio di notte tempo.
Una settimana dopo, Fortunata dichiara:
– Nella giornata dell’11 agosto 1915 il Grimaldi fu a casa mia e, cogliendo il momento in cui stavamo soli, mi disse: “Sai, questa notte io sono venuto a trovarti, hai un sonno tanto pesante da non esserti accorta che io ti ho sollevata dal letto. Stavi con la faccia voltata verso Verbicaro ed io ti ho rivoltata verso Scalea”. Io non prestai fede, a dir vero, a quanto egli disse e lui a tutta risposta disse: “Stanotte verrò anche a visitarti”. Senza che io avessi attaccato alcuna idea alle sue parole credendole assolutamente una millanteria, la notte seguente mi sentii toccata su d’uno dei fianchi e, come stavo per svegliarmi, una mano messami sulla bocca mi arrestò il grido che stava per uscirne. Riconobbi subito il Grimaldi, ma nella mia ingenuità non compresi neanche l’abuso che egli operò su di me. Sembra che possa essere inverosimile quanto io ho esposto a Vostra Signoria, ma purtroppo non è che la più pura verità. Il Grimaldi, dopo di avere abusato di me, dopo due o tre giorni mi disse che la notte sarebbe ritornato ed io, a dire il vero, lo attesi. Allettata dalle sue promesse, delle quali mai ho dubitato, non ho avuto più ritegno e, non lo nascondo, l’amore che avevo per lui me lo faceva anche desiderare. Compresa la prima volta, i nostri incontri amorosi si ripeterono per undici o dodici volte, fino alla vigilia della sua partenza pel servizio militare, il 4 ottobre 1915. Sono in grado di poter riferire che egli, negli amplessi avuti con me, ha avuto sempre cura di operare in modo che non ne sorgessero conseguenze, allo scopo di evitare che io fossi potuta restare incinta. Il Grimaldi, ora me ne accorgo, teneva a che io conservassi sulle nostre relazioni il massimo segreto e dalle stesse lettere, che esibisco alla giustizia, si evince la preoccupazione che egli aveva sul riguardo.
Le lettere. Capolavori di dissimulazione, paraculismo e rigiramento della frittata, ma che, tuttavia, lasciano alcune ombre sulle dichiarazioni di Fortunata.
Mia diletta!
Stamattina son tornato dalla visita e sono stato assegnato nei Carabinieri, oltre mi hanno dato 20 giorni di licenza, cosicché dovrò partire il 15 ottobre. Son venti giorni che mi tocca a non poterti vedere. Iddio! Cosa mai doveva succedere. Io bramo di salutarti, ma non posso poiché il coraggio e la vergogna non mi da a presentarmi dinanzi alla tua madre. Per me, ieri notte, se mi trovava qualche arma, non avrei fatto altro che suicidarmi!!! Ho venuto in licenza perché sono stato obbligato, altrimenti non sarei venuto. La testa non mi dice altro che cessare di vivere poiché fra me stesso mi sento una vergogna orribile. Vorrei chiedere chi sa quanto perdono alla tua madre, ma assolutamente non ho coraggio a farmi vedere. Non so proprio come fare, credo proprio di impazzire. E tu cosa ne hai sentito? Mi figuro tutto il calcolo fatto da tua madre!
Nella seconda lettera, pur continuando a descrivere la sua sofferenza, esce allo scoperto con velate minacce:
Mia divina!
Ah! Come soffro nel sentirti parlare in quel modo! Non posso darti del torto, no! Ma se tu intendi avvelenarti, io farò subito domanda per andare in guerra, risolviamo, dunque, la nostra fine. Facendo una cosa simile, poi succederà molto più male per la mamma, mentre restando così, forse, vedendo le mie buone idee si rassegnerà e poi tre anni passeranno subito. Non so proprio come pensarla! Maledetto il diavolo, ché se quella notte mi avrei trovato polvera, non avrei mancato a caricare il fucile e farmi saltare i cervelli per l’aria, così sarebbe finita. La colpa a far piangere la mamma ce l’hai te, mentre se avresti sostenuto a dire di non averti toccata per niente, non succedeva così poiché avrei pensato io poi a convincerla, invece tu gli hai dichiarato la propria verità e non puoi negarlo perché me l’ha detto essa. Giudizio che non hai avuto a saperti risolverti! Ma ti compatisco! In che modo tirare avanti la nostra vita? La nostra felicità sarà quanto ci sposeremo, se sarà concesso, la vita o la morte. Se hai comperato davvero le due pastiglie di sublimato, pregoti mandarle a me subito, altrimenti succederà un acclisso per due famiglie… io penso sempre a te e penso quanto ti dovranno sembrare questi tre anni… non t’ingannerò, morire più presto. Sebbene mi hai tradito non m’importa!
Nella terza lettera è evidente che anche Frino ha ricevuto dei chiarimenti da parte di Fortunata e si lascia andare alla descrizione della vita militare in caserma, poi ritorna sull’argomento che lo preoccupa:
Mia affettuosa!
In riguardo a quel fatto, ora starò più tranquillo. Vuoi sapere come sa la gavetta? Debbo dirti che mi fa rivoltare sempre lo stomaco, ma pazienza! Ogni tanto squilla la tromba e corriamo all’istruzioni! Che guaio! Quando passeranno tre anni? Vuoi sapere come mi ha sembrato Roma? Ancora, mia cara, non posso dirti niente poiché arrivo di notte ed ancora non si può uscire fuori del cortile: oggi abbiamo fatto la prima iniezione al petto, ancora ne dobbiamo fare altre quattro. Che dice più la mamma in riguardo a quel fatto? Ti maltratta?
La quarta lettera, scritta da Bracciano durante un’esercitazione, non contiene niente che interessi la questione che preoccupa Frino. È la quinta, scritta da Bengasi il 31 dicembre 1917 in risposta ad una lettera di fuoco della madre di Fortunata, a segnare lo spartiacque:
Con mia grande sorpresa, questa sera proprio, mi giunge una vostra lettera, la quale ho molto da ringraziarvi per tutti i titoli espressimi. Non so giudicare se questo sia un fenomeno. Se fin ora non ho dato più mie notizie è stato perché , qualche lettera di Fortunata, giuntami mentre mi trovavo in Ospedale, mi è stata poco deferente, giacché più d’una volta avevo raccomandato di non ripetermi la solita storia. Non ho mai detto ch’io non volessi sposare vostra figlia, ma certo non mi riesce appagare il desiderio all’atto del mio congedo perché ben sapete che i miei non mi daranno il consenso, cosiché sarò padrone della mia volontà all’età di venticinque anni, salvo che il cielo voglia sprofondare ogni nube di rancore; resto a ricordarvi, però, che fin d’ora grazie Iddio nella famiglia Grimaldi non è esistita nessuna prostituta e né Grimaldi Frino avrebbe permesso a sua madre di dare tanto onore a qualche contadinaccia di Scalea, poiché prima di amare vostra figlia, ho amato quale persona degna, per la famiglia, ma di sentimento beduino, e ho sempre giurato di non mai abbassarmi con una del mio paese, benché non sono di famiglia nobile e, di conseguenza, le persone da voi accennatemi mi fanno schifo abbastanza e ripeto: l’Onestà.
Pertanto finisco col salutare tutti di famiglia, segnandomi
Grimaldi Frino
Vicebrigadiere
Divisione Carabinieri Bengasi (Cirenaica)
I conti non tornano. Fortunata sostiene di avere confidato i rapporti sessuali avuti con Frino diciassette mesi dopo, ma nella lettera spedita dopo qualche giorno dall’ultimo incontro tra i due fidanzati, si capisce che la madre di Fortunata ne era già a conoscenza e la ragazza ha una spiegazione:
– L’ultima volta che il Grimaldi venne a casa mia, di notte sempre, nell’andarsene produsse rumore e mia madre accorse subito, ma il Grimaldi era andato via e soltanto vide un individuo che fuggiva. Mia madre mi domandò chi fosse, ma io nulla in allora le dissi. Al mattino, però, in seguito alle sue insistenze, le raccontai soltanto che era venuto il Grimaldi vicino al finestrino per parlarmi, ma tacqui completamente il resto. In seguito a quell’incidente il Grimaldi credette che avessi rivelato ogni cosa alla mamma, onde la sua preoccupazione e le sue lagnanze con me per non aver mantenuto il segreto. Ma, rassicurato che nulla avevo io rivelato, venne a casa e mia madre, come poi fece anche con me, per strappargli la verità gli disse che io ogni cosa le avevo raccontato, ma egli negò sempre, come negai anche io. Dopo tali tentativi mia madre si calmò e non fece nessun cenno a mio padre del fatto di quella notte. La lettera segnata col numero due, mi è pervenuta dopo qualche giorno dalla prima e dopo che egli fu a casa, quando mia madre tentò di strappargli la verità ed egli, ancora nella credenza ch’io ogni cosa avessi rivelato, si lagnò con me, dicendo di averlo tradito… – poi, porgendo una busta al Pretore, aggiunge – Proprio stamane, con mia sorpresa, mi son vista arrivare una lettera raccomandata del Grimaldi… per quello che potrà valere, credo opportuno esibire alla giustizia…
E quest’ultima lettera presenta degli aspetti interessanti, sia perché Frino chiede scusa, sebbene addossi tutta la responsabilità a Fortunata, e comunica che la faccenda è definitivamente chiusa, sia perché racconta la vita dei militari italiani in guerra nel deserto libico:
Purtroppo male è stato il mio modo di comportarmi verso di te durante il periodo di tempo che ho trascorso a Bengasi. Ciò, però, per causa tua perché più d’una volta ti avevo raccomandato di non scrivermi certe sciocchezze ché a me faceva poco piacere a sentirle, date le mie promesse. Veramente mi hai fatto tanto indispettire, da non poterlo immaginare e son sicuro che il mio silenzio ha prodotto in voi brutti presentimenti. In tutti i modi, mandiamo ogni cosa a monte.
Ti porto a conoscenza pertanto che, dietro la mia promozione a Vice Brigadiere, venni trasferito a Ghemines quale capo ufficio scrivano alla Tenenza. Non puoi immaginarti in che solitudine bisogna vivere. La campagna è la consolatrice di noialtri militari. Non c’è una casa o un negozio ove si possa trovare da bere un bicchiere d’acqua. Un deserto, addirittura non esiste altro che la nostra caserma e due ridotte ove trovasi accampati due battaglioni di soldati. Per lavandaia ci serviamo d’un soldato e puoi immaginarti la delizia; insomma, la residenza è molto disagiata e ti farebbe meraviglia se ti dicessi che la posta ci arriva ogni tre o quattro mesi, salvo se non si tratta di raccomandata e fortuna, però, che c’è il telegrafo, dato la necessità che lo richiede per le comunicazioni al comando della Sottozona. I viveri ce li fornisce la sussistenza e capirai, cara Fortunata, che bisogna adattarsi a tutto finché non avremo una fine vittoriosa dell’attuale guerra. Qui non si vede una faccia di cristiano e si ha sempre contatto coi beduini. In riguardo ad una tua lettera scrittami a Bengasi, nella quale mi dicevi di venire qualche volta in licenza, credi forse ch’io ti dica bugie che questa è una cosa impossibile e speranza vana? Non siamo come in Italia che possiamo avere tale vantaggio. Non viene accordata licenza per nessun motivo e se io ti dico bugie, che Iddio possa togliermi dal mondo prima di domani. Figurati che giorni orsono morì il padre di un mio collega e, certo, fece domanda per avere un po’ di permesso e gli venne risposto che “ci troviamo in Colonia e prima di raggiungere la meta il pericolo ci segue”.
Il Procuratore del re continua a sfogliare i documenti arrivati dalla Pretura di Scalea e si sofferma sull’ultima parte della perizia medica eseguita su Fortunata: Divaricate le piccole labbra ci troviamo di fronte ad un imene distrutto e della cui distruzione appaiono chiare le caruncole mirti formi e l’ostio vaginale si nota ingrandito più del normale. Per quanto ho sopra rilevato e descritto, giudico che la Megna Fortunata ha subito l’accoppiamento col maschio e che tale accoppiamento è di data non recente, dappoiché nessuna traccia di accoppiamento recente si riscontra.
Sarebbe necessario interrogare Frino Grimaldi, ma è impossibile, almeno per ora, così il Procuratore scrive al Giudice Istruttore per evitare la prescrizione:
Poiché risulta che il prevenuto è militare in attività di servizio; poiché occorrerebbe interrogarlo e non può spedirsi mandato nei suoi confronti, CHIEDE che il Sig. Giudice Istruttore voglia dichiarare sospeso il procedimento.
È il 5 aprile 1918 ed il giorno dopo la richiesta viene accolta.
Passa un anno e mezzo, è il 6 ottobre 1919, quando viene ripreso il fascicolo, ma solo per scrivere poche righe:
Poiché trattasi di reato per il quale la legge stabilisce una pena non superiore, nel massimo, a 10 anni. Poiché l’imputato non ha riportato condanne per delitto e che fu sospeso il procedimento per gli articoli 1 e 2 decreto Luogotenenziale 10-6-919 N. 811, trovandosi il Grimaldi militare, giusta ordinanza di questo ufficio del 6 aprile 1918,
su conforme requisitoria del P.M.
in applicazione degli articoli 1 e 3 del Decreto Luogotenenziale in data 2 settembre 1919, dichiara non doversi procedere contro il suddetto imputato in ordine al reato ascrittogli, poiché l’azione penale è estinta per amnistia.[1]
Fine.
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[1] ASCS, Processi Penali.