IL BARBIERE GELOSO

È il primo pomeriggio del 13 agosto 1900. A Montalto Uffugo è giorno di festa ma tutti lavorano. Nella barberia di Raffaele Corno è ancora troppo presto per ricevere clienti e il barbiere ha lasciato il suo discepolo più piccolo, Eugenio Alimena di 9 anni. Un traìno si ferma davanti alla bottega e il conducente entra nel locale per consegnare un pacco di mignatte. Il ragazzino non sa come deve comportarsi con quegli animaletti e va a casa del padrone per avvertirlo. Mastro Raffaele non c’è, c’è sua moglie, la maestra Anna Dragone, che sta facendo lezione ai suoi allievi, e le dice del pacco.
– Vai a trovare mio marito, deve essere o da Raffaele Cribari o da Carmine Ortino, poi torna qui a darmi novità…
Da Cribari non c’è ed Eugenio va alla cantina di Ortino. È lì che sta giocando a vino con gli amici e col Brigadiere Domenico Ferrari.
Falle accomodare da Francesco, ma prima vai da Cribari a prendere una bottiglia ed una salvietta con zucchero e caffè – gli ordina distrattamente.
Eseguiti gli ordini del padrone, Eugenio torna dalla maestra.
– Bene, vagli a dire che tornasse a casa perché ho la febbre e mi metto a letto.
Ubbidiente, esegue anche questa commissione e ritorna accompagnando Mastro Raffaele.
– Bravo Genuzzu, adesso vai ad accompagnare le alunne e poi torna alla barberia – gli ordina la maestra.
Poco dopo arriva nel locale anche il padrone che rade un paio di barbe ed esce di nuovo. Ripassa dopo qualche minuto ed Eugenio nota qualcosa di strano: mastro Raffaele, che prima indossava una giacca bianca, adesso ne indossa una nera e si dirige verso la chiesa della Serra.
Mastro Raffaele arriva davanti alla chiesa e lì incontra uno dei suoi tre discepoli, il diciottenne Luigi Lattari, e lo invita a seguirlo per aiutarlo ad accendere i lumini in onore della Madonna, posti davanti casa sua. In tutto questo andirivieni è ormai il crepuscolo.
Vincenzo Paladino ha la sua rivendita di mattoni proprio di fronte alla casa di mastro Raffaele e, nella poca luce ormai rimasta, vede il barbiere salire i gradini che immettono nella loggetta di accesso alla casa. Davanti a lui c’è Luigi Lattari. Mastro Raffaele mette una mano in tasca, ne toglie una moneta e dice qualcosa al giovanotto che prende i soldi e si allontana.. Paladino chiude il negozio e torna a casa.
Angela Fullone abita nella stanza sopra a quella abitata da mastro Raffaele e sua moglie. Sente al piano sottostante lo scricchiolio che fa la chiave sulla toppa quando si apre e subito dopo l’esplosione di tre colpi di rivoltella, ma non ci bada troppo perché quattro o cinque giorni prima mastro Raffaele aveva detto a lei ed a suo marito che se avessero sentito sparare non avrebbero dovuto preoccuparsi perché aveva intenzione di uccidere un uccello notturno. Angela, però, capisce subito che non si tratta di un uccello perché sente dei lamenti umani e una flebile richiesta di aiuto. Si precipita in strada per accertarsi che suo marito, Salvatore Salvati, ancora nel negozio, stia bene. Proprio in questo momento la porta dei coniugi Corno si apre e mastro Raffaele esce di casa, seguito, dopo qualche secondo, da Luigi Lattari che scende  le scale barcollando e cade a terra proprio davanti alla porta del negozio di Salvati, il quale lo prende di peso e lo porta dentro. Ed è steso a terra nel locale di Salvati che lo trova il Brigadiere Ferrari, immediatamente arrivato sul posto con il Pretore locale.
– Mi ha sparato mastro Raffaele… – dice a fatica mentre, quasi piegato su sé stesso, si contorce e con la mano si poggia al fianco sinistro da dove sgorga del sangue – poi ha sparato anche alla maestra…
– Ma perché ti ha sparato?
Non mi inquietate… non posso parlare… – farfuglia mentre si lamenta per il dolore.
Alla notizia che anche la moglie di mastro Raffaele è stata fatta segno di colpi di arma da fuoco, il Pretore, vedendo che sta per esalare l’ultimo respiro, ordina di portare il ferito nella sua abitazione e con il Brigadiere corre a casa del sarto.
A stento possono salire l’angusta gradinata ed un vestibolo a forma di loggetta, che precede la porta d’ingresso della casa, per le persone accorse all’annunzio dell’avvenimento. Penetrati nell’unica stanza di cui si compone la casa, essendo anche ingombra di varie persone, si son fatte allontanare.
Sulla sinistra della porta d’ingresso un letto in ferro a due piazze; sul medesimo giace quasi seduta una donna coverta dalla sola camicia ma però col seno denudato e nella mammella sinistra un foro per penetrazione d’un proiettile d’arma da fuoco; sulla colonnetta uno scannaturo.
– Come è successo? – le chiede il Pretore.
Oggi, pacificamente mio marito ha mangiato in casa assieme a sua madre, che viene ogni mattina da noi. Dopo pranzo io sono rimasta ad accudire agli affari di casa assieme a mia suocera e sorvegliare le alunne chi io diriggo per fiducia dei miei cittadini. Venne Eugenio Alimena per un pacco di Mignatte e lo mandai alla cantina di Ortino. Verso le ore 18 mi sentivo accalorata con dolore di testa e perciò mi posi a letto, da dove sorvegliavo le alunne. Fu allora che  rincasò mio marito e, trovatami a letto, licenziò le alunne ed uscì di casa, chiudendo a chiave la porta. Ritornò dopo un pezzo, mi domandò come  mi sentivo e io risposi avvertire febbre. Egli si avvicinò a quella cassa – dice indicando l’oggetto – cambiò la giacca bianca che indossava con altra nera, non so che si mise in tasca e tornò ad uscire, chiudendo a chiave la porta. Verso l’imbrunire ritornò, aprì la porta ed invitò Luigi Lattari ad entrare. Questi rispose da fuori “Dammi” ed io credetti che richiedeva qualche fiammifero od altro per accendere i lampioni in onore della Madonna. Invece mio marito lo invitava ad entrare e quando il Lattari entrò, mio marito chiuse la porta con la maniglia e disse: “Te l’ho portato!”. Io risposi con calma di non dire queste parole che non avevano senso e, mentre cercavo di sedermi sul letto, egli, dal lato dello stesso, mi esplose un colpo di rivoltella e mentre Lattari cercava garentirsi, egli ne esplose un altro
– Ma, signora, forse manca qualcosa nel vostro racconto… così sembra tutto senza senso…
Molti giorni fa vi è stato tra me e mio marito un diverbio per il discepolo Lattari, ritenendo che egli mi corteggiasse ed infatti lo faceva bazzicare in casa, poscia lo ha improvvisamente allontanato
– In cosa è consistito questo diverbio?
Lattari entrò, come al solito, in casa. Io mi stavo accomodando i capelli e egli mi si mise dietro. Proprio in quel mentre rientrò mio marito e lo trovò in quella posizione, coi calzoni davanti sbottonati e principiò a fare un chiasso indiavolato. Da quel giorno non ha permesso che Lattari fosse venuto in casa da solo ed è stato sempre guardingo
– Quindi pensate…
Mio marito era molto geloso… ritengo che movente del delitto sia stata la gelosia… sporgo querela contro di lui.
Brutto affare.
Avvisati che le condizioni di Luigi Lattari si vanno velocemente aggravando, il Pretore ed il Brigadiere corrono a casa del ragazzo per cercare di fargli dire qualcosa. C’è il medico che lo sta visitando e le cose non promettono davvero niente di buono per il proiettile che gli è penetrato nella cavità addominale.
Io sono discepolo di mastro Raffaele Corno e fino ad oggi non vi è stato dissapore fra noi. Stasera, verso l’imbrunire, mi trovavo avanti la chiesa della Serra coi miei cugini Cribari. È venuto mastro Raffaele e mi ha invitato a recarmi con lui in casa. Lo seguii e quando vi arrivammo, chiuse la porta e disse alla moglie che era a letto: “Te l’ho portato finalmente!”. La moglie cercò di rispondere, ma egli estrasse la rivoltella ed esplose un colpo contro di lei e mentre cercavo di garentirmi, ne esplose anche un altro contro di me mentre ero di fianco e cercavo di nascondermi sotto il letto, poscia tirò alla moglie che si era sollevata sul letto. Egli uscì. Io feci lo stesso perché a sangue caldo ed arrivai nella bottega di Salvati e, non fidandomi più, mi coricai per terra
Una ricostruzione leggermente diversa da quella della maestra.
– Riesci a spiegarci quando ti ha sorpreso in casa con la maestra?
Nel mese di giugno ultimo io mi recavo in casa del mio maestro ed entrai prima di lui. Trovai la moglie che si pettinava ed io mi posi dietro di lei per osservarla. Fu allora che entrò il maestro e, vistomi in quella posizione, s’irritò e guardandomi i calzoni sbottonati, credette aver commesso qualche cattiva azione. Lo rassicurai, ma da quel giorno si è mostrato geloso e non mi ha fatto andare in casa più solo, mentre prima facevo loro dei servizi
– Il servizio lo hai fatto anche alla maestra? – gli chiede, ironicamente, il Pretore.
– No! non mi sarei mai permesso, lui è il mio maestro!
– Senti… la moglie di Corno dice che tu non volevi entrare in casa e che suo marito ha insistito. Perché non volevi entrare?
Non lo voglio spiegare
– Intendi sporgere querela contro Raffaele Corno?
Non intendo querelarmi perché è il mio maestro e mi dispiace
Sono ormai le 22,30 del 13 agosto e non è possibile fare altro, se non mettersi alla ricerca di mastro Raffaele che si è dato alla macchia, accusato di duplice tentato omicidio.
Le condizioni di Luigi Lattari si aggravano tanto che, nel pomeriggio del 14 agosto, muore per le sei perforazioni dell’intestino prodotte dal proiettile attraversando l’addome prima di piantarsi nel fegato. Omicidio.
Qualche ora dopo mastro Raffaele Corno si costituisce e racconta:
Sul fatto occorre raccontare la storia fin dal principio. Il 5 maggio ultimo io rincasavo e alla mia vista mia moglie trepidava; mi accorsi che nella cucina vi era il mio discepolo Luigi Lattari. Come che praticava la mia casa ed avevo fiducia in lui, non vi feci caso. Il 10 maggio, rientrando in casa, mia moglie mi venne incontro confusa, sbigottita da non poter profferire parola. Mi meravigliai, entrai e trovai dietro la porta, di spalle a me, Luigi. Domandai a mia moglie il perché e mi rispose che Luigi si stava nascondendo per non farsi vedere dalla sorella che voleva portata una sedia in chiesa. Entrai in sospetto. Il 6 giugno non trovai Luigi nella bottega e mi insospettii, andai a casa e lo trovai al fianco destro di mia moglie che si pettinava. Domandai ragione e quando si scostò vidi il calzone sbottonato ed il “cotale” dritto. Irritato, andai alla colonnetta per prendere la rivoltella ma non la trovai e montai ancora di più in furia. Quando Lattari venne in bottega lo percossi, gli osservai il membro e lo trovai pulito e tramandava un odore che soleva usare mia moglie. Ritornai in casa per redarguire mia moglie che si diede a piangere e a pregarmi di non fare pubblicità per non esporla al disprezzo pubblico. Mi acquietai, ma proibii al Lattari l’ingresso in casa mia. Poi mia moglie, approfittando del fatto che dovetti prendermi cura di mia madre, mi pregò caldamente di far ritornare il Lattari per rendere qualche servizio. Lo permisi, ma in mia presenza. Intanto il Lattari decise di recarsi in America; dopo tale decisione mia moglie principiò a prendere le difese del Lattari e mi rimproverava perché volevo rovinarlo e ieri mattina ebbe il coraggio di dirmi che si sarebbe recata anche lei in America. Irritato com’ero, le risposi che per tagliare corto mi vi sarei recato io per lasciare campo libero. Presi un boccone a malincuore ed uscii per deviarmi. Mi recai alla cantina di Ortino e mentre ero là fui chiamato dal discepolo Alimena. Mi recai a casa e trovai mia moglie a letto accusando la febbre: la tastai per assicurarmene ed ella montò in furia per tale mia sfiducia. Congedai le alunne ed uscii fuori dopo aver cambiato la giacca bianca con una nera e mi recai in chiesa – adesso il racconto comincia a farsi drammatico –. Nei pressi del telegrafo incontrai Lattari. Mi ricordai di doversi accendere i lumi in onore della Madonna, lo chiamai e lo pregai di accompagnarmi per tale operazione. Quando eravamo ai primi gradini di mia casa, ricordo che dovevo farmi venire da Cosenza una persiana per riparare il sole e mi recai dai trainieri per dar loro tale comunicazione. Lattari rimase in quel punto, ma quando avevo fatto pochi passi, vidi che era scomparso! Ritornai sui miei passi e supponendo che fosse alla vicina fontana mi vi accostai, ma non lo trovai e perciò decisi di rientrare in casa per accendere i lumi. Entrai e trovai buio; accesi un fiammifero e con meraviglia trovai Lattari vicino al letto, a fianco della colonnetta a destra. Figuratevi come mi sentii! Dissi all’indirizzo di mia moglie: “Ecco, ti è venuto…”. Ella cercò di rispondere. Io mi lanciai al tiretto della colonnetta, presi la rivoltella e, mentre l’impugnavo, Lattari cercò di trattenermi. Esplosi un primo colpo che non ferì nessuno; esplosi un secondo colpo contro Lattari che trovavasi ai piedi del letto ed un altro contro mia moglie. Uscii dalla porta che era socchiusa… questo è il fatto preciso
– Ma la porta era chiusa a chiave, così ci risulta – gli contesta il Pretore.
Non è vero! Irritato com’ero vi avevo appena fatto calare il saliscendi.
– Sulla colonnetta c’era un coltellaccio…
L’ho lasciato io quando mi recai in casa la prima volta perché volevo farmi un po’ di pane.
– Come erano i rapporti con vostra moglie?
La trattavo come una signora… non le ho fatto nulla mancare e quando la richiamavo ai doveri coniugali ella si mostrava tutta pentita e credevo che si fosse emendataieri non ho potuto frenare la mia ira… il paese intiero può darmi ragione
– Quella di accendere i lampioni era una scusa per attirare il ragazzo a casa vostra?
L’ho invitato sinceramente, anche per dargli la notizia di avere a lui trovato il viaggio per l’America
Il problema vero, per il barbiere, è che in paese non trova praticamente nessuno che sia disposto ad avallare la sua tesi circa l’infedeltà della moglie, anzi è esattamente il contrario: sulla moralità della maestra nessuno ha dubbi, come non ci sono dubbi sull’onestà del povero Lattari. Molti spiegano che, anche volendo, sarebbe stato tecnicamente impossibile per i due avere una relazione in casa del barbiere perché in casa c’erano, durante tutto il giorno, sia le alunne della maestra che la suocera.
Ma c’è un improvviso colpo di scena: marito e moglie vengono messi a confronto e la maestra confessa che le cose sono andate esattamente come ha dichiarato il marito. Lei lo ha tradito col discepolo e lui li ha sorpresi sul fatto.
Sembrerebbe tutto risolto: omicidio per causa d’onore. Ci sono, però, alcuni segnali come il contegno perplesso ed incerto della moglie durante il confronto e due testimoni degni della massima fede che consigliano prudenza. Infatti Francesco Alimena, Segretario Comunale di Montalto Uffugo, rivela al Magistrato:
Mi trovai per combinazione in casa di Corno assieme al dotto Bianchi ed altri e precisamente dopo che la Dragone era stata interrogata dal Tenente dei Carabinieri. Dimostrava un certo orgasmo e dispiacere perché i parenti del Corno pretendevano che ella avesse smentito la dichiarazione resa per favorire il marito, ma ella soggiungeva che per coscienza e perché il marito aveva tentato di ucciderla, avendo dichiarato i fatti come avvennero, non poteva smentirli. Tanto io che gli altri rispondemmo che è immorale travisare i fatti e faceva bene a non seguire le insinuazioni dei parenti. Per tali pressioni ella si mostrava confusa e dispiaciutissima e, sebbene lo avesse perdonato, pure non intendeva transigere.
Il dottor Enrico Bianchi conferma tutto e precisa:
Ho inteso che diceva le seguenti parole: “Non so cosa vogliono da me, io ho reso la mia dichiarazione, ho detto il vero e non posso per coscienza ritrattarlo”
La ritrattazione della maestra non viene creduta e la Procura Generale del re, il 20 dicembre 1900, chiede il rinvio a giudizio dell’imputato con le accuse di omicidio volontario e tentato omicidio.
La Sezione d’Accusa, il 18 gennaio 1901, accoglie la richiesta e l’11 maggio successivo inizia il dibattimento presso la Corte d’Assise di Cosenza; due giorni dopo la Corte emette la sentenza di condanna, concesse le attenuanti, a 12 anni e 1 mese di reclusione più pene accessorie. Ma la difesa ricorre in Cassazione perché il Presidente prima e la Corte poi hanno rifiutato di porre la quistione proposta dalla difesa sulla infermità di mente totale o parziale dell’imputato.
Il 7 novembre 1901 la Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa il verdetto e la sentenza della Corte d’Assise di Cosenza e rinvia la causa alla Corte d’Assise di Catanzaro per un nuovo dibattimento e giudizio.
A Catanzaro si ricomincia il 4 febbraio 1902. Dopo 3 giorni di discussione si arriva al nuovo verdetto: Raffaele Corno è colpevole dei reati a lui ascritti, ma ha agito trovandosi in tale stato d’infermità di mente da scemare grandemente la sua imputabilità, senza escluderla avendo commesso il fatto nell’impeto d’ira o d’intenso dolore determinato da ingiusta provocazione. Quale?
Dovrebbe essere tutto finito, ma la difesa propone un nuovo ricorso eccependo sia che la Corte non ha regolarmente citato alcuni testimoni a discarico, sia errori nel calcolo della pena comminata. Anche questa volta la Suprema Corte accoglie il ricorso e il processo deve essere rifatto, ma questa volta a Reggio Calabria.
L’11 dicembre 1902 dovrebbe ricominciare tutto daccapo, ma il dibattimento viene rinviato al 27 maggio 1903. Speriamo che sia la volta buona!
Questa volta basta una sola udienza. La Corte recepisce tutti i rilievi della Cassazione e riformula la condanna in 3 anni e 9 mesi di reclusione, di cui dichiara condonati 6 mesi: in tutto fanno 3 anni e 3 mesi, più pene accessorie.[1]
A Raffaele Corno, a questo punto, mancano 5 mesi e mezzo per finire di scontare la condanna per i reati che ha commesso.


[1] ASCS, Processi Penali.

 

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