– Procediamo con calma, declinate le vostre generalità – dice il Brigadiere Angelo Bentivoglio, comandante della stazione dei Carabinieri di Cetraro, all’uomo seduto a capo chino davanti a lui. Sono le due di notte del 4 febbraio 1895.
– Mi chiamo Giovanni Credidio, soprannominato Squagliachiummu, ho 44 anni, sono nativo di Roggiano Gravina e faccio l’infermiere nell’ospedale di Cetraro.
– Bene, adesso con calma raccontate i fatti.
– Ieri sera, circa alle ventuno, mi vestii in maschera con la veste di mia moglie. Durante la mascherata, andando qua e là pel paese bevvi molto vino di diversa qualità che mi veniva complimentato da varie persone e mi portò allo stato di piena ubbriachezza, che andavo barcollando. Verso le ore 24 mi svestii dell’abito di maschera e ubbriaco ancora qual ero, rientrai all’Ospedale dove, come infermiere, soglio pernottare. Non appena ivi arrivato, entrai come al solito nella stanza di certa Maria Leone, ricoverata come ammalata, per accenderle il lume. E siccome altre tre o quattro volte l’avevo posseduta ai miei voleri carnali, così anche quella sera, vinto dallo stimolo per me quasi irresistibile, causato nella maggior parte dall’ubbriachezza, mi posi sul suo letto in atteggiamento dell’atto carnale ma lei, non acconsentendovi e resistendo ai miei atti libidinosi, cominciò a gridare. Io allora per non farla sentire gridare ed anche perché non avevo potuto soddisfare la mia voglia, la strinsi forte alla gola colla mia mano destra, tanto che ella, dopo brevi istanti, perduto il respiro, rimase esanime… dopo tale sciagura sono uscito da quella stanza e mi sono trovato nella casa dei coniugi Benedetto ed a cui narrai il fatto, soggiungendo loro che immediatamente mi sarei recato da voi e chiesi perdono ad essi se mai avessi loro arrecato qualche fastidio…
– Ma questa donna era giovane?
– Insomma… aveva certamente più di ottant’anni…
A questa affermazione il Brigadiere salta sulla sedia e comincia seriamente a dubitare che il motivo per cui Credidio ha ucciso Maria Leone sia legato a un tentativo di violenza carnale. Si vedrà.
Il cadavere di Maria Leone giace sul lato destro col capo poggiato sul braccio. Il capo è coperto da capelli rari, corti e completamente bianchi. La faccia si presenta alquanto tumida, gli occhi sono completamente chiusi con le palpebre rigonfie. Dall’occhio destro cola del sangue; sul dorso del naso si nota una escoriazione; nella narice destra vi è qualche goccia di sangue aggrumito, dalla sinistra scende del moccio. La bocca è chiusa e, allontanate fra loro le labbra, si vede sporgere la lingua dalle arcate dentarie prive degli incisivi superiori ed inferiori e di parecchi molari. Presenta parecchie lividure ed escoriazioni sul collo, nonché due altre lividure, una sulla branca sinistra del mascellare inferiore e l’altra sulla branca destra del detto mascellare.
Secondo le indagini dei Carabinieri le cose non sono andate esattamente come ha raccontato Credidio nel primo interrogatorio, perché in un colloquio confidenziale con il Brigadiere racconta che, siccome nella stessa stanza di Maria Leone era ricoverata un’altra donna, Scolastica Novello, egli avrebbe tentato di uccidere anche questa, non riuscendogli perché fuggì. Non solo, sembrerebbe che subito dopo l’omicidio Credidio avesse espresso la volontà di voler uccidere anche il fornitore dei viveri dell’Ospedale, Angelo Orlando, verso il quale nutre pure vecchi rancori, dicendo d’essere già in possesso di una pistola per definire il progettato tradimento, dichiarandosi poco soddisfatto per non averlo fin qui compiuto. Anche se questa affermazione non sembra particolarmente credibile, il Brigadiere Bentivoglio decide di andare a perquisire la camera dell’ospedale dove Credidio era solito dormire e, in un sacco appeso al muro,trova una pistola ad una canna, scarica.
Ma in tutta questa vicenda c’è qualcosa che non quadra: come fa Giovanni Credidio alias Squagliachiummu a ricordare perfettamente tutti i particolari della sua folle notte se era così ubriaco come ha detto?
– La sera del 3 andante, stando nella mia stanza 21 del convento dei cappuccini di Cetraro, vidi passare lungo il corridoio Squagliachiummu ubbriaco marcio e due persone che lo sorreggevano ed accompagnavano – racconta frate Serafino Bertino –. Verso la mezza notte Credidio venne a bussare alla mia porta; io mi alzai, aprii l’uscio ed in quel momento egli, conservando ancora lo stato di ubriachezza, mi disse: “ È morta quella vecchia… adesso vado dai Carabinieri”. Io a ciò non credetti…
– Siete a conoscenza di rapporti illeciti tra Credidio e la vittima?
– A me non costa che tra i due correvano relazioni illecite, anzi sarei propenso ad affermare che Giovanni Credidio dicendo ciò abbia mentito. Del resto non so spiegare il fatto dello strangolamento, se vero, come conseguenza di un momento di aberrazione.
– Io sono ricoverata perché vecchia, mendica ed ammalata, ma la notte del 3 non sono andata a dormire all’ospedale perché il giorno precedente ero andata in campagna per visitare alcuni miei parenti – ricorda Scolastica Novello, l’altra donna che Credidio avrebbe tentato di uccidere –. Ritiratami la mattina seguente in paese, seppi dalla voce pubblica che Squagliachiummu aveva affogato la vecchia Maria Leone…
– Sapete se qualche volta Credidio… mi avete capito…
– Non so se qualche volta avesse avuto commercio carnale con Maria. Ricordo però che qualche giorno prima dell’avvenimento, vidi Credidio che nello stato di ubriachezza diceva alla Leone: “Ti debbo ammazzare…” ma non saprei se quella minaccia venne fatta per l’azione del vino o per altro motivo…
– Conosco da lungo pezzo Giovanni Credidio il quale, oltre che inserviente dell’Ospedale era anche spazzino municipale e si recava ogni giorno al Municipio dove io sono impiegato – afferma Eugenio Cerbelli –. Posso perciò assicurare che egli ha sempre serbato lodevolissima condotta. Era ubbidiente, rispettoso e laboriosissimo. Solo, di tanto in tanto, si lamentava di qualche sopruso che gli veniva fatto…
– Ha sempre serbato buona condotta e non ha mai maltrattato i ricoverati. È vero che il vizio dell’ubbriachezza abituale lo dominava, ma anche ubbriaco non dava molestia a nessuno – dice Elena Maritato.
– Potrebbe anche essere che il Credidio abbia strangolato la Leone in seguito a rifiuto da parte di costei ad acconsentire alle sue prave voglie, ma questa circostanza, dalle indagini da me praticate, non risulta finora neanche relativamente accertata – dichiara il Brigadiere Bentivoglio al Pretore.
– Come mai avete scritto che nella stanza con la Leone c’era pure l’altra donna e che Credidio cercò di ucciderla? Questa circostanza non risulta vera…
– Non fu per mia scienza, ma in base alla confessione del Credidio riferii quella circostanza.
Invece per la Sezione d’Accusa Giovanni Credidio ha ucciso Maria Leone per il rifiuto opposto alla congiunzione carnale, il tutto con abuso di autorità e per questo motivo, il 23 aprile 1895, lo rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Il 22 giugno successivo si apre il dibattimento, che viene poi rinviato e, il 22 novembre 1895, viene emessa la sentenza: Giovanni Credidio è responsabile di tentata violenta congiunzione carnale e di omicidio volontario con la minorante del vizio parziale di mente per ubriachezza volontaria abituale. In totale fanno 16 anni, 11 mesi e 10 giorni di reclusione, più pene accessorie, ma il Pubblico Ministero fa rilevare, a suo giudizio, alcune irregolarità nella concessione dell’attenuante e si apre una lunga discussione con la Giuria costretta a rientrare più volte in Camera di Consiglio per modificare la decisione, finché il Presidente della Corte non stabilisce che non c’è contraddizione se per un capo d’accusa siansi dai Giurati affermate sussistenti delle scusanti od aggravanti non consentite per l’altro carico fatto al medesimo imputato. Tutto a posto, ma partono i ricorsi per Cassazione.
È il 13 novembre 1895 quando la Suprema Corte, rigettando il ricorso di Giovanni Credidio, mette la parola fine alla storia.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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