L’OMERTA’ SOVRANA

Sono circa le 21,00 dell’11 maggio 1950 e a Cassano Jonio la temperatura mite fa si che per le strade, poco e male illuminate, giri un sacco di gente.
Il ventiseienne Salvatore Stabile ed il suo amico ventiduenne Antonio Sibarella stanno andando ad un ricevimento; arrivati nella frazione Paglialunga, vicino al palazzo del marchese Serra, incontrano altri amici e si fermano a parlare con loro. Stabile si mette a confabulare con Giuseppe Santoro, alias Trapinerello, accanto all’ingresso del caffè Malomo, proprio mentre nella stessa strada arrivano i fratelli Giuseppe e Salvatore Capparelli, diretti al tabacchino lì vicino.
Stabile e Giuseppe Capparella si guardano negli occhi e il primo fa segno all’altro con un dito di avvicinarsi.
– Ti devo parlare – gli dice.
– Anche io ti devo parlare – gli risponde Capparelli avvicinandosi.
Brutto vigliacco, con la tua testa ci giocherò a pallone!
Giuseppe Capparelli sferra un pugno in faccia a Stabile che, ripresosi dalla reazione inaspettata, mette una mano in tasca cercando di estrarre qualcosa. Capparelli gli si avventa contro e con la mano sinistra gli blocca la mano che certamente cela un’arma. I due si strattonano senza che nessuno intervenga a separarli e quando Capparelli pensa che l’avversario stia per liberarsi dalla stretta e che certamente potrebbe fargli molto male con l’arma che ancora non è riuscito a tirare fuori, si sfila dalla cintola una piccola ascia che gli serve per i lavori campestri e lo colpisce sul braccio sinistro.
Stabile, dolorante per il pugno in faccia e ferito al braccio, cerca di estrarre un pugnale dalla custodia e per fare ciò inizia una specie di girotondo nel centro del largo dove si trovano, inseguito però da Capparelli con l’accetta in mano. Poi Stabile si gira all’improvviso e cerca di colpire l’avversario col pugnale ma Capparelli è più svelto e, girandogli alle spalle, gli mette un braccio intorno al collo e con il braccio armato di accetta lo colpisce in pieno viso. Stabile cade a terra e Capparelli gli vibra un altro paio di colpi ferendolo alle spalle, poi si allontana. Solo a questo punto qualcuno si avvicina per constatare le condizioni del ferito. Stabile viene aiutato a rimettersi in piedi ma quando è ancora in ginocchio sopraggiunge nuovamente Giuseppe Capparelli.
Ancora non sei morto? – gli dice assestandogli un altro colpo di accetta nel costato, poi raccatta da terra il pugnale dell’avversario, ancora inguainato, e se lo porta dietro nella fuga.
Finalmente Stabile viene preso e portato nel vicino studio del dottor Vincenzo Duca il quale provvede a medicarlo, consigliando il trasporto all’ospedale di Castrovillari perché la ferita al costato è molto profonda e teme che abbia potuto ledere il polmone, mettendo così a rischio la vita del ferito. Arriva anche il Maresciallo Maggiore Alessandro Napoli che fa giusto in tempo a chiedere a Stabile chi lo abbia ferito. Stabile perde conoscenza e viene deciso di trasportarlo in ospedale, ma lungo la strada cessa di vivere.
Omicidio volontario.
Il Maresciallo Maggiore Napoli sa che tra la vittima e l’assassino non correvano buoni rapporti da circa un anno e cioè da quando il Capparelli si era reso parte diligente per fare arrestare dai militi dell’arma un colpito da mandato di cattura latitante, tale Battista Casella. Napoli sa anche che da quel giorno per Capparelli finì la pace perché da parte di Casella e dei suoi amici, tra i quali anche Stabile, cominciarono una serie di minacce e aggressioni, tanto che qualcuna di queste fu oggetto di querela, poi ritirata.
All’inizio delle indagini la situazione descritta dai testimoni presenti appare chiara: i due volevano, una volta per tutte, risolvere la questione e prova ne sarebbero le affermazioni di Stabile prima della sua uccisione. Poi però gli amici più intimi della vittima cambiano versione: Capparelli ha agito con premeditazione, aiutato da suo fratello Salvatore che avrebbe sgambettato Stabile facendolo cadere a terra e quindi in balìa di Giuseppe che lo avrebbe finito. Salvatore Capparelli avrebbe anche minacciato con una roncola Antonio Sibarella impedendogli di intervenire in difesa dell’amico e così viene spiccato un mandato di cattura anche nei suoi confronti. Il Maresciallo Napoli, però, non crede a questa nuova ricostruzione e lo ribadisce chiaramente più volte.
Salvatore Capparelli si presenta immediatamente alla Giustizia e si proclama innocente. Giuseppe si costituisce il 19 maggio e racconta le sue disavventure a partire dalla mancata cattura di Casella:
Iniziò contro di me una vera persecuzione da parte di tutta la cricca dei delinquenti associati al predetto Casella e mi costa che lo Stabile apparteneva alla malavita. La sera di Pasqua incontrai Stabile Salvatore col figlio di “Melucca” vicino al campanile della Cattedrale e mi disse nell’orecchio: “qualche giorno ti dobbiamo pisciare in bocca e negli occhi” e poi soggiunse ad alta voce: “perché tremi?”. Domenica 7 maggio lo stesso Stabile Salvatore, mentre io uscivo dal caffè Papasso in Corso Garibaldi ed entravo nella cantina di Malomo, fece l’atto di aggredirmi con un coltello, per cui riuscii appena a salvarmi rifugiandomi nella cantina suddetta sita a pochi passi dal caffè. Presente a questa tentata aggressione non c’era nessuno eccetto suo cognato Zaccato Giuseppe. Quella sera stessa, uscito dalla cantina, io rividi nei pressi del caffè Papasso, Luigi Malomo e Giuseppe Furiati che erano stati poco prima con me nel caffè ed alle mie lamentele perché non mi avevano raggiunto in cantina, rispose il Furiati alla presenza dell’altro che Zaccato Giuseppe e Stabile Salvatore li avevano avvertiti di “filare” perché dovevano succhiarsi il mio sangue, altrimenti ci sarebbe stata qualche cosa anche per loro. Giovedì 4 maggio, se ben ricordo, mentre tornavo in campagna verso le ore 21, vidi quattro  persone vicino il ponte del treno, sotto l’abitato di Cassano, che esplosero contro di me tre colpi di rivoltella. Non ho ritenuto opportuno denunziare il fatto ai carabinieri per evitare di inasprirli ancora di più. Non c’era nessuno quando esplosero i tre colpi
– Capparelli, ci vogliono prove e testimoni… è la tua parola contro la loro, lo capisci?
– Si, lo capisco, ma questi sono i fatti…
– I colpi di accetta sono partiti involontariamente durante la colluttazione? Tuo fratello ti ha aiutato?
Confesso di avere volontariamente vibrato i colpi di scure a Stabile Salvatore perché lui cercava di colpirmi con un pugnale, precisamente quello che vi ho consegnato insieme all’accetta… mio fratello è rimasto estraneo alla questione, solo io e Stabile eravamo a fronteggiarci-
Come previsto dal Maresciallo, le persone citate da Giuseppe Capparelli negano ogni circostanza e in un nuovo interrogatorio l’imputato ha uno sfogo amaro:
Se non vogliono riferire tale circostanza importante è perché hanno paura
Poi accadono alcuni fatti strani. Verso la metà di giugno viene recapitata alla Procura di Castrovillari una lettera sequestrata nella Casa di Lavoro all’aperto dell’Asinara al detenuto Francesco Cirone di Cassano Jonio. A scriverla è la moglie:
Cassano Ionio 10-6-1950
Mio carissimo amatissimo desiderato sposo.
Risponto subito alla tua cara lettera, ho rimasta molto condenta nel sentire che stai bene di salute, è così ti posso pure assicurare anche di me e tutti i nostri cari di casa. mio caro sposo, al riguardo della morta di stabilo è stato così: una settimana prima avevano avuto una parole di niende nel case, dopo di otto giorni una sera si senta chiamare da un certo trapanaridro e gli a dato in paccio parole come mi parlo che vuoi sapere se il capparello si trova a castrovillari son tutte due a castrovillari ci stavesseno a mito e non avevano uscire mai perche anno fatto un sacrilegio (…) dopo come stavevano parlando con questo giovanotto è andato capparello e gli dato una cettato in faccia un altro alla mano dopo lui e fugito quando sie visto quasto cettato dopo più avanto a trovato glialtro fratello di capparello a steso la sua ganpa e la fatto cascare a terra dopo unaltra volta caparella Giuseppe e gli dà unaltro  a cettato dentro allipilmuno a campato 2 giorni e dopo a morto caro sposo lui e stato preso a trucco se no non si faceva passare il tempo a re masto 3 bambino una femina 2 maschio, à che morta brutta che affatto
Quindi, secondo il racconto della moglie di Francesco Cirone, si tratterebbe di un agguato premeditato e anche Salvatore Capparelli vi avrebbe preso parte, proprio come testimoniano gli amici di Stabile.
Io non so proprio niente sui particolari dell’omicidio di Stabile Salvatore. A richiesta di mio marito gli ho raccontato i fatti per come li ho appresi dalla voce pubblica – assicura la donna al Pretore di Cassano che la interroga.
Poi accade che tale Pasquale Ferraro detenuto nel carcere di Castrovillari insieme a Giuseppe Capparelli, gli racconti ciò che gli è capitato nel Tribunale della città del Pollino quando andò a costituirsi. Ferraro racconta di avere incontrato tale Antonio Milano di Cassano il quale gli raccontò i retroscena del delitto Stabile. Stabile con altri suoi cinque sodali avrebbero tirato a sorte il nome di chi avrebbe dovuto uccidere Capparelli e la sorte decretò che sarebbe dovuto essere proprio Salvatore Stabile.
Non se ne può fare niente, Milano smentisce Ferraro e la cosa finisce lì.
Ma la storia che Giuseppe Capparelli doveva essere ucciso per punirlo della spiata fatta ai Carabinieri continua ad aleggiare nelle indagini, tant’è che un certo Remo Incoronato, trentatreenne infermiere di San Marco Argentano, detenuto in espiazione di pena nel carcere di Cosenza, chiede di essere ascoltato dai Magistrati e racconta una storia piena di particolari interessanti, se riscontrati:
Nel novembre del 1949 m’incontrai con lo Stabile, Zaccato e Casella i quali riferirono a me che ero latitante e che mi ero ricoverato presso la casa di Zaccato ove dormii varie volte, che il Capparelli Giuseppe faceva la spia ai Carabinieri, in quanto esso Capparelli aveva indicato all’arma il luogo ove si nascondeva il Casella, ch’era pure latitante. Gli stessi mi prospettarono la possibilità che io lo uccidessi, dato che ero latitante e forestiero. Io non conoscevo il Capparelli ma loro me lo avrebbero indicato con un pretesto qualunque. Io rifiutai tale proposta perché dal Capparelli non avevo subito alcun torto. Nella casa di Zaccato si fece a tocco a chi doveva uccidere il Capparelli e uscì Stabile Salvatore. Erano presenti Stabile, Zaccato, Giuseppe Scorza nominato “Sazizza” ed altri. Io fui escluso dal tocco perché mi rifiutai di uccidere Capparelli.
– Quindi voi non conoscete Giuseppe Capparelli?
Conobbi i fratelli Capparelli nel mese di ottobre del 1950 quando eravamo reclusi insieme nel carcere di Castrovillari.
– Avete incontrato in carcere qualcuno dei presenti alla riunione in casa di Zaccato?
– Incontrai Sazizza nella Pretura di Cassano dove eravamo imputati in processi diversi; io ero imputato del reato di truffa di una bicicletta. In quella occasione Sazizza, che era con altri due, mi minacciò di non dire niente della riunione altrimenti mi avrebbero ammazzato. In quella circostanza, il Carabiniere che mi accompagnava in Pretura si accorse della cosa e diede uno schiaffo a Sazizza.
– Sareste in grado di dire il nome del Carabiniere?
Il Carabiniere è lo stesso che mi ha scortato stamane… – rivela Incoronato suscitando lo stupore del Giudice, poi continua – preciso inoltre che in quella circostanza l’autista, che è lo stesso di stamattina, vedendo avvicinare le tre persone temette che volessero sottrarmi al Carabiniere e quando sentì Sazizza minacciarmi sbottonò la fondina senza però estrarre la pistola
– Quando eravate nascosto in casa di Zaccato avete sentito altre cose riguardo a questo preteso tentativo di organizzare l’omicidio di Capparelli Giuseppe?
– Si. Il ventuno o ventidue gennaio 1950 in casa di Zaccato si faceva una specie di festa. C’erano Stabile, Zaccato, lo stesso Capparelli Giuseppe ed altre persone e ad un certo punto Zaccato fece il seguente brindisi: “questo vino viene dal fondo, brindisi faccio al più stronzo del mondo”; brindisi che ripetette due volte col bicchiere in mano diretto al Capparelli. Dopo di ciò il Capparelli se ne andò a casa offeso del tenore del brindisi. Poiché io mi meravigliai del brindisi offensivo, lo Zaccato disse: “la persona è proprio quella che doveva essere uccisa te”. Il Capparelli venne in casa Zaccato verso le ore 21 insieme a certo Rende Camillo e ad un altro che non conosco.
– Quindi lo avete conosciuto prima della data che avete indicato… – osserva il Giudice – e comunque il racconto non quadra. Se davvero avevano progettato di ucciderlo, perché lo hanno invitato alla festa?
Il Capparelli entrò non perché espressamente invitato dallo Zaccato ma perché, avendo quest’ultimo invitato il Rende, questi disse che se entrava lui dovevano anche entrare Capparelli ed amici.
Il contesto narrato da Incoronato è quello tipico della malavita e i presupposti per indagare su questo mondo sommerso ci sarebbero tutti, ma il Giudice non è convinto della genuinità delle dichiarazioni del teste e ritiene superfluo interrogare il Carabiniere e l’autista perché, anche se l’avessero udita, la minaccia riferita da Incoronato è troppo generica per essere veramente significativa.
Comunque un fatto è certo: Giuseppe Capparelli, per sua stessa ammissione ha volontariamente colpito con un’accetta Salvatore Stabile causandone la morte. Se suo fratello Salvatore sia complice o meno lo stabilirà la Corte d’Assise di Cosenza nel Tribunale di Castrovillari, così decide il Giudice Istruttore.
Il 4 febbraio 1952 si apre il dibattimento. Il Pubblico Ministero chiede la condanna di Giuseppe Capparelli alla pena di 25 anni di reclusione e alle pene accessorie e l’assoluzione per Salvatore Capparelli per insufficienza di prove; le parti civili chiedono la condanna di entrambi i giudicabili a quella pena proporzionata al fatto ed al risarcimento del danno; la difesa chiede che Giuseppe Capparelli venga assolto per legittima difesa o, in subordine, sia condannato al minimo della pena per lesioni o, al più, per omicidio colposo o ancora e in via subordinatissima per omicidio preterintenzionale con le attenuanti generiche e della provocazione, nonché l’assoluzione di Salvatore Capparelli per non aver commesso il fatto. Il 12 successivo, dopo otto udienze, la Giuria condanna Giuseppe Capparelli ad anni 18 di reclusione, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, alla libertà vigilata per un periodo non inferiore ad anni tre e a varie altre pene accessorie per il reato di omicidio volontario. Salvatore Capparelli viene assolto per insufficienza di prove.
Nelle motivazioni della sentenza i Giudici ammettono che il Capparelli agì in istato d’ira, sotto la scarica dell’ira, squassato dalla tempesta di una viva e grande emozione: in quell’incontro s’infranse l’ultimo schermo di resistenza, la crisi isterica alla manifestazione più forte, ribocca tutta la mortificazione accumulata per mesi, tutta l’ansiosa preoccupazione che lo teneva turbato. Le minacce dello Stabile – soggetto temibile anche per i suoi precorsi di vita morale – non possono ritenersi irrisorie e puramente soggettive ed evanescenti, ma reali e gravi e divenute jattanti, e sino al punto da creare al Capparelli un vero stato di apprensione, di persecuzioni, numerosi, infatti, gli episodi narrati da esso Capparelli che se anche non provati sufficientemente per l’omertà sovrana che regna in quel paese, devono, infatti, aversi come dimostrati perché è prova inconfondibile in atti che, effettivamente, esso Stabile accusò l’altro della delazione e divenne apertamente nemico, tanto è vero (come ha precisato il Maresciallo verbalizzante e nel rapporto e nel dibattimento) esso Capparelli lamentò, mosse lagnanze di tali persecuzioni di cui era fatto segno al Comando CC., manifestando in tale modo di esserne già da tempo allarmato e impaurito, come affermano anche i testi Elia e Furiati, presenti all’episodio avvenuto nel caffè Papasso pochi giorni prima del delitto.
È meritevole il Capparelli, oltre che dell’attenuante della provocazione, anche delle attenuanti generiche. Il crimine da lui commesso, pur essendo grave per le luttuose conseguenze, deve essere considerato un fatto improvviso e degno di considerazione anche sotto l’aspetto umano, soprattutto se si tiene conto che la vittima, col suo atteggiamento, ognora, ostile e soverchiante ne creò l’antecedente, la causa, la ragione più pressante, prossima.
Né ostano al beneficio i precedenti di vita morale del Capparelli che, fra l’altro, è detto buon padre di famiglia, laborioso e ritenuto emendato da tempo dagli errori commessi, per cui riportò condanna nella sua lontana età giovanile.
La battaglia legale non è finita: la difesa di Capparelli ritiene che ci siano dei vizi nella sentenza e propone ricorso in Appello. Il 15 marzo 1954 la Corte d’Appello di Catanzaro gli da parzialmente ragione e, in riforma della sentenza di primo grado, riduce la pena a 14 anni di reclusione, di cui 3 condonati.
Il successivo ricorso per Cassazione sarà rigettato il 31 marzo 1955.[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi penali.

 

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