TI SCAPUZZU CUMU NA SARDA di Cinzia Altomare

Giovedì 15 maggio del 1777 è stato compiuto un omicidio, l’assassino è stato già condotto nelle carceri e attende le decisioni della Corte. Dalle diverse testimonianze i fatti sono stati ricostruiti con tempi rapidissimi e qui riproponiamo una ricostruzione per dovere di cronaca. Quel giorno, nella bottega di Carmine Siciliano, il mastro muratore Domenico Cavaliere venne invitato a mangiare da alcuni colleghi per la pausa pranzo, il Cavaliere però abusò, rispetto ai compagni, di molto vino. Tutti si accorsero che il suo volto aveva assunto una colorazione più sanguigna, ma nessuno considerò la possibilità di fermarlo oppure di condurlo a casa, lo stesso di sua iniziativa prese gli attrezzi con la pretesa di potere lavorare.
Nello stesso giorno all’ora di vespro presso la Riforma, Giuseppe Bonavita e Saverio Di Lolla, mentre passavano per il quartiere degli Zingari, fecero caso che nella Bottega di mastro Pasquale Cafardo, questi aveva un alterco violento con il Cavaliere, le voci erano alte e concitate ed intesero Cafardo che inveiva contro Cavaliere.
Poi dalle parole passò ai fatti: gli tirò un pugno sulla faccia. I due si accorsero che il Cavaliere era ancora ebbro di vino, ma malgrado la sua andatura ciondolante non fecero in tempo a raggiungerlo che questi era già sul Cafardo e per difendersi tirò dalla sacca, che aveva a tracolla, un coltello e lo colpì con così tanta violenza che dopo qualche ora il Cafardo morì.
Ma quale fu il movente della lite? Purtroppo un futile motivo, che tra l’ubriaco Cavaliere e l’iracondo Cafardo è finita con una disgrazia, infatti davanti la bottega passavano, poco prima della tragedia, Rosa Di Segno e Barbara Fittante, nello stesso momento il Cavaliere prese a canzonare una delle due e il Cafardo nel tentativo, poco diplomatico, di difendere l’onore della donna gli rivolse queste parole:
 – Porco fottuto, tu puru fai specie all’uomini, vati stipa ca ti scapuzzu cumu na sarda.
D’altro canto il Cavaliere rispondeva:
– Tu che vuoi da me, questa per cui tu tiri gelosia non ti è sorella, né ti è madre, né moglie che potessi offenderti, ma io ci ho scherzato e scherzo perché mi è vicina.
A quel punto la Fittante si accorse che Cavaliere aveva un coltello e tentò di tirarlo fuori dalla bottega. Sembrava che si fosse calmato e anzi uscito dalla bottega si era diretto verso il Rosario, qui le donne si staccarono e presero la loro strada. Invece il Cavaliere tornò indietro e le ingiurie continuarono:
– Tu da me che vuoi mi vuoi appalettare?
Ma nell’atto stesso l’anzidetto di Cafardo gli replicò:
– Iu nu mi spagnu di tia puorcu futtutu.
Fu allora che il coltello di Cavaliere raggiunse il petto del Cafardo e gli provocò la morte.
Malgrado le diverse testimonianze che colpevolizzano chiaramente le azioni di mastro Domenico Cavaliere, le testimoni Rosa Di Segno e Barbara Fittante, hanno minimizzato le sue colpe e hanno testimoniato a suo favore, poiché sono dell’opinione che se il muratore non fosse stato ubriaco, sicuramente non avrebbe agito compiendo le stesse azioni, invece Pasquale Cafardo che era sobrio, non avrebbe dovuto aizzare gli animi.
Si attendono del decisioni del Tribunale.[1]

 

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