AMANTI A PEDACE

È quasi l’una di notte del 23 febbraio 1937 e si gela. Un uomo in divisa da soldato cammina per i vicoli della frazione Iotta di Pedace con passo nervoso. Si ferma davanti a un portone, guarda se attraverso gli scuri della finestra al primo piano filtri un po’ di luce e poi bussa energicamente. Nessuna risposta. Continua a bussare insistentemente e finalmente una voce di donna dall’interno della casa risponde:
– Chi è a quest’ora? Andatevene!
– Sono Giovanni tuo marito… apri perlamadonna!
– Mio marito è ricoverato a Castrovillari… andate via!
– ‘Ntonè rapa ssa porta e movati, ‘un mi fa ‘ncazzare ca signu iu!
– Giuvà… aspè… – risponde con tono sorpreso.
La porta finalmente si apre ma è passato ormai un quarto d’ora da quando Giovanni ha cominciato a bussare. L’uomo, visibilmente contrariato per l’attesa, entra e trova sua moglie tutta spaventata con una lanterna in mano che gli dice farfugliando:
– Vai a prendere Ida che sta dormendo da mia madre…
– Falla dormire là, perché dovrei svegliarla a quest’ora? – le risponde mentre sale la ripida scala di legno. Poi entra in camera da letto, si spoglia e si mette a letto.
Qualcosa non va: il letto gli sembra caldo, come se qualcuno fosse stato coricato al suo posto fino a pochi istanti prima. Guarda sua moglie, pallida, che si sta coricando e le dice:
– Chi c’è in casa? Chi si è coricato al posto mio?
– Ne… nessuno…
Giovanni si alza e comincia a girare per casa frugando in tutti i posti dove una persona si sarebbe potuta nascondere. Arriva davanti alla scala che porta alla soffitta. Sotto c’è una specie di ripostiglio chiuso con due rudimentali sportelli. Ne apre uno. Sembra non esserci nessuno neanche lì. Apre l’altro. Sorpresa! Dentro c’è un uomo, rannicchiato ed all’impiedi. Lo afferra dal petto e lo trascina fuori: è Cenzino il capostazione!
Giovanni lo tiene fermo mentre comincia a gridare per richiamare l’attenzione dei suoceri che abitano nella casa accanto. Cenzino cerca di divincolarsi per scappare. Vola qualche schiaffo e ‘Ntonetta piange implorando il marito mentre lo strattona.
Ammazza me ma lascia stare Cenzino!
Arrivano suoceri e cognati che, davanti a quello spettacolo, cominciano a inveire contro ‘Ntonetta, poi un suo fratello va a chiamare i Carabinieri, mentre Cenzino, spaurito e interdetto, con la giacca tutta strappata e il viso sanguinante viene fatto sedere su di una sedia e guardato a vista da tutti i presenti.
Cenzino e ‘Ntonetta finiscono in caserma con l’accusa di adulterio e Cenzino anche per violazione di domicilio in tempo di notte. I due cercano di difendersi dalle accuse.
Il trentaduenne Cenzino:
– Sono stato fino a mezzanotte e mezza col parroco e col podestà di Serra Pedace. Siccome non avevo sonno, mi recai alla stazione di Serra Pedace attraversando la frazione Iotta. Qui ho sentito bussare ad una finestra, mi voltai e vidi ‘Ntonetta la quale mi fece segno di avvicinarmi perché doveva parlarmi. A tale segno mi sono avvicinato e lei aprì la porta. Prima ancora che incominciassimo a discorrere abbiamo sentito dei passi. ‘Ntonetta allora mi fece entrare in casa allo scopo che passasse colui che veniva al nostro indirizzo. La persona che veniva nella nostra direzione si è fermata innanzi la porta di ‘Ntonetta in quanto era proprio il marito e così mi ha fatto nascondere. Il marito si è insospettito e mi ha sorpreso nel sottoscala…
La ventisettenne ‘Ntonetta:
Avendo avuto bisogno durante la notte di recarmi fuori casa, dovendo soddisfare un bisogno corporale, perché il cesso è fuori dalla mia casa, lasciai la porta aperta per sentire se il mio bambino di tre anni piangeva. Ritornata a casa mi recai a letto ma non ho potuto dormire perché il bambino piangeva. Ho sentito dei leggerissimi rumori dentro casa ma non vi feci alcun caso. Durante la notte fu bussato alla porta della mia abitazione, domandai chi era e mi rispose mio marito. Aprii la porta ed entrò mio marito il quale mi disse di togliergli le scarpe perché si sentiva poco bene. Siamo andati a letto smorzando la luce. Mentre eravamo a letto abbiamo sentito dei rumori. Mio marito mi domandò chi vi era in casa e risposi nessuno. Non contento di ciò si è alzato dopo aver acceso il lume e vide che nello stipo vicino al letto vi era nascosto il capo stazione. A tale vista mio marito prese Cenzino dal petto facendolo uscire dal nascondiglio e tra i due avvenne una lotta. Intanto mio marito chiamò i miei familiari e dopo poco sopraggiunsero i Carabinieri
– Avete una relazione intima col capostazione?
– Mai avuta e non è stato da me autorizzato ad entrare in casa…
Giovanni la mattina dopo presenta formale querela e fa un’affermazione gravissima:
Sospettavo da tempo che mia moglie mi tradiva con Cenzino e così ho fatto la sorpresa… preciso che allorquando mi sposai non ho trovato giusta mia moglie. Non ho detto nulla, ma ho riferito ciò a mia moglie la quale mi confessò che l’aveva sedotta un tal Adolfo, muratore di Pedace, che adesso non ricordo il nome. Io feci noto a mia moglie che invece i miei dubbi erano con Cenzino, ma mia moglie negava che aveva una relazione con il capostazione.
Poi ‘Ntonetta davanti al Pretore cambia versione e si uniforma a quella di Cenzino, precisando:
Non ho detto questo al Maresciallo per non perdere mio marito, ma ormai dico la verità
– Ma ci hai messo un quarto d’ora per aprire la porta… e poi come mai il letto era caldo?
Non aprii subito a mio marito per aver tempo di far nascondere il capostazione e per aver tempo di mettermi a letto e poi alzarmiil letto era caldo sia per le coperte di lana che per i bambini, ma mio marito si insospettì anche per i rumori e rovistò la casa
È ovvio che questa ricostruzione dei fatti non convincerebbe neanche un bambino, ma i Carabinieri aggiungono un particolare che taglia la testa al toro:
Il capostazione, per recarsi da Serra Pedace allo scalo omonimo non aveva alcun bisogno di attraversare la frazione Iotta in quanto egli doveva percorrere circa due chilometri in più.
È abbastanza per rinviare ‘Ntonetta e Cenzino al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. E adesso cominciano le vere sorprese!
– Quanto ho detto ai Carabinieri e al Pretore non è vero – esordisce Cenzino in aula –. Avevo dato quella versione nella convinzione di non arrivare a essere processato, ma ora dirò la verità. Io con ‘Ntonetta sono in intime relazioni da tre o quattro anni, consenziente il marito il quale per giunta mi ha sorpreso in flagrante altre due volte e non mi ha mai querelato perché si lasciò rabbonire con doni. Io sono vittima dei due coniugi che mi hanno spillato quanto io guadagnavo
Mio marito era a perfetta conoscenza della mia relazione con Cenzino dal quale percepiva, perciò, del denaro. Mi ha sorpreso altre volte in flagrante concubito con lui ma non ha sporto querela.
Non so spiegarmi questa tardiva ultima resispiscenza di mio marito
… – conferma l’adultera.
E Giovanni? Adesso è lui a doversi difendere e nega tutto, com’era facile aspettarsi. E spuntano dei testimoni che potrebbero fargli molto male.
Nei primi giorni del 1936 Giovanni mi disse riferendosi alla moglie: non basta che io non l’ho trovata sana, quanto continua ad avere relazioni col capostazione – riferisce Federico Leonetti.
Ruggero Leonetti, il podestà di Serra Pedace, narra un episodio a cui ha assistito:
In un giorno del settembre 1936, nella stazione di Serra Pedace dove io mi trovavo, vidi Giovanni chiamare in disparte Cenzino il quale, alle parole di Giovanni – che non compresi – diede segno di fastidio ma poi trasse del denaro e lo diede a costui. Non posso precisare l’entità del danaro: mi parvero dieci o venti lire in biglietti…
Anche i familiari di ‘Ntonetta, che avevano contribuito all’arresto di Cenzino, adesso cambiano versione. La madre:
Nel mese di maggio 1936, dopo un periodo durante il quale si divise da mia figlia, mio genero Giovanni mi riferì, tutto sconvolto, che aveva sorpreso la moglie in casa col capostazione e che avrebbe senz’altro sporto querela contro di lui, querela che poi non sporse
Tutto quanto dice mia suocera è un ammasso di fandonie – protesta Giovanni –. Io lamentai con lei di essere stato malmenato dai fratelli di mia moglie: è questa la ragione per cui fummo divisi – poi rivela –. Dopo che io ho sporto querela sono venuti a Castrovillari una volta il cognato del capostazione e una volta l’avvocato Martire per indurmi a desistere dalla querela e il cognato mi offrì del denaro e precisamente £ 5.000 in contanti ed una cambiale di £ 10.000. Io rifiutai perché intendo tutelare il mio onore.
La circostanza è ammessa dal capostazione, che però nega di aver offerto del denaro a Giovanni. Un vero guazzabuglio.
Ci sarebbe da discutere sulla decorrenza dei termini entro i quali la querela poteva essere presentata perché, secondo quanto i testimoni hanno deposto sotto giuramento, Giovanni sarebbe stato a conoscenza dell’adulterio più di un anno prima del fatto: è questo uno dei motivi che spingono i difensori degli imputati a chiederne l’assoluzione, ma la Corte risolve il problema stabilendo che si tratta di una nuova offesa dopo un primo perdono e così ‘Ntonetta viene condannata a 6 mesi di reclusione e Cenzino, che viene assolto per il reato di violazione di domicilio in tempo di notte, a 10 mesi. Entrambi sono condannati al pagamento delle spese e al risarcimento dei danni che vengono liquidati in 6.610 lire. La Corte, inoltre, ordina la sospensione condizionale della pena per cinque anni e la non menzione. È il 3 giugno 1937.
I difensori presentano appello e dopo svariati rinvii perché nel frattempo Cenzino, declassato, è stato trasferito a Mesoraca nel crotonese, dove ha contratto la malaria e non può muoversi, il 7 aprile 1938 si apre il dibattimento e gli avvocati sono più agguerriti che mai a sostenere la tesi della decadenza dei termini, quando ricominciano le sorprese. ‘Ntonetta chiede di fare delle dichiarazioni spontanee:
Quanto ha detto il mio coimputato non è vero e non è vero quanto in conformità ho dichiarato io, indotta dal capostazione ad affermare che mio marito fosse a conoscenza della nostra relazione e consenziente, affinché egli, con un’assoluzione, potesse salvare il suo posto di capostazione, promettendomi il suo soccorso e il mio mantenimento. Però, dopo aver detenuto me, quasi sequestrata in casa della sua famiglia per tre mesi, senza compensarmi neppure con un biglietto da 10 lire, mi ha mandato via
Apriti cielo! L’avvocato Martire, sorpreso dal fatto nuovo, lascia seduta stante la difesa della donna. Cenzino è furibondo e urla che non è vero niente. Gli altri avvocati, presi alla sprovvista, pronunciano ugualmente le loro arringhe già preparate ma che non servono più a niente. Giovanni gongola.
I ricorsi sono respinti e la condanna è confermata.[1]

 

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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