La mattina di domenica primo agosto 1909 Cosmo Bisignano e suo fratello Francesco lasciano le proprie case nella frazione Gioia del comune di Acri per recarsi con gli asini in paese a vendere i loro prodotti e comprarne di necessari alle loro colture.
Anche Cosmo Manfredi e suo figlio Domenico lasciano le proprie case nella frazione Ondichetto e vanno ad Acri con gli asini carichi.
Terminati gli affari verso mezzogiorno, i fratelli Bisignano ripartono con gli asini carichi di cereali e patate e la loro andatura è piuttosto lenta. I Manfredi, ai quali si aggregano la suocera di Domenico, Luisa Bifano, e una nipote di Cosmo, Immacolata Rose, acquistano solo delle piantine di cavolo e prima di ripartire si fermano in una cantina dove bevono un paio di bicchieri con un loro conoscente, Salvatore Gagliardi, poi si incamminano a passo spedito verso casa. Dopo un bel tratto, poco prima della frazione Duglia, dove la strada si snoda lungo le alte sponde del torrente Sant’Angelo, i Manfredi raggiungono i fratelli Bisignano. Proprio in questo luogo, deserto in quel momento e riparato da occhi e orecchi indiscreti, i quattro sono faccia a faccia ma non si degnano nemmeno di uno sguardo. Domenico Manfredi col suo asino sorpassa uno degli asini dei Bisignano, che si mette a mangiare le piantine sul dorso dell’altro asino.
– Volete o non volete passare davanti con i vostri asini? – urla Domenico Manfredi ai Bisignano.
– Sei tu avanti e passa avanti! – gli rispondono i Bisignano ad una voce.
– Voglio stare qui quanto mi piace, siete voi che dovete passare avanti – risponde Domenico con aria strafottente.
– No che devi passare tu perché eri avanti.
Questo sterile battibecco a chi doveva passare e chi doveva restare indietro non può che portare dei guai, così Luisa Bifano smonta dall’asino, si avvicina ai fratelli Bisignano e li esorta ad andarsene, lasciando perdere la questione ma ogni tentativo è vano, è quella l’occasione per regolare ogni conto.
Domenico Manfredi e suo padre Cosmo saltano giù dagli asini, si avvicinano minacciosi ai fratelli Bisignano ed immediatamente si afferrarono tutti e quattro. Luisa Bifano cerca di mettersi in mezzo ai contendenti per evitare guai, ma proprio in questo momento luccicano le lame dei coltelli e la donna, ferita ad una mano, si tira indietro.
I Bisignano sono disarmati e soccombono sotto le coltellate dei Manfredi. Quando padre e figlio Manfredi si allontanano di corsa dal posto, Cosmo Bisignano è disteso a terra boccheggiante, mentre il figlio Francesco è in piedi con lo sguardo attonito, le braccia lungo il corpo e una macchia rossa che si allarga sempre più sul suo petto. Poi le ginocchia gli cedono di schianto e cade a terra morto.
Le due donne, terrorizzate, urlano ma nessuno può sentirle. Luisa, la più anziana, prende la sua decisione: afferra le redini degli asini con la mano ferita e con l’altra un braccio della quattordicenne Immacolata e si allontana dal luogo del delitto.
I Carabinieri vengono avvertiti qualche ora dopo e si precipitano sul posto prima che faccia buio: trovammo il Bisignano Francesco sdraiato supino al suolo con diverse ferite al corpo ed il di lui fratello Cosimo alla distanza di circa 4 metri sdraiato sul fianco destro, avente il cappello sotto la testa, pure con diverse ferite al corpo, entrambi cadaveri. Il cappello del Francesco fu trovato alla distanza di circa 6 metri nel piccolo rivo d’acqua che scorre nel torrente Sant’Angelo, unitamente ad un altro cappello nero, floscio e logoro, che doveva appartenere all’uccisore.
Il Maresciallo Giovanni Bodini ascolta la relazione sommaria del medico chiamato ad esaminare i cadaveri e sembra che ad uccidere i due sia stata la stessa arma, quindi un solo assassino e poi comincia subito le indagini interrogando i familiari dei fratelli Bisignano: emerge subito che le uniche persone ad avere motivi di risentimento verso le vittime sono Cosmo e Domenico Manfredi.
– Circa sei anni fa mio marito Cosmo Bisignano comprò da don Giacinto Padula una piccola terra in contrada Serra della Cresta per £ 1200 e lo strumento fu fatto dal notaro Zanfini di Acri. Quell’acquisto determinò lo scatenarsi dell’odio più feroce di Manfredi Cosmo e suo figlio Domenico i quali, essendo coloni del Padula, speravano di potere un giorno comprare quella terra – comincia a raccontare Saveria Azzinnari tormentando un fazzoletto logoro col quale, di tanto in tanto, si asciuga le lacrime –. Trovandosi in seguito mio marito in America, fui sempre fatta segno ad ingiurie ed a manifestazioni di odio da parte dei Manfredi e ricordo che un giorno, dovendosi discutere nella Pretura di Acri una querela per ingiurie da me sporta contro il Padula, Manfredi Cosmo in presenza di Angelo Luzzi mi disse che sarei andata invece io in carcere e che nel carcere mi avrebbe fottuta e fatto fare un figlio. Invece il Padula fu condannato. Tornato mio marito dall’America, si svolse tra di lui ed il Padula un giudizio civile ed i Manfredi nella identificazione del fondo aiutarono il loro padrone contro di noi. Intanto nel novembre 1908 il Manfredi Domenico fu ferito ed egli incolpò autore del ferimento mio marito che fu anche condannato nel Tribunale di Cosenza. ma questa condanna non valse a saziare la sete di vendetta: essi avevano giurato l’esterminio della nostra famiglia…
Le ricerche dei due sospetti non danno subito l’esito sperato, ma nella serata una soffiata ai militari li porta a perquisire un ovile in aperta campagna dove si nasconde Cosmo. Portato in caserma, gli viene trovata una piccola ferita sulla faccia in direzione dell’occhio sinistro.
– Me la sono fatta cadendo…
– Valla a raccontare a qualcun altro, il tuo cappello presenta due macchie di sangue e impronte di dita insanguinate… dimmi come sono andate veramente le cose…
– Non mi ricordo niente… quando sono tornato a casa da Acri ho preso poca roba mangereccia e mi trasferii subito all’ovile dove vi erano altri miei figli.
– Si, questo è vero – ammette il Maresciallo – e dov’è tuo figlio Domenico?
– Se n’è andato per conto suo e non l’ho più visto nella rimanente giornata di ieri – poi non c’è più modo di fargli aprire bocca.
Il duplice omicidio ha sconvolto la popolazione e i Carabinieri non fanno fatica a ricostruire minuziosamente tutti gli spostamenti dei fratelli Bisignano e dei Manfredi. Arrivano subito a Luisa Bifano e Immacolata Rose che potrebbero rifiutarsi di testimoniare dato il ravvicinato grado di parentela, ma non si sottraggono e raccontano per filo e per segno tutto quello che hanno visto e sentito. Nemmeno gli altri parenti dei Manfredi si rifiutano di testimoniare e le cose si mettono davvero male per loro, o almeno per Cosmo visto che il figlio è uccel di bosco. Invece Domenico, all’imbrunire del 2 agosto, si consegna al Pretore di Acri, ma pare che anche lui soffra di amnesia:
– Ieri mattina sono venuto ad Acri con mio padre. Fui dal mio padrone Giacinto Padula, dall’avvocato Iulia Antonio e dal signor Servidio Salvatore coi quali ultimi volevo consigliarmi perché proprio quella mattina avevo ricevuto avviso per un esperimento di conciliazione avendo io domandato le spese a debito per fare causa di rivalsa di danni contro Cosmo Bisignano. Poscia fui a comprare un po’ di piantine di cavoli nell’orto di Baffa ed indi mi andai a trattenere nella bettola di Rocca Francesco in compagnia di mastro Pasquale detto ‘u ghiegghiu col quale bevvi un litro e mezzo di vino. Verso vespro mi misi a cavallo ed insieme a mio padre ed a mia suocera Luisa Bifano, entrambi coi loro asini, ci avviammo verso Vallone Cupo. Non ricordo se anche con noi venne la ragazza Rose Immacolata. Ricordo del cammino percorso sino ai pressi del Campo Santo. da quel momento in poi non mi sovviene di nulla più.
– Tua suocera ha raccontato che tu e tuo padre avete aggredito i fratelli Bisignano e li avete ammazzati…
– Mia suocera può dire quello che crede, io non ricordo niente…
– È tuo questo cappello? – gli fa il Maresciallo mostrandogli il cappello floscio sequestrato sul luogo del delitto.
– No!
I risultati dell’autopsia smentiscono le parole del medico che aveva ispezionato i cadaveri nell’immediatezza del fatto e stabilisce che ad uccidere i fratelli Bisignano sono stati due coltelli dalle lame alquanto diverse l’una dall’altra e quindi, concludono gli inquirenti, padre e figlio hanno colpito le vittime e sono entrambi colpevoli.
Poi a Cosmo Manfredi sembra che la mente si apra e comincia a ricordare qualcosa:
– Mio figlio e i Bisignano cominciarono a litigare su chi doveva passare avanti e dopo avere alquanto altercato, presero a menargli coll’intento di farlo cadere dall’asino. Si afferrarono quindi tutti e tre ed io accorsi per mettere pace. Intanto non so come restarono feriti quei due. Certo io non feci nulla contro di loro. Tenevo in tasca un piccolo coltello spuntato ma non lo estrassi affatto.
– Non dire fesserie! L’autopsia parla chiaro: uno l’hai ammazzato tu e uno l’ha ammazzato tuo figlio, i coltelli sono due…
– Io non ho fatto niente, mi sono adoperato a dividere, non ho menato…
– Vi siete voluti vendicare per le precedenti questioni, ammettilo!
– No, tutto questo è estraneo alla rissa avvenuta alla fiumara di Duglia. Il fatto avvenne all’improvviso così come l’ho raccontato!
Alle dichiarazioni delle due testimoni oculari si aggiungono altri riscontri: il cappello sequestrato, che calza perfettamente la testa di Domenico Manfredi, viene mostrato a parecchi testimoni e tutti giurano di averglielo visto in testa a fino a domenica 1 agosto; quello col quale si è presentato dal Pretore è nuovo di zecca e nessuno lo ha mai visto prima. Macchie di sangue vengono repertate sugli abiti che i due Manfredi indossano. Sulla premeditazione del duplice omicidio i dubbi li chiariscono Domenico De Angeli e Francesco Cappello i quali riferiscono di avere parlato con Domenico Manfredi prima che si costituisse e di averlo ascoltato mentre pronunciava queste testuali parole: “Ho trent’anni, altri trenta li farò di carcere ma quando uscirò sterminerò la famiglia dei Capretti!”, intendendo con questo nomignolo la famiglia Bisignano, che così è soprannominata. Ma tutto questo non serve: Domenico Manfredi continua a negare:
– È inutile che mi tornate a interrogare. Ripeto sempre che io non mi ricordo nulla di quanto mi dite. Il vino bevuto mi ha fatto perdere ogni conoscenza e memoria di tutte le circostanze che mi contestate. L’unica cosa che posso dirvi è che non è vero che ho detto niente a De Angeli e Cappello.
– Però avevate dei forti risentimenti nei confronti dei fratelli Bisignano…
– No. Dopo che i Bisignano acquistarono il terreno che noi coltivavamo dal nostro padrone, si impossessarono di un’estensione di terreno maggiore di quella vendutagli come accertò il perito che io assistetti da indicatore. Con mio padre, anzi, la facemmo da testimoni in un atto notorio che il Padula fece raccogliere in Pretura per accertare l’usurpazione. Per questo Cosmo Bisignano ce l’aveva con me e mio padre e più specialmente con me, dicendo che io gli andavo contro, mentre io non avevo fatto che il mio dovere servendo il mio padrone ed attestando la verità. E non è vero che noi ce l’avessimo col Bisignano perché aveva acquistato quel terreno, quasi che avessimo voluto acquistarlo noi. Ci furono delle quistioni nei primi tempi dell’acquisto ma non più di questo e ripeto che erano loro che nutrivano odio e rancore contro di noi perché sostenevamo gl’interessi del nostro padrone. Tale odio nel novembre ultimo scorso indusse Cosmo Bisignano a ferirmi abbastanza gravemente, quasi a tradimento, come risulta dal processo relativo. Se avessi voluto vendicarmi di tale fatto non avrei iniziato il giudizio di rivalsa dei danni!
– I testimoni però dicono che tu e tuo padre avete assalito all’improvviso i Bisignano.
– Ripeto che io non ricordo di aver visto quei due. I testimoni possono dire quello che vogliono, io non ricordo niente!
Troppo facile!
Ma Domenico Manfredi era davvero così ubriaco da non ricordare nulla? Gli inquirenti, dalle testimonianze raccolte, riescono a quantificare in meno di un litro il vino bevuto a più riprese durante tutta la giornata di domenica 1 agosto.
– Forse il vino mischiato mi ha fatto male a digiuno. Forse ne ho bevuto altrove e non ricordo…
– Digiuno non eri affatto! A casa del tuo padrone hai mangiato polpette e nella cantina di Rocco hai mangiato trippa…
– Trattasi di ben poca robba che avevo mangiato…
Intanto Biagio Autieri, maestro rurale della frazione di Duglia, a poca distanza dal luogo del delitto ritrova un coltello che viene repertato dai Carabinieri e sottoposto a perizia. L’arma, a lama fissa lunga 16 centimetri e larga alla base 1,7, che era in origine una lima poi affilata da un lato e ancora sporca di sangue, è compatibile con le ferite riportate da Cosmo Bisignano.
Sembra essercene abbastanza per chiudere l’istruttoria e il Pubblico Ministero chiede di derubricare l’imputazione da omicidio premeditato a omicidio volontario perché l’aggravante non emerge dalla ricostruzione del fatto, improvviso, determinato dallo incontro e dal successivo battibecco tra uccisori ed uccisi.
Il 9 febbraio 1910 la Sezione d’Accusa rinvia gli imputati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere del reato di duplice omicidio volontario commesso in concorso tra di loro.
Il dibattimento si apre il 15 novembre 1910. Bastano tre udienze per arrivare, il 17 successivo, alla condanna di Cosmo e Domenico Manfredi. Il primo prende 15 anni e 12 giorni di reclusione; il secondo ne prende 25. Entrambi vengono interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e dovranno risarcire le parti civili con una provvisionale stabilita in 3.000 lire.
La pena diventerà definitiva il 13 settembre 1911 quando la Suprema Corte di Cassazione rigetterà il ricorso degli imputati.[1]
[1] ASCS,Processi Penali.
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