IL MISTERO DELL’ULTIMA CENA

– Il quadro… mi raccomando il quadro – sussurra il vecchio moribondo all’orecchio dell’uomo chinato amorevolmente su di lui – il notaro… ho scritto tutto…

Poi Monsignor Antonio Ricciulli, nato a Rogliano il 30 maggio del 1582, vescovo di Cosenza dal 1641 al 1643, chiude gli occhi e la sua anima comincia il viaggio verso la vita eterna.

Ma perché Monsignor Ricciulli raccomanda un quadro a suo nipote, l’omonimo Antonio Ricciulli, in punto di morte? Beh, è una storia piena di misteri ed enigmi. Passati, presenti e futuri.

Di certo c’è che il prelato nel proprio testamento dispose di donare, tramite il nipote Antonio, un quadro rappresentante l’ultima cena alla Cattedrale di Cosenza. Ma questi, erede universale del Monsignore, non ne eseguì la volontà immediatamente e sfortuna volle che poco tempo dopo morì improvvisamente senza lasciare alla moglie né testamento, né istruzioni in merito alla consegna del quadro. E la vedova, non sapendo cosa fare, tenne in casa il dipinto per una quarantina di anni. Trascorso questo lunghissimo tempo, donna Geronima Vitale decise di provvedere per discarico di coscienza e, davanti al notaio Nicola Crocco, al rappresentante del Vescovo di Cosenza ed a tutta una folta schiera di ecclesiastici, il 10 settembre 1681, consegnò il dipinto, che doveva avere certamente un grande valore materiale, oltre che religioso. Con tutte le difficoltà che la comprensione di un atto notarile redatto più di 3 secoli fa, sforziamoci e proviamo a leggere:

RR Dignità e Canonici della Cathedrale Chiesa di Cos.a (…) d’una parte, et il R.do S.r D. Domenico Plastina agg.te et stip.te a nome e parte di Monsignor Ill.mo Gennaro Sanfelice Arcivescovo di Cos.a dell’altra parte, esso S. D. Dom.o al nome come si s.a consegna alli d.i S.gri Dignità et Canonici un quatro di circa sei palmi di larghezza e cinque d’haltezza della Cena di n.ro Sig.re Giesù Christo coli Apostoli Dipinto dal Bassano Celebre Pittore p. quanto è stato affermato et scritto  à d.o Monsig.rArcivescovo dalla Sig.a Geronima Vitale moglie del q.m S.r Ant.o Ricciullo nepote di Monsig.r Ricciullo olim Arcivescovo di Cos.a la q.le Sig.a Geronima nel mese di Luglio prossimo pass.o mandò il detto quadro à Monsig.r Arcivescovo e li scrisse che havendo il Sopranominato monsig.r Ricciullo Arcivescovo di Cos.a lasciato in test.o il med quadro alla Cathedrale Chiesa di Cos.ap. doversi tenere in essa appeso et il sud.o Ant.o Ricciullo suo marito et her.e di d.o Monsig.r Ricciullo non havendo potuto eseguire la volontà di suo zio anche p. esser poi morto senza testam.o e senza poter far altro atto essa p. ademp.o della volontà di suo zio e del marito, et p. discarico di sua coscienza ha risoluto mandare sincome effettivam.e ha mandato in potere d’esso monsig.r Arcivescovo il d.o quadro p.che lo facesse appendere dentro la Cathedrale di Cos.a in quel luogo che si fusse meglio paruto in conformità della pia disposz.e del q.m Monsig.r Ricciullo suo zio et stante l’assertina p.nte et consegna del detto quadro fatta dal d.o S.r D. Dom.co Plastina in nome e parte di Monsig.r Ill.mo Gennaro Sanfelice Arcivescovo di Cos.a d.i Sig.ri Dignitari et Can.ci ricevendo manualm.te in presenza di me p.tto N.o Giud.e e testimonij il med.o quadro s’obligano di tenere et conservare il med.o appeso al muro sopra l’altare della Cappella del SS.mo Sacram.o della Chiesa Cathedrale di Cosenza, e di non admoverlo, né farlo ammovere dà detto luogo in nessun tempo in conformità dell’ordine datoli dà monsig.r Illustrissimo Arcivescovo et per l’altre effette essi Signori Dignità et canonaci obligano se stessi et li Sig.ri Dignità e Canonaci successivi e futuri (…)”.

Un quadro di circa sei palmi di larghezza (circa 150 cm) e cinque d’altezza (circa 130 cm) della Cena di nostro Signore Gesù Cristo cogli Apostoli, dipinto dal Bassano, celebre pittore.

Il Bassano celebre pittore. E qui cominciano i primi enigmi perché di pittori con il soprannome Bassano ne sono esistiti almeno sei, tutti di Bassano del Grappa, vissuti in un  arco temporale che va dall’ultimo quarto del ‘400 al primo quarto del ‘600, e tutti imparentati tra di loro in linea retta. Così si parte da Francesco da Ponte (1470 ca – 1540 ca), alias il Bassano (soprannome che trasmise a tutti gli altri), alias Francesco il Vecchio; si continua con Jacopo (1510 ca – 1592), suo figlio e il più famoso di tutti, e poi i figli di Jacopo, nell’ordine: Francesco (1549 – 1592), detto Francesco il Giovane, Giovanni Battista (1553 – 1613), Leandro (1557 – 1622) e Gerolamo (1566 – 1621).

Quale di questi, e quando, dipinse l’ultima cena donata da Monsignor Ricciulli? Sarà un’impresa ardua, ma cercheremo di scoprirlo.

Secondo enigma: dato che i da Ponte, detti Bassano, non ebbero mai alcun rapporto con la Calabria, come avrebbe potuto fare Monsignor Ricciulli ad entrarne in possesso?

A me vengono in mente tre ipotesi.

Ma per spiegarle bisogna partire da una premessa che riguarda i pittori della famiglia da Ponte. Cesare Minicucci, che ritrovò nell’archivio privato della famiglia Ricciulli una copia dell’atto di donazione, nel suo Ricordi storici della Città di Rogliano [Firenze 1954] identifica in Jacopo da Ponte detto il Bassano, l’autore della tela in questione. Possibile, ma poco probabile.

Infatti, studiando la vita di Jacopo sorgono dei dubbi: tutte le cronache che riguardano Jacopo da Ponte il Bassano dicono che la sua opera si svolse solo ed esclusivamente nel circondario di Bassano del Grappa, e solo dopo molto tempo dalla morte le sue opere hanno cominciato a girare per il mondo nei più famosi musei. È vero che Jacopo da Ponte fu autore di una tela  raffigurante l’ultima cena, oggi esposta presso la Galleria Borghese di Roma, ma non si conoscono altre sue opere raffiguranti lo stesso soggetto. E certamente la tela di cui si parla nell’atto notarile non può essere la stessa di quella esposta nella Galleria Borghese, sia perché le misure delle due tele sono completamente diverse (160 x 270 cm quella esposta a Roma;  circa 150 x 130 cm quella riportata nell’atto di donazione), sia perché questa tela gli fu commissionata nel 1546 dal nobile veneziano Battista Erizzo, poi di proprietà dei marchesi Bentivoglio di Ferrara, che la donarono alla famiglia Borghese di Roma già nel 1607.

Quindi, stando a queste informazioni, con molta probabilità l’autore del dipinto donato da Monsignor Ricciulli non fu Jacopo.

Dei figli di Jacopo, solo Francesco e Leandro operarono nell’Italia Centrale e, di questi, solo Leandro più o meno nel periodo durante il quale Antonio Ricciulli si trovava a Roma.

Fatta questa premessa, il primo modo secondo cui l’arcivescovo potrebbe essere entrato in possesso della tela è che, trattandosi presumibilmente di un’opera di Francesco il Giovane o di Leandro da Ponte, Ricciulli ne venne in possesso direttamente a Roma da qualcuno a cui la tela fu ceduta dall’autore, dato che i fratelli da Ponte ebbero commissionate alcune opere per l’Abbazia di Montecassino, l’ultima delle quali fu terminata da Leandro negli ultimissimi anni del ‘500.

Il secondo è un modo più tortuoso, ma forse più suggestivo. Monsignor Antonio Ricciulli aveva un fratello, Girolamo l’artista, che fu nominato vescovo di Bologna nel 1616 e vi restò fino al 1626. Qui Girolamo potrebbe essere entrato in contatto con i marchesi Bentivoglio di Ferrara, i quali intorno al 1607 fecero dono della tela al Cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V (in realtà il casato di Scipione era Caffarelli, ma nel 1605, eletto papa Camillo Borghese, Paolo V, fratello della madre di Scipione, nominò suo nipote Cardinale e lo adottò, conferendogli così il diritto di usare il nome e lo stemma dei Borghese). I Bentivoglio, prima di consegnare la tela, ne fecero realizzare una copia da Giovambattista da Ponte, secondogenito di Jacopo e ottimo copista del padre.

Girolamo Ricciulli, affascinato dalla figura femminile posta al centro del dipinto, che alcuni vogliono raffigurante Melissa, altri la Maga Circe, chiese al marchese Bentivoglio di cedergli la tela. Questi acconsentì e gliela cedette. Alla morte di Girolamo, avvenuta a Rogliano nell’agosto del 1626, il quadro restò in eredità al fratello Antonio che poi nel proprio testamento lo lasciò, come abbiamo visto, alla cattedrale di Cosenza.

Il terzo ruota attorno alla figura di Scipione Borghese, il quale fu abate commendatario del monastero cistercense di Fonte Laurato in territorio di Fiumefreddo Bruzio dal 1605, quindi a partire da due anni prima di ricevere in dono la tela di Jacopo da Ponte, fino al 1621. Fu probabilmente in questo periodo che Girolamo Ricciulli e Scipione Borghese entrarono in contatto e l’abate magnificò le doti del pittore di Bassano a Ricciulli, allora Vescovo di Belcastro, il quale a sua volta, tramite i marchesi Bentivoglio, commissionò una copia dell’ultima cena a Giovanbattista da Ponte.

Restano tutte soltanto ipotesi, perché nonostante le accurate ricerche fatte, non sono riuscito a rinvenire gli atti notarili con i testamenti dei fratelli Ricciulli, nei quali potrebbe essere stata riportata qualche notizia sul quadro, senza escludere la possibilità di decine di altre ipotesi più valide e magari verificabili.

Ma qualunque sia stato il modo in cui Monsignor Antonio Ricciulli entrò in possesso del quadro e chiunque ne sia stato l’autore, ecco che entra in scena l’ultimo e più intrigante mistero: il quadro del Bassano celebre pittore non è più nella Cattedrale di Cosenza e nemmeno nella sede della Curia Arcivescovile.

E non c’è più da moltissimi anni, visto che non ve ne è traccia già a partire dagli inventari del Capitolo cosentino, redatti nel Settecento.

Chi ha fatto sparire il quadro del Bassano celebre pittore dalla Cattedrale di Cosenza?[1]

[1] Fonti archivistiche: Archivio di Stato di Cosenza; Archivio Storico Diocesano di Cosenza.