AVVOLTO IN UNO SCIALLE A QUADRETTI

Pietro e Gennaro sono due bambini di 10 e 6 anni che abitano a Timpone degli Ulivi, lungo la strada che da Cosenza va a Donnici. Nel primo pomeriggio del 24 ottobre 1904 stanno pascolando alcune capre su una collinetta che sovrasta la strada e per ingannare il tempo giocano a tirare sassi in direzione di un ponticello e precisamente nel tombino di raccolta delle acque piovane posto su un lato del ponticello stesso.
– Ti dico che nel tombino ci devono essere cinque pietre – dice Gennaro
– Ma se tu non sai nemmeno contare! Ce ne sono almeno sette! – replica Pietro
– Tu dici? E allora andiamo a contare, ma conto io così vedi se sono capace o no! – lo sfida il piccolino
I due bambini scendono dal fianco della collina, si avvicinano al ponte e poi guardano nel tombino quadrato fatto in muratura, ansiosi di scoprire chi ha vinto la scommessa. Ma la scoperta che fanno li lascia entrambi senza parole: in fondo al tombino profondo quattro metri vedono una specie di fagotto di stracci. Pietro, il più grande dei due, si sporge un poco per vedere meglio e poi emette un grido. Tra gli stracci c’è un corpicino.
Pietro ordina a Gennaro di portare le pecore a casa perché lui andrà nella casa colonica più vicina a chiamare gente perché vengano avvisati i Carabinieri.
Il Maresciallo Leopoldo Tasso con i suoi uomini, il Pretore di Cosenza Enrico Granata e il medico Antonio Rodi giungono al tombino N° 14 della rotabile Cosenza-Donnici dopo un paio di ore e osservano dall’alto la posizione del
cadaverino che si trova nella parte più interna del fosso. Ritengono subito che sia stato impossibile lanciare il corpicino dall’alto del ponte perché se così fosse stato, il corpo avrebbe dovuto trovarsi nella parte più esterna del tombino. Con quasi assoluta certezza stabiliscono, invece, che il bambino o la bambina sia stato calato da un foro presente nella carreggiata, che corrisponde esattamente alla posizione del corpicino.
Fatta portare da una casa vicina una scala a pioli abbastanza lunga, il dottor Rodi si cala all’interno del tombino e osserva un cadaverino avvolto in panni oscuri ed in posizione bocconi. Vicino alla testa del cadavere e proprio in prossimità della bocca esiste una pozzetta di sangue nero, aggrumito ed in parte disseccato. Rimosso il terriccio intriso di sangue, questo si approfondiva per circa 3 o 4 centimetri. Abbiamo anche rilevato che una fascia che avvolgeva il cadaverino al livello della bocca e delle narici, avvolta a nastro, faceva circa due o tre giri attorno all’orifizio della bocca e del naso. Rimosso dal tombino il cadaverino e fattolo trasportare sulla via, abbiamo riscontrato che dal naso e dalla bocca era fuoriuscito quel sangue che abbiamo riscontrato sul luogo ove il cadavere giaceva; che la bocca era semiaperta colla mascella inferiore pendente, colla lingua sporgente e che il naso era fortemente schiacciato sul labbro superiore. Rimossa la fascia si è rinvenuto uno scialle a quadretti grigi e marroni, e al di sotto un panno bianco coperto nella porzione posteriore, corrispondente all’orifizio anale di una materia viscida e nerastra che si riconosce subito per meconia. 
Il cordone ombellicale è legato, ma ancora aderente. Mostrasi però reciso con taglio netto. Sulla superficie del corpo e inspecie la bocca, gli occhi, gli orecchi sono coperti da un’infinità di vermi. Il cadaverino è di sesso femminile. Per il resto nessuna lesione violenta apprezzabile sul capo, tronco e in verun altra regione del corpo. Per questi segni cadaverici non mi è possibile dare alcun giudizio sulla causa della morte. Perciò stimo opportuna l’autopsia del cadaverino medesimo.
Il Pretore acconsente e il cadaverino viene trasportato al cimitero per eseguire l’autopsia. Nel frattempo il Maresciallo Tasso comincia le indagini che si rivelano da subito molto difficili, per non dire impossibili perché su nessuna donna della zona ci sono sospetti di gravidanze indesiderate. Da dove viene quel corpicino? Le indagini si estendono ai paesi vicini, ma è come cercare un ago in un pagliaio.
Il 5 novembre 1904 il dottor Rodi consegna i risultati dell’autopsia. La bambina era nata viva circa sei giorni prima del suo ritrovamento e successivamente soffocata in un arco di tempo di massimo 12 ore, stringendole attorno alla bocca e al naso una fascia di stoffa blu. Infine, il dottor Rodi si dice certo, dalle condizioni in cui è stata ritrovata, che la bambina è rimasta nel tombino più di due giorni.
Purtroppo le indagini non ottengono alcun risultato e il 16 febbraio 1905 il Giudice Istruttore decreta il non luogo a procedere essere ignoti gli autori.[1]
I bastardi l’hanno fatta franca.

 

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