Il 16 febbraio 1915 mezzogiorno è ormai passato da più di un’ora e il cielo si sta rasserenando dopo una mattinata piovosa. Nelle vie di San Marco Argentano camminano pochissime persone ed è facile per Luigi Bufanio ascoltare il soliloquio dell’uomo che gli passa accanto toccandosi la tasca destra della giacca:
– Questa dentro la tasca stasera la devo fare rossa:
Bufanio lo guarda sorridendo mentre pensa: “Nicola il barese deve avere bevuto”. Non passa che qualche minuto e si imbatte in Enrichetta Sicilia che, gesticolando e guardando di lato come se avesse qualcuno accanto, esclama:
– Stasera ammazzeremo il porco!
Bufanio si ferma a grattarsi la testa pensieroso: “Ma cosa sta succedendo? Tutti che parlano da soli come i matti!”.
Poi si ricorda che ha altro a cui pensare e si allontana a passo svelto, badando ai fatti suoi.
Qualche ora dopo, Giovanni D’Ardis entra nella cantina di Pasqualina Schella per bere un bicchiere di rosso. Seduti a un tavolo nota Nicola D’Antonio, il barese, Giuseppe Palagano, un operaio di Latronico che lavora a San Marco, e Angelo Scarpelli. D’Ardis li conosce e si siede con loro con un bicchiere e un mezzo litro. I quattro discorrono del più e del meno, poi Nicola il barese saluta la compagnia e va via. Gli altri tre finiscono il vino e si allontanano insieme.
– Andiamo a casa mia ché ho un vinello speciale e ve lo faccio provare con qualcosa da mangiare – propone Angelo Scarpelli, ottenendo il consenso degli amici.
La casa dove Angelo abita con i genitori è all’incrocio tra Via Giudecca e Via Pasquale Candela. I tre amici entrano e trovano in casa altre persone: Giuseppe Palazzeschi con la sua mantenuta, Giovanni Rondinella e Pietro Scarpelli, cugino di Angelo. È un’allegra festicciola tra amici con Palazzeschi che canta a cappella e gli altri che ballano, poi il padrone di casa prende quella bottiglia di vino buono, del pane e un piatto di carne bollita offrendoli agli invitati. Palagano sembra nervoso, guarda in giro a scatti mentre rifiuta ostinatamente ciò che gli viene offerto.
La bottiglia inevitabilmente finisce e Angelo, rimessosi la giacca, dice:
– Vado da mia suocera a prenderne un’altra – esce e richiude la porta alle sue spalle. Palagano si alza e, senza salutare, segue fuori Angelo.
I due, insieme, si avviano lungo Via Pasquale Candela e non devono fare che pochi metri per raggiungere la casa dove abita la fidanzata di Angelo, ma vengono subito affrontati da Nicola il barese.
– Mò te lo faccio vedere io! – sibila in faccia ad Angelo, avventandoglisi addosso. I due si azzuffano ma Palagano si mette in mezzo e riesce a evitare che si facciano male. Sbuffando, il barese si allontana, Angelo entra in casa della fidanzata e Palagano resta in mezzo alla strada ad aspettarlo. È questione di pochi minuti: la porta si apre e il giovane esce accompagnato dalla futura suocera la quale, visto Palagano poggiato al muro, esclama:
– Dove me lo porti? Andate subito a casa e niente questioni…
– Questo è un amico dei miei e non aver alcuna paura – le risponde.
La donna rientra in casa, i due amici ripercorrono i pochi metri che li separano dalla casa di Angelo e si fermano davanti alla porta. Palagano si sposta di un paio di metri dall’amico e poi si scatena l’inferno. Una, due, tre, quattro, cinque detonazioni rimbombano sinistre in Via Giudecca. In casa Scarpelli i canti e i balli si interrompono di colpo e Carmelina, la sorella di Angelo è la più lesta a precipitarsi ad aprire la porta di casa per vedere cosa è successo. Angelo, barcollando, le cade tra le braccia. L’aiutano a sorreggerlo, poi lo stendono su un letto e notano i tre fori sugli abiti ormai insanguinati, uno sul petto, uno sull’addome e l’ultimo all’inguine. Corrono a chiamare il dottor Ernesto Sarpi ma non c’è niente da fare, è morto!
Nella strada tutti si affacciano alle porte e notano Palagano che si allontana verso la sua casa, all’altro capo di Via Giudecca. Notano anche che, contrariamente al solito, non ha il suo berretto floscio in testa.
A pochi metri dal luogo dell’omicidio, il Vicebrigadiere dei Carabinieri Vito Di Sessa si trova in Piazza Umberto I per diporto dopo aver terminato il suo turno di servizio. Le cinque detonazioni interrompono bruscamente la sua passeggiata. Senza indugio si dirige nella direzione da cui provengono i colpi ed è tra i primi ad arrivare sul posto, dove viene avvicinato da Emanuele Luigi Arena il quale gli confida che a sparare e uccidere Angelo Scarpelli è stato Mastro Nicola il Barese. Di Sessa, che conosce bene l’indole di quell’uomo avendogli dato qualche grattacapo, comincia subito le indagini.
La Guardia Municipale Beniamino Lisi, proprio in quegli stessi concitati momenti si presenta alla Caserma dei Carabinieri con in mano un cappello floscio color caffè chiaro.
– L’ha perso uno sconosciuto mentre correva vicino alla Posta. Ho sentito degli spari e quando l’ho visto gli sono andato dietro ma ero abbastanza lontano. Poi, davanti alla Posta è inciampato ed è caduto perdendo il cappello – dice al Brigadiere Giovanni Todisco –. L’avevo quasi raggiunto ma quello si è girato di scatto verso di me e mi ha puntato contro una rivoltella dicendomi che mi avrebbe sparato se mi fossi avvicinato ancora, poi si è messo di nuovo a correre tenendosi una mano e io gli sono andato ancora dietro finché alla svolta di disastrosi vicoli oscuri l’ho perso di vista.
Con questa testimonianza e con le notizie che il Vicebrigadiere Di Sessa porta dal luogo del delitto, il quadro è delineato: a uccidere è stato sicuramente Nicola il Barese che è armato, ma anche ferito.
– È a casa del dottore Sarpi!
La voce di diffonde in pochi secondi e i Carabinieri, accompagnati dalla Guardia Municipale, si precipitano sul posto e gli intimano di arrendersi, cosa che Nicola il Barese fa immediatamente.
Al momento il D’Antonio negò quanto gli si addebitava ed era eccitatissimo e perciò rimandammo il suo interrogatorio, verbalizza il Brigadiere Todisco.
Ma in casa del dottor Sarpi non c’è solo il presunto assassino, c’è anche Enrichetta Sicilia, ventinovenne prostituta di Mongrassano che esercita a San Marco, druda del D’Antonio.
Todisco sospetta che sappia qualcosa e la invita ad accompagnarlo alla sua abitazione, ove messa alle strette, si fa accompagnare in casa del vicino Bruno Curcio, carbonaio di Serra Pedace, dal quale si fa dare un involto che contiene la rivoltella usata da Nicola il Barese per uccidere Angelo Scarpelli. La rivoltella è a sei colpi e nel tamburo c’è una cartuccia inesplosa ma che presenta una beccatura, segno che Nicola ha cercato di esplodere il colpo, ma ha fatto cilecca e che quindi la sua intenzione era quella di scaricare tutti i colpi sulla vittima.
– Siccome Nicola non era tornato a casa al solito orario, sono andata a cercarlo alla cantina di Pasqualina e l’ho trovato nella stanza da letto di questa che stava parlando con don Cildo e così sono tornata a casa. Poco dopo Nicola è rientrato e mi schiaffeggiò perché gli era dispiaciuto che io fossi uscita. Poi voleva uscire e siccome io mi opposi, egli mi sbattette a terra violentemente e nella colluttazione cadde anche lui. Rialzatami, mi sedetti ad una sedia ai piedi del letto piangendo. Fu in quel momento che egli, senza che io me ne accorgessi, dovette prendere di sotto il pagliericcio la rivoltella che io tenevo per ricordo di mio padre ed uscì. Dopo qualche mezz’ora ritornò e senza dire parola posò sulla tavola una bottiglia di vino ed uscì di nuovo. Non passò molto altro tempo e sentii chiamarmi a nome da lui dicendomi: Enrichetta statti bona perché non ci andiamo più perché mi hanno ammazzato – racconta la donna, che continua – Aprii la porta ed afferratolo per un braccio lo tirai dentro. Vidi che aveva una ferita alla mano ed allora, dopo che ebbe lasciata la rivoltella sulla tavola, l’ho presa e portata a casa del carbonaio Bruno perché temevo che il D’Antonio, infuriato come era quando tornò a casa l’ultima volta, volesse ammazzarmi. Poi l’accompagnai a casa del dottore Sarpi per farlo medicare.
– Stavamo mangiando quando Enrichetta ha bussato, è entrata e ha buttato sul letto un pacchetto dicendo: Conservatemi questa, poi se ne è andata in tutta fretta senza che potessi dirle niente – ammette Curcio, convincendo Todisco della sua estraneità ai fatti.
Tornato sul luogo del delitto, Todisco apprende che Angelo era uscito di casa con Palagano, che erano insieme nel momento in cui il Barese fece fuoco e che è stato visto dirigersi verso casa sua dopo il fatto.
La casa di Giuseppe Palagano è all’altro capo di Via Giudecca, proprio all’angolo con Via XX Settembre, ed è lì che lo trova.
Egli alla nostra vista – sebbene abbia avuto varie volte a far dei conti – impallidì e rispondeva titubante, scrive Todisco.
– Ieri sera mentre stavo mangiando nella cantina di Pasqualina un po’ di pane e caciocavallo entrò Nicola D’Antonio e bevemmo insieme un bicchiere di vino. Si fece poi riempire una bottiglia di vino e disse che se ne andava a casa. Contemporaneamente andammo via io e i miei due amici ed insieme decidemmo di andare da Angiolino Scarpelli. Lo trovammo a casa che beveva una bottiglia di vino con i suoi genitori, i fratellini e le sorelline ed un certo Madrupeppe con la sua donna. Arrivati noi, lo Scarpelli mandò una ragazzina a prendere un’altra bottiglia di vino. Tornata la ragazza, mentre stavamo bevendo, lo Scarpelli ed il Pietro uscirono non so per quale ragione. Subito dopo la sua matrigna, sentendo del chiasso fuori, disse che Angiolino si litigava ed uscì con la madre della di lui fidanzata per vedere che cosa succedesse. Uscii anche io e nella strada trovai lo Scarpelli che quistionava con un individuo che in sulle prime non avevo conosciuto, ma che poi riconobbi per Nicola D’Antonio. Messesi in mezzo le donne, il litigio terminò subito e lo Scarpelli se ne andò a casa della fidanzata con la madre di questa. Io consigliai il D’Antonio ad andarsene a casa e siccome egli diceva che gli era caduto il berretto e non poteva ritrovarlo, gli diedi il mio cappello per indurlo a rincasare subito. Io intanto mi recai a casa mia per prendere un altro cappello e ritornare dagli amici. Mentre stavo chiudendo la porta di casa dopo aver preso il berretto ed il cappello sentii cinque colpi di rivoltella sparati consecutivamente a brevi intervalli l’uno dall’altro davanti a casa dello Scarpelli. Accorsi là e trovai il povero Angiolino giacente a terra già morto presso il letto. Il D’Antonio non c’era più…
– In verità la futura suocera di Scarpelli ha detto che Angiolino è andato a casa sua accompagnato da te e che tu l’hai rassicurata dicendo che non sarebbe accaduto più nulla perché D’Antonio è un amico tuo – gli contesta Todisco.
– Non è vero, con questa donna non ci parlai affatto – insiste.
Le indagini proseguono e alcuni testimoni riferiscono ai Carabinieri che più volte Angelo Scarpelli era andato a bussare a casa di Enrichetta per goderne i favori, ma che era stato sempre rifiutato e perciò una volta prese a calci la porta della donna, che è descritta come una mala femmina, come una donna che per fingersi onesta e fedele al suo amante o per altro malvagio sentimento, dovette al D’Antonio rappresentare coi colori più foschi, eccitandolo a trarre vendetta, fornendogli anche l’arma omicida.
– Non ho avuto mai relazioni col povero Angelo Scarpelli e non è vero che egli mi avesse fatto proposte illecite o che fosse venuto a bussare alla mia porta per godere i miei favori. Non è vero che io avessi detto pubblicamente che lo Scarpelli era venuto tre volte a tirare calci alla mia porta. Invece a coloro che mi dicevano che io avessi armato il D’Antonio contro lo Scarpelli io ho risposto: “Son venute delle persone a bussare a casa mia, ma come posso dire che è stato lui quando non ha mai avuto a che fare con me?” – si difende Enrichetta.
Ma ormai è venuto il momento di sentire cosa ha da dire sui fatti Nicola il Barese:
– Ero nella cantina di Pasqualina Schella che parlavo con don Cildo, appaltatore dei lavori dell’acquedotto, e verso le sei e mezza me ne sono andato per tornare a casa, quando uno sconosciuto, sbucato da un vicolo, mi afferrò per la giacca e dandomi degli spintoni mi disse: Vieni con me! Mi sforzai per liberarmi e mi strappai la giacca. Caddi a terra. Rialzatomi, imboccai il vicolo che va verso la piazza e dopo qualche passo mi sentii tirare un colpo di rivoltella. Allora mi voltai ed estratta la rivoltella che avevo in tasca, di proprietà della mia amante Sicilia Enrichetta, sparai contro lo sconosciuto cinque colpi. All’ultimo colpo egli gridò: Ah! Allora affrettai il passo e mi ritirai a casa. Nella caduta riportai una ferita alla mano che mi feci visitare più tardi dal dottor Sarpi.
– Tutti i testimoni dicono che nella cantina ci sei stato fino alle sei e mezza insieme a Giuseppe Palagano e poco dopo hai aspettato Angelo Scarpelli davanti a casa sua e lì avete litigato. Poi ti sei appostato vicino la casa di Scarpelli e gli hai sparato i cinque colpi. Questa è la verità dei fatti. Adesso non ti resta che ammettere le tue responsabilità e confessare che è stata la tua amante a istigarti ad uccidere Angelo Scarpelli – gli contesta il Brigadiere.
– Quello che ho detto è la verità. – insiste – Se altri vogliono dire cosa diversa io non so che farci. Con lo Scarpelli non avevo inimicizia perché non lo conoscevo neppure. Non è vero quindi che lo avessi ucciso per motivi di gelosia
– E del cappello che hai perso mentre scappavi che mi dici?
– Il berretto mi cadde durante la colluttazione avuta con lo Scarpelli. Quando mi rialzai, cercando per terra invece del berretto trovai un cappello e me lo posi in testa. Nella corsa poi e precisamente quando incontrai la guardia municipale, sdrucciolai e mi cadde anche il cappello.
– Perché al dottor Sarpi hai detto che la ferita era stata prodotta da un colpo di rivoltella?
– Non fui io ma fu l’Enrichetta che disse ciò al dottor Sarpi…
– Hai testimoni che possano avvalorare la tua versione?
– Dove vado a trovarli i testimoni? I testimoni sono tutti dalla parte loro e dicono quello che vogliono…
È del tutto evidente che la versione dei fatti data da Nicola il Barese fa acqua da tutte le parti e per gli inquirenti sono chiare anche le responsabilità di Giuseppe Palagano ed Enrichetta Sicilia nell’omicidio e viene chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per tutti e tre.
Omicidio premeditato per Nicola D’Antonio; complicità in omicidio per averne facilitato l’esecuzione prestando assistenza ed aiuto prima e durante il fatto per Giuseppe Palagano; complicità in omicidio per avere eccitato e rafforzato la risoluzione del D’Antonio a commettere il reato e per avergli somministrato la rivoltella come mezzo per eseguirlo per Enrichetta Sicilia.
La Giuria della Corte d’Assise di Cosenza però non è completamente d’accordo con questa tesi e il 25 gennaio 1917 dichiara Nicola D’Antonio il Barese colpevole e lo condanna a 17 anni, 6 mesi e 6 giorni di reclusione, ma assolve Giuseppe Palagano ed Enrichetta Sicilia per non aver commesso il fatto.
Il 20 aprile successivo, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di Nicola D’Antonio e la condanna è definitiva.[1]
Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta
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[1] ASCS, Processi Penali.
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